monfardini ilaria
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mercoledì 29 maggio 2024
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germani si confronta col grande joe d''amato
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Al Nuovo Cinema Aquila di Roma, il 25 marzo 2022 viene presentato in anteprima nazionale il film Antropophagus 2, sequel del cult del 1980 di Joe D’amato interpretato dal grandissimo George Eastman, contornato da nomi di tutto rispetto come quelli di Margaret Mazzantini, Serena Grandi e Tisa Farrow. Prodotto da Gianni Paolucci e sceneggiato da Lorenzo De Luca, il film vede alla regia Dario Germani, direttore della fotografia ma anche regista già noto nell’ambiente per aver firmato il bellissimo Lettera H del 2019, ispirato, in una maniera però del tutto nuova ed originale, ai delitti del Mostro di Firenze. Messo in piedi durante il periodo della pandemia, Antropophagus 2 nasce da un’idea del produttore Gianni Paolucci e di Franco Gaudenzi, produttore del capitolo originale di D’Amato e di altre sue numerose pellicole.
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Al Nuovo Cinema Aquila di Roma, il 25 marzo 2022 viene presentato in anteprima nazionale il film Antropophagus 2, sequel del cult del 1980 di Joe D’amato interpretato dal grandissimo George Eastman, contornato da nomi di tutto rispetto come quelli di Margaret Mazzantini, Serena Grandi e Tisa Farrow. Prodotto da Gianni Paolucci e sceneggiato da Lorenzo De Luca, il film vede alla regia Dario Germani, direttore della fotografia ma anche regista già noto nell’ambiente per aver firmato il bellissimo Lettera H del 2019, ispirato, in una maniera però del tutto nuova ed originale, ai delitti del Mostro di Firenze. Messo in piedi durante il periodo della pandemia, Antropophagus 2 nasce da un’idea del produttore Gianni Paolucci e di Franco Gaudenzi, produttore del capitolo originale di D’Amato e di altre sue numerose pellicole. Visto il momento storico particolare, e le ristrettezze imposte dal governo per arginare il diffondersi del virus, si è scelto di girare l’intero film, a parte una mini sequenza introduttiva, al chiuso, e più precisamente in un luogo storico, il bunker antiatomico di Soratte, a Sant’Oreste, Roma, con i suoi 14km di gallerie sotterranee, costruito durante la Prima Guerra Mondiale ed oggi visitabile attraverso apposite visite guidate. Poiché la forza del film di Massaccesi era stata quella di ambientare un horror truculento ed estremamente gore alla luce del sole su un’isoletta ridente della Grecia, qui si è deciso di seguire la direzione opposta, per ricollegarsi ma anche prendere le distanze dall’originale: cioè girare il tutto al buio, sottoterra, in un ambiente rischiarato soltanto dalla fredda luce dei neon, e per la maggior parte completamente privo di illuminazione. Per effettuare tali riprese nel miglior modo possibile Germani si è servito, uno dei primi in Italia, della macchina BlackMagic 6k, curando regia e fotografia della sua creatura, esattamente come faceva il grande Joe D’Amato. Il cast, tutto tricolore, ha recitato in lingua inglese, ridoppiandosi poi in italiano, ed uno dei punti di forza del film sono senz’altro gli effetti speciali ed il makeup, curati da uno dei collaboratori storici di Dario Argento, David Bracci, che ha curato la realizzazione anche di altri importanti progetti indie quali At the End of the Day di Cosimo Alemà, Catacomba di Lorenzo Lepori, McBetter di Mattia De Pascali e Reverse di Mauro John Capece.
L’azione si apre all’interno di un sudicio ambiente sotterraneo, che solo dopo scopriremo trattarsi di un bunker. Qui un uomo grande e grosso tiene imprigionate svariate persone, tra cui una donna incinta, in travaglio: l’uomo le estirpa il feto dal grembo e lo dà in pasto ad un giovane seduto di spalle. Scena che già la dice lunga sul tipo di film che stiamo per visionare, crudo e spietato, senza alcuna remora, e si strizza subito l’occhio al culto di D’Amato, la cui scena con Eastman che mangia il feto che porta in grembo una delle sue vittime è ormai diventata leggenda. Dal buio del covo dell’antropofago ci si sposta in pieno sole, in mezzo a tortuose strade alberate, dove sfreccia una potente monovolume che ad un certo punto si arresta facendo uscire un manipolo di studentesse e la loro docente. Le donne sono lì per passare un intero week end all’interno di un bunker antiatomico che servirà loro per una ricerca di storia volta alle loro tesi di laurea. Uno strano custode di poche parole le conduce all’interno del bunker e le chiude dentro col consiglio di stare sempre in gruppo per non perdersi nelle gallerie. Le donne sono senza cellulari e non hanno comunicato a nessuno dove si trovano per rendere l’esperienza ancora più credibile ed interessante, ma ovviamente non possono immaginare che un feroce antropofago ha stabilito proprio là sotto la sua dimora, ed ha costantemente fame…
La sceneggiatura di questo Antropophagus 2 è quanto di più affine ci possa essere allo slasher classico, con situazioni al limite del ridicolo e dell’umana intelligenza, che però sono forzatamente funzionali al body count che deve venire a crearsi nei bui sotterranei del tunnel, con tanto di manichini che simulano la vita lì sotto ai tempi della guerra, proprio come quelli di Le Colline Hanno gli Occhi del 2006. Ed in effetti il film di Aja, insieme a Wrong Turn di Rob Schmidt, sta alla base per la costruzione della figura dell’antropofago, che ai protagonisti deformi di queste due pellicole si ispira non poco. Per l’intreccio invece, che vede un gruppo di donne rinchiuse sotto terra senza apparente via d’uscita né possibilità di comunicare col mondo esterno, con tutte le difficoltà interpersonali, le simpatie e le antipatie, conclamate o no, il modello di riferimento parrebbe essere il bellissimo film del 2005 di Neil Marshall The Descent, ripresentando anche alcune situazioni praticamente identiche, come la ragazza che viene ferita alla gamba e diventa così un peso morto da trascinarsi dietro che non tutte vogliono avere. Durante questo gioco al massacro si rivelerà chi maggiormente è senza scrupoli, ma per la final girl, in questo caso, non ci sarà il finale che ci si potrebbe aspettare, come, del resto, non c’era stato neanche in The Descent, sebbene virasse verso un’altra conclusione. Parlando di citazioni, omaggi, e fonti di ispirazione, in una scena in cui le donne si uniscono compatte alla ricerca delle prime vittime del folle mostro, e salgono su per una scala illuminate da una fonte di luce alle loro spalle, ho colto una strizzata d’occhio, forse voluta, forse no, al cult indiscusso del Maestro Lamberto Bava, Dèmoni, ed alla scena che è talmente iconica da essere immortalata sulla locandina del film, in cui appunto i demoni salgono le scale in una sorta di luce soffusa che fa accapponare la pelle. Altra citazione, più vicina a noi, è quella al film del 2016 di Damien Leone Terrifier: sia qui che lì in effetti la sceneggiatura ha pochissimo risalto nel risultato finale, e diventa praticamente un mero pretesto per mettere in scena un teatrino grandguignolesco diretto dal Mangiafoco del momento: qui il cannibale, lì Art il Clown; anche la morte di una delle ragazze riprenderà in modo molto simile quella spettacolare di una delle vittime del folle Art.
Situazioni grottesche a parte, Germani riesce, grazie anche alla labirintica ed oscura location, a creare fin da subito una tensione quasi palpabile, giocando molto bene sulle ombre e sulle luci, ed immergendo lo spettatore in un susseguirsi di spaventi molto ben calibrati, mai banali, anche se, ovviamente, la fine delle protagoniste è segnata fin dalla primissima scena nella quale appaiono. Le ragazze, e con loro Nora, l’insegnante, sono le degne eredi degli studenti adolescenti dei teen horror, di prevalenza americani, degli anni Ottanta/Novanta, con la loro stupidità, che le porterà a cadere come mosche, e senza che lui debba fare troppo sforzo, tra le grinfie e nelle fauci dell’antropofago. C’è quella che si trucca dopo aver dormito su una branda senza materasso e se ne va in giro per il bunker tutta scosciata, aspettandosi di conquistare forse qualche topo, quella che fa la schizzinosa nel mangiare ma non si è portata nulla dietro, e gira di notte per i corridoi bui in ciabattine e pigiamino, quella che si offende per uno scherzo e scappa via, e poi c’è la prof che invece di proteggere le ragazze di cui è responsabile dice loro la fatidica frase che non andrebbe mai detta ma invece non manca mai “dividiamoci!”. Ma tutto questo viene completamente spazzato via dalla violenza, sovrana indiscussa di quest’opera, non consigliata ai deboli di stomaco: una violenza così repentina e d’impatto che porta anche coloro che sono cresciuti a pane e budella come me, a chiudere gli occhi in più di un’occasione. Ma quello di Antropophagus 2 non è mai uno splatter fine a se stesso, bensì è il filo rosso che regge in piedi l’opera e la ricollega al suo potente predecessore, rendendola, alla fine, decisamente apprezzabile, anche se i rimandi all’originale si limitano praticamente soltanto alla prima scena.
Nel cast emergono essenzialmente tre nomi. Quello di Alberto Buccolini,che è l’unico uomo della situazione ed interpreta il mostro: la sua prova è piuttosto convincente, ma purtroppo non regge minimamente il confronto con quella del grande George Eastman/Luigi Montefiori dell’Antropophagus di D’Amato (grande anche di stazza, rispetto al volutamente mingherlino Buccolini), il famigerato Klaus Wortmann, il cui carisma e la cui verve lo hanno portato a divenire un personaggio leggendario tra i cultori del genere. Tra le protagoniste spicca Jessica Pizzi, nel ruolo della cazzuta del gruppo, Giulia, antipatica ai limiti dell’intollerabile e completamente priva di scrupoli, e la veneta Monica Carpanese nei panni dell’ambigua professoressa Nora, che ha una carriera iniziata proprio nei lontani anni Novanta davanti alle mdp di Bruno Mattei e Joe D’Amato, col quale lavorerà nell’erotico Il Labirinto dei Sensi del 1994. La Carpanese e la Pizzi sono due donne opposte e contrapposte, che si troveranno di fianco e di fronte una all’altra, nella ricerca di una collaborazione che forse, se ci fosse stata, avrebbe portato ad un finale ben diverso per tutti.
E comunque, è proprio il caso di dirlo, il covid in qualche caso ha portato anche del bene, soprattutto nel mondo del cinema indie, che ha visto nascere gioielli come Nati Morti di Alex Visani o La Stanza di Stefano Lodovichi; questo film di Germani è diventato Antropophagus 2 proprio a seguito della pandemia, infatti inizialmente doveva intitolarsi La Creatura ed essere girato nelle Filippine su una sceneggiatura di Antonio Tentori che prevedeva come mostro un extraterrestre. Poi, a seguito del covid, i piani sono cambiati, ed a guardare il tamtam mediatico suscitato da un possibile seguito del film d’amatiano, non si può che credere che, in questo caso, sia andata decisamente meglio così.
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dandy
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giovedì 9 maggio 2024
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bellezze al bagno...di sangue.
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Inizialmente concepito come altro(un alieno sanguinario nelle Filippine con sceneggiatura di Antonio Tentori)ma poi rimaneggiato causa Covid,il film di Germani più che un remake/omaggio al film di Joe D'Amato sembra ispirato al torture porn da Hostel in poi,con ambientazione sotterranea e qualche possibile omaggio a "The Descent","Wrong Turn" e "Le colline hanno gli occhi".Posto che si parla di un prodotto puramente derivativo,il classico pretesto per mettere in scena una mattanza,come exploitation fa il suo dovere.Trama,situazioni,dialoghi e personaggi sono tirati via come da copione(le attrici [tra cui spicca la Carpanese che aveva lavorato con D'Amato]recitando in inglese per me riescono a risultare almeno accettabili rispetto ad altri prodotti indipendenti nostrani)ma l'ambientazione è suggestiva(il bunker antiatomico di Soratte a Sant'Oreste)e come regia,fotografia(dello stesso regista)e musiche la competenza è innegabile.
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Inizialmente concepito come altro(un alieno sanguinario nelle Filippine con sceneggiatura di Antonio Tentori)ma poi rimaneggiato causa Covid,il film di Germani più che un remake/omaggio al film di Joe D'Amato sembra ispirato al torture porn da Hostel in poi,con ambientazione sotterranea e qualche possibile omaggio a "The Descent","Wrong Turn" e "Le colline hanno gli occhi".Posto che si parla di un prodotto puramente derivativo,il classico pretesto per mettere in scena una mattanza,come exploitation fa il suo dovere.Trama,situazioni,dialoghi e personaggi sono tirati via come da copione(le attrici [tra cui spicca la Carpanese che aveva lavorato con D'Amato]recitando in inglese per me riescono a risultare almeno accettabili rispetto ad altri prodotti indipendenti nostrani)ma l'ambientazione è suggestiva(il bunker antiatomico di Soratte a Sant'Oreste)e come regia,fotografia(dello stesso regista)e musiche la competenza è innegabile.E soprattutto,gli effettacci gore (di David Bracci)sono copiosi e realizzati ottimamente.Se proprio si deve rimpiangere qualcosa è la totale mancanza di sesso(l'unico nudo a cui assistiamo è pure "censurato" dalle mani della sventurata vittima).Rituale twist nel finale,tirato via come il resto.A conti fatti è abbastanza fedele alla filosofia di D'Amato:cinema essenziale onesto,diretto ed esplicito e se stai al gioco ampiamente soddisfacente.E certamente migliore di prodotti che vorrebbero mirare al mainstream serio senza budget nè competenze sufficienti.
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