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maramaldo
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lunedì 18 agosto 2025
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soderbergh degli spiriti
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Soderbergh quattrostagioni stavo per titolare constatando i trabalzi delle sue ultime ispirazioni. Volendo emendarmi da una qualche grossolanità che mi sottrae ai lettori benpensanti ho ripiegato su un riverbero felliniano, se non altro per riconoscere dignità all'Autore e accettare un barlume di suggestione da questo scary movie, si fa per dire.
Mi occuperei diversamente di Sonderbergh se ne avessi la competenza, clinica intendo dire, da psicanalista. Per capire come cominciando da buontempone svagato e senza pensieri si finisca per indulgere a certe atmosfere.
Nessuno ha avuto paura e ancor meno si è divertito ma si riconosce l'eccellente livello della confezione.
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Soderbergh quattrostagioni stavo per titolare constatando i trabalzi delle sue ultime ispirazioni. Volendo emendarmi da una qualche grossolanità che mi sottrae ai lettori benpensanti ho ripiegato su un riverbero felliniano, se non altro per riconoscere dignità all'Autore e accettare un barlume di suggestione da questo scary movie, si fa per dire.
Mi occuperei diversamente di Sonderbergh se ne avessi la competenza, clinica intendo dire, da psicanalista. Per capire come cominciando da buontempone svagato e senza pensieri si finisca per indulgere a certe atmosfere.
Nessuno ha avuto paura e ancor meno si è divertito ma si riconosce l'eccellente livello della confezione. Merito anche di David Koepp, quello di Jurassic Park del '93, le combinazioni a volte. Pur con un budget striminzito abbiamo ambienti e arredi di buon gusto. Si è risparmiato sui lumini, un must in molti film del mistero, ma l'illuminazione è assicurate da lampade e lampadari di elegante design, la finezza degli oggetti non manca mai nei migliori horror, qualcuno dovrebbe studiarci.
Gli interpreti invece hanno molto dell'ectoplasma. Chiacchiere, litigi, livori, intemperanze criminalità non convincono della loro realtà, non al cast spetta attribuire un'effettiva presence. Cafonetta, intermezzo di squallido realismo, la sensitiva part-time. Pure fasulla, intascati i soldi il marito, non si son fatti più... vivi. L'unica che esprime, pur allontanandosi o forse per la sua vena naturale di commediante, è Lucy Liu. Rebekah, solo se si mette in posizione supina ossia quando si sdraia trasversale sul letto. Personalità invece mostrano le pur invisibili poltergeist soprattutto quando mi fanno il piacere di scaraventare fuori dalla finestra i due pocodibuono. A parte questo veniale eccesso il Nostro ha la mano leggera nelle poche trovatine classiche da soprassalto, sembra quasi che se ne vergogni.
Torniamo, pertanto, a chinarci su Sonderbergh. Cerca se stesso, vaga, imbocca ancora una strada nuova, forse si è smarrito. E' una scelta tecnica la ripresa soggettiva ma parla pure di una certa immedesimazione. Da spettro guarda, ci guarda, forse anche lui "soffre" come si dice nel film di un'entità indistinta.
Auspico, in tanto saltabecco di incursioni, un cambio di registro. Non abbiamo bisogno di "un'anima in pena" in più.
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imperior max
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lunedì 1 settembre 2025
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per una volta a gelare il sangue non saranno i fantasmi.
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(Il voto sarebbe di 4,5/5)
PRESENCE. Il buon Steven Sodenbergh, dopo un buon Black Bag (da me non proprio ben capito), ritorna con un thriller soprannaturale abbastanza particolare. Gi? intuibile dai trailer per messinscena, ma non per questo meno immersivo.
Una famiglia composta da madre, padre, una figlia e un figlio adolescenti si traferisce in una nuova casa. Fin dall?inizio c?? una presenza spettrale dentro la casa che osserva tutto e che solo ogni tanto, soprattutto dalla ragazza Chloe, si fa? lievemente percepire e interagisce con gli oggetti e le persone. Durante la loro permanenza vedremo le loro vicissitudini familiari tra rapporti di coppia, discussioni, dialoghi tra padre, madre e figli, dei trascorsi passati non proprio felici, ogni tanto una visita di un amico del fratello Tyler che legher? con Chloe e il tutto proceder? in un lieve, ma importante coinvolgimento della Presenza e con un finale rivelatorio, tragico e agrodolce.
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(Il voto sarebbe di 4,5/5)
PRESENCE. Il buon Steven Sodenbergh, dopo un buon Black Bag (da me non proprio ben capito), ritorna con un thriller soprannaturale abbastanza particolare. Gi? intuibile dai trailer per messinscena, ma non per questo meno immersivo.
Una famiglia composta da madre, padre, una figlia e un figlio adolescenti si traferisce in una nuova casa. Fin dall?inizio c?? una presenza spettrale dentro la casa che osserva tutto e che solo ogni tanto, soprattutto dalla ragazza Chloe, si fa? lievemente percepire e interagisce con gli oggetti e le persone. Durante la loro permanenza vedremo le loro vicissitudini familiari tra rapporti di coppia, discussioni, dialoghi tra padre, madre e figli, dei trascorsi passati non proprio felici, ogni tanto una visita di un amico del fratello Tyler che legher? con Chloe e il tutto proceder? in un lieve, ma importante coinvolgimento della Presenza e con un finale rivelatorio, tragico e agrodolce.
La prima cosa che colpisce del film ? la scelta di mettere in scena tutto circoscritto all?interno dell?abitazione, in soggettiva e di suddividere la storia in diversi piani sequenza ambientati in diversi momenti temporali, ovviamente in maniera lineare e di facile comprensione. Per tutta la durata lo spettatore entra nei panni della Presenza come se fosse lui stesso a partecipare agli eventi quasi sempre in secondo piano e senza mai sfondare troppo nel voyeurismo rendendo molto pulita la regia e lo stesso Sodenbergh invisibile, come lo spettro stesso. Un montaggio raffinato con buoni stacchi e un ritmo contenuto. Una fotografia molto chiara e delle musiche messe nei momenti giusti laddove servono e in poche scene facendo leva in lunghi momenti di silenzio e di leggera tensione. Attori tutti bravi, compresi i due ragazzi e una Lucy Liu in bella forma.
La storia ? in pratica un dramma familiare legato a misteri che andranno a palesarsi andando avanti e sfociando in diverse sequenze thriller. A volte connesse con la Presenza e a volte attraverso i dialoghi e le interazioni tra i personaggi. E qui sono ben caratterizzati, soprattutto quando si costruiscono i rapporti tra genitori e figli, nei racconti dei loro traumi e l?elaborazione del lutto della nostra protagonista Chloe per una sua amica assassinata. Ognuno ha crescita e una formazione ben definite. Il tutto osservato dalla Presenza che ogni qualvolta interagisce per scoprire pi? dettagli, informazioni e piccoli indizi e anche per cambiare l?esito di alcuni eventi. Un po? come farebbe lo spettatore quando grida al protagonista di non fare certe cose, ma senza mai uscire dal film. Attraverso il racconto si parer? molto su tematiche importanti quali il confronto genitoriale, la ricerca del dialogo e del confronto, il voler riaffrontare la vita allacciando nuovi rapporti, ma anche il percorso adolescenziale e, purtroppo, la violenza sulle donne. Da non dimenticare che anche la Presenza giocher? un ruolo fondamentale e piano piano si intuir? la sua identit? senza per? mai rivelarla, almeno direttamente.
Salvo alcuni percorsi caratteriali che vengono messi da parte senza finirli del tutto, siamo di fronte ad un film sulla carta a tratti ?gi? visto?, ma che grazie alla particolarit? della messinscena diventa praticamente unico nel suo genere. E che una volta ogni tanto non saranno i fantasmi ad essere quelli da temere e da tenere d?occhio.
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enrico riccardo montone
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mercoledì 5 novembre 2025
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invisibile ma non assente
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Con Presence, Steven Soderbergh continua la sua esplorazione del rapporto tra tecnologia, sguardo e verità, ma questa volta lo fa attraverso il linguaggio del soprannaturale. Ambientato quasi interamente in una casa, il film assume la prospettiva di una presenza invisibile che osserva - e in qualche modo influenza - i suoi abitanti. È un punto di vista radicale: la macchina da presa non si limita a registrare, ma diventa essa stessa personaggio, entità narrativa e coscienza inquieta.
La forza del film sta proprio in questa scelta formale. Soderbergh costruisce un’esperienza visiva ipnotica e claustrofobica, dove il movimento della camera è la vera drammaturgia.
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Con Presence, Steven Soderbergh continua la sua esplorazione del rapporto tra tecnologia, sguardo e verità, ma questa volta lo fa attraverso il linguaggio del soprannaturale. Ambientato quasi interamente in una casa, il film assume la prospettiva di una presenza invisibile che osserva - e in qualche modo influenza - i suoi abitanti. È un punto di vista radicale: la macchina da presa non si limita a registrare, ma diventa essa stessa personaggio, entità narrativa e coscienza inquieta.
La forza del film sta proprio in questa scelta formale. Soderbergh costruisce un’esperienza visiva ipnotica e claustrofobica, dove il movimento della camera è la vera drammaturgia. Ogni inquadratura è un gesto, un tentativo di avvicinamento o di fuga. Lo spettatore, relegato allo sguardo del “fantasma”, vive la distanza come condizione emotiva: è vicino a tutto, ma parte di nulla. L’effetto è straniante, quasi metafisico.
Sul piano tematico, Presence parla della fragilità dei legami familiari, della colpa che aleggia tra le mura domestiche, ma anche del bisogno di essere visti e compresi. Il sovrannaturale diventa un linguaggio del non detto, un modo per tradurre il dolore, la solitudine e l’impossibilità di comunicare. Soderbergh non cerca la paura immediata: il suo orrore è quello dell’assenza, della mancanza di empatia, del vuoto che resta tra le persone quando smettono di ascoltarsi.
Dal punto di vista estetico, il film è un esercizio di controllo quasi maniacale. Le luci fredde, la palette desaturata, i lunghi silenzi costruiscono un senso di sospensione che trasforma la casa in uno spazio mentale più che fisico. Eppure, dietro questa perfezione formale, si avverte un’emozione trattenuta: Presence non commuove, ma disturba. Lascia una scia di inquietudine, come una presenza che resta anche dopo la fine del film.
Pur con qualche rischio di freddezza e un minimalismo che può sembrare manierato, Presence è uno dei lavori più coerenti e consapevoli di Soderbergh degli ultimi anni. È un film che chiede di essere vissuto più che compreso, un esperimento che interroga la natura stessa del vedere - chi guarda chi, e cosa resta invisibile nello sguardo dell’altro.
Non tutti ne accetteranno la lentezza e l’austerità, ma chi saprà lasciarsi attraversare dal suo silenzio troverà in Presence un’esperienza singolare: un film che parla piano, ma non smette di farsi sentire.
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