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sergio dal maso
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lunedì 13 ottobre 2025
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la casa degli sguardi
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“Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.” Cesare Pavese - Il mestiere di vivere
Marco sta male. Da quando è morta la madre si è chiuso in sé stesso, ha lasciato la fidanzata e abbandonato gli amici. Affoga l’angoscia e i suoi tormenti nell’alcool, placa la rabbia con gli ansiolitici, in una deriva autodistruttiva che sembra inarrestabile. Solo le poesie che scrive febbrilmente nel suo taccuino riescono lenirne il dolore, dargli una parvenza di tranquillità interiore.
Gli è rimasto accanto solo il padre, un uomo mite e semplice, tramviere di professione.
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“Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.” Cesare Pavese - Il mestiere di vivere
Marco sta male. Da quando è morta la madre si è chiuso in sé stesso, ha lasciato la fidanzata e abbandonato gli amici. Affoga l’angoscia e i suoi tormenti nell’alcool, placa la rabbia con gli ansiolitici, in una deriva autodistruttiva che sembra inarrestabile. Solo le poesie che scrive febbrilmente nel suo taccuino riescono lenirne il dolore, dargli una parvenza di tranquillità interiore.
Gli è rimasto accanto solo il padre, un uomo mite e semplice, tramviere di professione. Non sembra in grado di poter aiutare Marco, eppure, silenzioso e tenace, è sempre presente, instancabile. Dopo l’ennesimo incidente in cui il figlio, ubriaco fradicio, si schianta di notte contro un camion, capisce che non c’è più tempo, serve una svolta radicale.
C’è una possibilità di un lavoro nella cooperativa delle pulizie dell’ospedale pediatrico. Marco, però, ha paura di non farcela, teme che vivere a contatto con il dolore altrui, specialmente quello dei bambini malati, gli risulti insopportabile. La sua straripante sensibilità gli fa sentire nell’anima la bellezza della poesia ma amplifica anche la percezione del dolore. Nella delicata fase che sta vivendo la vicinanza con altra sofferenza potrebbe essere devastante.
Invece, sarà proprio l’esperienza dell’ospedale, il lavoro in gruppo condividendo la fatica, il contatto quotidiano con la malattia dei piccoli pazienti, a indicargli la strada da percorrere per liberarsi dal male di vivere che lo affligge. Ricominciare non sarà facile, sarà un percorso impervio e difficile, con continue ricadute e sbandamenti, ma anche con una consapevolezza nuova.
La casa degli sguardi, splendido esordio alla regia di Luca Zingaretti, è un film duro e potente, capace di toccare corde profonde e di emozionare. Non era semplice portare sullo schermo l’omonimo romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli, scrittore già adottato da Francesco Bruni nella serie Tutto chiede salvezza. Il rischio di compiacere il pubblico raccontando il dolore con toni da melodramma o emozioni facili era alto. Zingaretti lo evita abilmente con una regia attenta e misurata, senza retorica né pietismi. Racconta la sofferenza di Marco quasi con pudore, con profondo rispetto e una sincerità che arriva al cuore. Emoziona facendo parlare gli sguardi, i silenzi, i piccoli gesti come le corna fatte dal bambino malato alla finestra.
Non ci sono eventi miracolosi, Marco ritrova una via d’uscita dall’angoscia esistenziale grazie alla solidarietà della squadra delle pulizie e alla condivisione reciproca dei propri problemi, capendo che ognuno vive, in un modo o nell’altro, l’esperienza del dolore. E che anestetizzarsi con alcool o droghe non serve a nulla.
“Il dolore non si può eliminare, va vissuto come una tappa necessaria”, ha affermato lo stesso regista,
“quando Marco scopre che il dolore non è evitabile ne uscirà fuori, perché il dolore si deve accogliere, per riacquistare la capacità di stare nelle cose, senza fuggirne”.
Il rapporto padre-figlio è un po' l’asse centrale attorno al quale ruotano gli altri personaggi della storia.
Se la bravura di Zingaretti nella parte del padre non è stata una sorpresa, lo è, invece, la formidabile interpretazione di Marco da parte di Gianmarco Franchini. Il giovane attore, che aveva da poco brillantemente esordito in Adagio di Sollima, dà vita a una performance recitativa viscerale e palpitante. Trasuda rabbia e angoscia ma trasmette anche dolcezza e tenerezza. Non è difficile prevedere una carriera luminosa per questo giovane attore. Va detto, però, che l’intero cast ha funzionato benissimo: tutti i personaggi, anche quelli secondari, sono scritti e recitati in modo assolutamente credibile.
La sceneggiatura è solida e curata nei dettagli, ma anche le altre componenti cinematografiche sono di grande qualità, dalla raffinata fotografia di Maurizio Calvesi, con i suoi colori notturni molto evocativi, alle musiche minimali di Michele Braga, perfettamente funzionali allo sviluppo narrativo della storia.
Quello di Zingaretti è un cinema genuinamente popolare, attento a restituire un senso di verità alla storia.
A partire da Marco e il padre fino all’ultimo protagonista, La casa degli sguardi racconta persone prima che personaggi, ognuno con la sua storia e le sue vicissitudini, perché il dolore, prima o poi, riguarda tutti.
E ognuno deve affrontarlo e attraversarlo senza paura, perché non è si è mai soli. Usando le parole di Mencarelli, di fronte al dolore “tutto chiede salvezza”.
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spione
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martedì 3 giugno 2025
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da vedere. ma non da tutti.
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Non mi sognerei mai di suggerire “La casa degli Sguardi” a chi abbia avuto la fortuna (ammesso che lo sia) di aver vissuto al riparo dalla costante presenza di quella simbolica “lama” infilzata nella carne viva fatta di paura, dolore, sofferenza a cui è impossibile dare un nome. Né tanto meno ai professionisti della negazione (intesa come meccanismo di difesa) che la trascorrono impegnati a tempo pieno a cercare di fuggire dalla propria realtà.
A tutti gli altri - a tutti quelli come me - consiglio invece di trovare subito il modo di guardarlo, perché era dai tempi di “Senza Pelle” che non si vedeva trattare in maniera così rispettosa, empatica e intensamente espressiva un tema così dannatamente delicato come può essere l’impatto con la dura realtà per chi – diciamo così – è stato “meno bravo degli altri” nel costruirsi una corazza da indossare ogni mattina per uscire ad affrontarla. E con la differenza che, mentre il Saverio di Kim Rossi Stuart era in qualche modo "legittimato" dal proprio status di ragazzo di buona famiglia, qui la vicenda è ambientata – tanto per accrescerne lo stridore – nel più umile contesto delle “classi subalterne”, come si diceva una volta, a cui in genere (e a torto) non viene riconosciuta la possibilità di permettersi il lusso di portarsi appresso il fardello di quella che potrebbe definirsi la “sofferenza esistenziale” tipica dei privilegiati che di certo non hanno mai dovuto pulire un cesso pieno di merda.
A me il film è piaciuto. Molto. Merito del protagonista, Gianmarco Franchini, al suo secondo ruolo cinematografico e semplicemente perfetto. Merito del soggetto, tratto dall’omonimo libro autobiografico di Daniele Mencarelli: uno che queste cose le ha vissute di persona e si vede. Merito di una sceneggiatura impeccabile (il nome di Stefano Rulli vi dice qualcosa?), che - fatto quasi inaudito – utilizza come materia prima la romanità più grossière senza mai, neppure per un attimo, cedere alla tentazione dello stereotipo o del folklorismo. E – diciamolo – merito di Luca Zingaretti, che oltre ad interpretare il padre del protagonista (anche lui, curiosamente, un impiegato dell’ATAC come il Riccardo di Massimo Ghini in “Senza Pelle”) firma la sua prima regia con una prova davvero maiuscola. E che nessuno - va ricordato - ha mai visto nella stessa stanza con Paolo Cevoli.
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anna rosa
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domenica 27 aprile 2025
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riscatto
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Non avevo grosse aspettative in ragione di quelle due stelline e mezza, e invece trovo che Zingaretti abbia mostrato notevoli doti di regista, raccontando con coerenza e una giusta dose di emozione la storia di un difficile riscatto dall'alcolismo e soprattutto dal male di vivere di un giovane romano. Grazie all'umanit? solidale delle persone semplici della cooperativa con cui comincia a lavorare, Marcolino ritrova infatti un po' alla volta il gusto degli altri e della vita. E chiss?, forse anche l'amore. No, senza incorrere in melensaggini
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sabato 12 aprile 2025
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rispecchia il libro
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Ho visto ora il film ed ho letto da tempo il libro, non sono d'accordo con quello che dici e sostengo che proprio l assenza di questa drammaturgia rende il film pi? reale e prezioso e soprattutto ? vicino all' essenza del libro
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antonio galeotti
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lunedì 24 marzo 2025
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percgh? marco ? vittima dell?alcool?
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(Premessa da non pubblicare: il commento è da considerarsi in riferimento al mio libro "Un Salvatore tra Vittima e Persecutore ".)
Se consideriamo che Marco è vittima dell'alcool e che la psicologia della vittima prevede che questa abbia un senso di colpa da espiare, non emerge dalla storia di Marco alcun senso di colpa. Infatti, è ben voluto e stimato dalla defunta madre e ha un padre che se pur scontento degli atteggiamenti del figlio gli è vicino e crede in lui. Eppure la trama si sviluppa con un approccio di personalità tale per cui emerge in Marco una capacità di salvarsi. Ciò nonostante il film a affascina per le reazioni emotive che crea.
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(Premessa da non pubblicare: il commento è da considerarsi in riferimento al mio libro "Un Salvatore tra Vittima e Persecutore ".)
Se consideriamo che Marco è vittima dell'alcool e che la psicologia della vittima prevede che questa abbia un senso di colpa da espiare, non emerge dalla storia di Marco alcun senso di colpa. Infatti, è ben voluto e stimato dalla defunta madre e ha un padre che se pur scontento degli atteggiamenti del figlio gli è vicino e crede in lui. Eppure la trama si sviluppa con un approccio di personalità tale per cui emerge in Marco una capacità di salvarsi. Ciò nonostante il film a affascina per le reazioni emotive che crea. Se ipotizziamo che Marco, anche in senso inconscio e irrealistico, si senta in colpa per la morte della madre, allora tutto torna nei canoni di un corretto profilo psicologico. La psicologia del Salvatore prevede che nei vissuti personali di un soggetto oltre ad aspetti di senso di colpa siano compresenti elementi di affetto e amore ricevuti con appagamento. Questo implica che una volta che il senso di colpa sia stato sollevato e superato si possa finalmente esprimere il salvatore e il soggetto possa così uscire da un ruolo di vittima e vivere all'altezza dei propri talenti.
Antonio Galeotti
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