luciano
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venerdì 15 aprile 2022
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il coraggio dei sentimenti
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In tempi in cui troppo spesso il cinema sembra fatto di freddo intellettualismo, Un mondo in più ha il coraggio di raccontare i sentimenti. È una storia di formazione autentica e catartica. Dentro ci sono i murales di Tor Marancia, padri che giocano alla play, una sirena tatuata, un ragazzo che cerca il suo posto nel mondo (e si masturba sulle foto della compagna di classe che gli piace), gli scritti di Pasolini sulla periferia, una ragazza dura e dolce e bellissima. E ancora palazzi occupati, camorristi con pistole per misurare la temperatura, un padre che lotta per dare al figlio quello che non ha avuto lui, c'è Roma e c'è Napoli, e c'è questo profondo discorso sulla cultura come esperienza vitale che si tramanda di generazione in generazione, da professore ad alunno.
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In tempi in cui troppo spesso il cinema sembra fatto di freddo intellettualismo, Un mondo in più ha il coraggio di raccontare i sentimenti. È una storia di formazione autentica e catartica. Dentro ci sono i murales di Tor Marancia, padri che giocano alla play, una sirena tatuata, un ragazzo che cerca il suo posto nel mondo (e si masturba sulle foto della compagna di classe che gli piace), gli scritti di Pasolini sulla periferia, una ragazza dura e dolce e bellissima. E ancora palazzi occupati, camorristi con pistole per misurare la temperatura, un padre che lotta per dare al figlio quello che non ha avuto lui, c'è Roma e c'è Napoli, e c'è questo profondo discorso sulla cultura come esperienza vitale che si tramanda di generazione in generazione, da professore ad alunno.
Che dire. Ho visto Un mondo in più al festival di Roma. Quando a fine proiezione hanno acceso le luci mi sono accorto che non ero l'unico che in sala piangeva. Una ragazza giovane che avevo notato prima, sola e annoiata, ora era in piedi e non smetteva di sorridere ed applaudire. Con forza. Ogni tanto si interrompeva, si passava le mani sugli occhi. E poi tornava ad applaudire. Poteva avere vent'anni. Ho pensato che quella ragazza somigliasse al sentimento del film.
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alberto58
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lunedì 25 ottobre 2021
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la forza della gentilezza
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Diego è un ragazzo sensibile, istruito, curioso. Ama anche il calcio ma non lo dà a vedere perchè ha paura di essere omologato. La periferia romana del prenestino è il suo mondo da scoprire, va in giro con la macchina fotografica e fotografa le persone di colore, gli immigrati, che con fiducia ed apertura si lasciano fotografare da lui. E’ l’incipit del primo lungometraggio di Luigi Pane, regista napoletano che è venuto a Roma per fare scuola di cinema ed è andato ad abitare al Pigneto. Luigi ha fatto esattamente quello che fa fare a Diego all’inizio del film e si è fatto un’idea della periferia di Roma come di un luogo in cui si possono trovare un numero incredibile di storie e così ci ha scritto il suo primi film.
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Diego è un ragazzo sensibile, istruito, curioso. Ama anche il calcio ma non lo dà a vedere perchè ha paura di essere omologato. La periferia romana del prenestino è il suo mondo da scoprire, va in giro con la macchina fotografica e fotografa le persone di colore, gli immigrati, che con fiducia ed apertura si lasciano fotografare da lui. E’ l’incipit del primo lungometraggio di Luigi Pane, regista napoletano che è venuto a Roma per fare scuola di cinema ed è andato ad abitare al Pigneto. Luigi ha fatto esattamente quello che fa fare a Diego all’inizio del film e si è fatto un’idea della periferia di Roma come di un luogo in cui si possono trovare un numero incredibile di storie e così ci ha scritto il suo primi film. Diego è l’alter ego del regista, una ragazzo timido e gentile che idolatra Pasolini ed il suo film Accattone. Avrà a che fare con una realtà molto dura sia fuori che dentro casa ma sceglierà di reagire sempre con le parole e mai con la violenza. Francesco Ferrante è Diego nel film ed anche lui è al suo film. Lui, il regista e gli altri interpreti principali salgono sul palco sotto lo schermo prima dell’inizio della proiezione, non dicono “Siamo emozionati” perché davvero non c’è bisogno, gli si legge in faccia l’emozione che se li porta via mentre osservano la sala strapiena, saremo 1.000 o 1.500. Dicono poche parole “Del resto adesso lo vedremo, il film”. Forse anche per loro è la prima volta, almeno davanti a tanta altra gente. E mentre lo guardo, il film, sono talmente preso che mi consola pensare che anche loro sono lì in sala a guardare e che quando si riaccenderanno le luci potrò applaudirli ed urlargli “bravi”. Si vede che è un’opera prima perché è con le opere prime che i registi o gli scrittori tirano fuori davvero le cose che li prendono di più e che hanno elaborato molto a lungo, magari con qualche imperfezione formale o qualche ingenuità. Qui forse c’è ma io non l’ho notato. C’è invece una scena che mi è rimasta impressa: Il papà di Diego, un napoletano sotto ricatto con la camorra, vede una bellissima ragazza di colore nel cortile del palazzo dove abita. Si scambiano uno sguardo e lui comincia a seguirla, lei scappa per le scale salendo verso il terrazzo e lui la insegue, infine si infila nei lavatoi dell’ultimo piano e lui spalanca la porta in quella che sembra una aggressione a sfondo razzista e quindi la abbraccia, la bacia e lei risponde con trasporto cingendogli la nuca. I due non possono certo mostrare il loro amore in pubblico dato che lei è uno dei profughi che occupano abusivamente il palazzo e ci sono forti tensioni con i residenti italiani che vorrebbero che fossero sgomberati. Nel finale del film parte “Ragazzo Triste” di Patti Pravo, il regista è giovane e porta sullo schermo giovanissimi esordienti ma strizza l’occhio a noi vecchi per farci capire che ci sono cose che uniscono le nostre generazioni, forse più di quello che ci divide.
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