A House of Dynamite

   
   
   

Venti minuti alla fine del mondo Valutazione 4 stelle su cinque

di Enrico Riccardo Montone


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sabato 25 ottobre 2025

Con A House of Dynamite, Kathryn Bigelow torna dietro la macchina da presa dopo alcuni anni di silenzio, firmando un film asciutto, teso e sorprendentemente intimo nonostante il suo soggetto da crisi globale. In poco meno di due ore, la regista costruisce una parabola sulla paura e sul potere, trasformando l’idea di una minaccia nucleare imminente in una riflessione sul collasso delle istituzioni e della fiducia umana. Il film si apre senza preamboli: un allarme parte da una base militare artica, un missile è stato lanciato, e nessuno sa da dove. Da quel momento, il tempo diventa il vero protagonista. Bigelow orchestra il racconto come una corsa contro l’orologio in cui ogni decisione pesa quanto una vita intera. I personaggi – analisti, generali, politici, civili – sono ripresi con camera mobile e luce fredda, immersi in ambienti chiusi dove il rumore dei monitor sostituisce quello delle bombe. L’attenzione alla realtà procedurale, marchio di fabbrica della regista, si fonde con una tensione quasi esistenziale: non si tratta solo di impedire la catastrofe, ma di capire se l’umanità meriti davvero di evitarla.
 
Bigelow non cede alla spettacolarità. L’azione è ridotta al minimo, i dialoghi sono brevi e densi, la regia si muove tra dettagli e sguardi. Le inquadrature ravvicinate, spesso su volti illuminati da schermi o luci intermittenti, comunicano un senso di isolamento e impotenza. Idris Elba, nei panni del Presidente, regala una prova di forza e vulnerabilità. La sua calma apparente nasconde il panico di chi sa di poter condannare milioni di persone con un solo ordine. Accanto a lui, la comandante Olivia Walker (Rebecca Ferguson) convince nel ruolo della consigliera scientifica, la voce razionale in un ambiente dominato dalla paura. Il cast di contorno – soldati, tecnici, funzionari – aggiunge spessore e realismo, senza mai scivolare nella retorica patriottica.
 
Sotto la superficie da thriller, A House of Dynamite è un film sul sistema che implode. Bigelow mette in scena la fragilità di una catena di comando costruita sull’arroganza e sull’abitudine al rischio calcolato. Il “dinamite” del titolo non è solo l’ordigno, ma l’intera struttura politica e morale su cui poggia la società contemporanea. Il film suggerisce che la distruzione non arriva dall’esterno, ma dall’incapacità umana di gestire la responsabilità del potere. È un racconto sull’ansia del nostro tempo, dove l’apocalisse è meno un evento che un modo di vivere. Un film necessario, se non perfetto, che conferma Kathryn Bigelow come una delle poche registe capaci di trasformare la geopolitica in puro cinema.

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