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eugen
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lunedì 7 aprile 2025
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el medico de campo que....
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En esto"Le medicin de Champagne"/Thoas Liti, 2016)la referencia al medico y a la medicina es continua, donde el medico de campo muy querido de todos y todas queire preservar de manera total su privacy, en particular en relacion a la collega que el collega del hospital manda en los pueblos para darle ajuda cuando vee que su enfermedad es bastante grave. Si no un ll juego intelligente entre comedia y drama, en el estilo frances. Liti es sensible y tecnicamente capaz como escenarista y director, Francosi Clouzet un protagonista de alto nivel, los otros/las otras, empezando de Marianne Deninciorut, tambien, en una pelicula que por parte se puede definir"coral".
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En esto"Le medicin de Champagne"/Thoas Liti, 2016)la referencia al medico y a la medicina es continua, donde el medico de campo muy querido de todos y todas queire preservar de manera total su privacy, en particular en relacion a la collega que el collega del hospital manda en los pueblos para darle ajuda cuando vee que su enfermedad es bastante grave. Si no un ll juego intelligente entre comedia y drama, en el estilo frances. Liti es sensible y tecnicamente capaz como escenarista y director, Francosi Clouzet un protagonista de alto nivel, los otros/las otras, empezando de Marianne Deninciorut, tambien, en una pelicula que por parte se puede definir"coral". Eugen
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felicity
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martedì 18 agosto 2020
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storia gradevole di buoni sentimenti ma non banale
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È in una umanità legata alla scoperta d’essere mortali e della necessità di fare squadra nei momenti di difficoltà che risiedono le scene più belle e delicate de Il medico di campagna.
Scene ben portate avanti dalla recitazione di Fronçois Cluzet, eppure esageratamente soffocate dal mestiere, dalle visite, dalla serie di pazienti.
Il film finisce in questo modo per arenarsi in sequenze lunghissime che lo rallentano.
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È in una umanità legata alla scoperta d’essere mortali e della necessità di fare squadra nei momenti di difficoltà che risiedono le scene più belle e delicate de Il medico di campagna.
Scene ben portate avanti dalla recitazione di Fronçois Cluzet, eppure esageratamente soffocate dal mestiere, dalle visite, dalla serie di pazienti.
Il film finisce in questo modo per arenarsi in sequenze lunghissime che lo rallentano.
E' tutto nel rapporto di amore-odio tra i due medici il motore del film, che punta anche sul contrasto tra città e campagna, soffermandosi in particolare sulle differenze tra un medico ospedaliero, che lavora con migliaia di pazienti in un ambiente spersonalizzante, e uno di campagna, alle cui cure è affidata una comunità di individui riconoscibili, che con il loro medico hanno un rapporto di fiducia reciproca.
Il risultato è un dramma sussurrato, intimo, che esplora il rapporto tra medico e paziente rispettandone la reciproca sensibilità, attraverso uno sguardo cinematografico iperrealista, ma allo stesso tempo ammorbidito da una straordinaria delicatezza nel mostrare la sofferenza.
Il regista evidentemente racconta ciò che conosce, come insegnano i maestri della sceneggiatura, e lo fa come è giusto che sia, restando fedele alla realtà come farebbe un medico, ma con lo sguardo trasognato di un regista.
Adiuvato da Cluzet, attore a suo agio nei registri più disparati, anche in quello molto complicato dei tempi della commedia, trottiamo piacevolmente con lui e poi anche con Nathalie tra la gente semplice eppure tutt’altro che facile della Francia più profonda.
Girato per buona parte in esterni, non riusciamo a rilassare lo sguardo sulle inquadrature bucoliche che la storia sembrava promettere. La terra diventa spesso fango, il fango sangue e ossa rotte, la pioggia temporale, il buio oscurità.
Il rapporto dell’uomo col suo ambiente è dinamico e apprensivo e ogni personaggio in marcia deve essere pronto a qualsiasi avvenimento, anche il più imprevisto. È ben per questo che Jean-Pierre è scettico sull’adattamento di Nathalie in una realtà indomita e poco propensa al compromesso.
Il linguaggio della campagna tende a somigliare alla ricognizione nucleare della risonanza e al protocollo ottuso della radioterapia: essi si sviluppano nell’unica sintassi a loro nota e non potrebbero essere altrimenti.
La storia, comunque, approfitta del suo svolgimento per mostrare gli stati di realtà del nostro tempo.
Cluzet conferma il suo talento a impersonare personaggi fragili, minati da un handicap o da una malattia.
Una storia gradevole, insomma, di buoni sentimenti, ma non necessariamente banale e una piccola gioia per gli occhi.
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felicity
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martedì 11 agosto 2020
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storia gradevole, di buoni sentimenti, non banale
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È in una umanità legata alla scoperta d’essere mortali e della necessità di fare squadra nei momenti di difficoltà che risiedono le scene più belle e delicate de Il medico di campagna.
Scene ben portate avanti dalla recitazione di Fronçois Cluzet, eppure esageratamente soffocate dal mestiere, dalle visite, dalla serie di pazienti.
Il film finisce in questo modo per arenarsi in sequenze lunghissime che lo rallentano.
E' tutto nel rapporto di amore-odio tra i due medici il motore del film, che punta anche sul contrasto tra città e campagna, soffermandosi in particolare sulle differenze tra un medico ospedaliero, che lavora con migliaia di pazienti in un ambiente spersonalizzante, e uno di campagna, alle cui cure è affidata una comunità di individui riconoscibili, che con il loro medico hanno un rapporto di fiducia reciproca.
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È in una umanità legata alla scoperta d’essere mortali e della necessità di fare squadra nei momenti di difficoltà che risiedono le scene più belle e delicate de Il medico di campagna.
Scene ben portate avanti dalla recitazione di Fronçois Cluzet, eppure esageratamente soffocate dal mestiere, dalle visite, dalla serie di pazienti.
Il film finisce in questo modo per arenarsi in sequenze lunghissime che lo rallentano.
E' tutto nel rapporto di amore-odio tra i due medici il motore del film, che punta anche sul contrasto tra città e campagna, soffermandosi in particolare sulle differenze tra un medico ospedaliero, che lavora con migliaia di pazienti in un ambiente spersonalizzante, e uno di campagna, alle cui cure è affidata una comunità di individui riconoscibili, che con il loro medico hanno un rapporto di fiducia reciproca.
Il risultato è un dramma sussurrato, intimo, che esplora il rapporto tra medico e paziente rispettandone la reciproca sensibilità, attraverso uno sguardo cinematografico iperrealista, ma allo stesso tempo ammorbidito da una straordinaria delicatezza nel mostrare la sofferenza.
Il regista evidentemente racconta ciò che conosce, come insegnano i maestri della sceneggiatura, e lo fa come è giusto che sia, restando fedele alla realtà come farebbe un medico, ma con lo sguardo trasognato di un regista.
Adiuvato da Cluzet, attore a suo agio nei registri più disparati, anche in quello molto complicato dei tempi della commedia, trottiamo piacevolmente con lui e poi anche con Nathalie tra la gente semplice eppure tutt’altro che facile della Francia più profonda.
Girato per buona parte in esterni, non riusciamo a rilassare lo sguardo sulle inquadrature bucoliche che la storia sembrava promettere. La terra diventa spesso fango, il fango sangue e ossa rotte, la pioggia temporale, il buio oscurità.
Il rapporto dell’uomo col suo ambiente è dinamico e apprensivo e ogni personaggio in marcia deve essere pronto a qualsiasi avvenimento, anche il più imprevisto. È ben per questo che Jean-Pierre è scettico sull’adattamento di Nathalie in una realtà indomita e poco propensa al compromesso.
Il linguaggio della campagna tende a somigliare alla ricognizione nucleare della risonanza e al protocollo ottuso della radioterapia: essi si sviluppano nell’unica sintassi a loro nota e non potrebbero essere altrimenti.
La storia, comunque, approfitta del suo svolgimento per mostrare gli stati di realtà del nostro tempo.
Cluzet conferma il suo talento a impersonare personaggi fragili, minati da un handicap o da una malattia.
Una storia gradevole, insomma, di buoni sentimenti, ma non necessariamente banale e una piccola gioia per gli occhi.
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francesco2
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domenica 27 maggio 2018
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infermiera, e fumo
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Una brava Marianne Dénicourt dà vita ad un personaggio di infermiera fumatrice. Politicamente scorretta, o poco professionale, secondo l'ottica.
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francesco2
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domenica 27 maggio 2018
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il medico..........."paziente"
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Un’eccellente interpretazione maschile illumina questo film, prodotto medio francese che in Italia –Ma perché,poi ?- sarebbe irrealizzabile. Chi non conosca, piuttosto bene, la realtà di certi paesi francofoni non potrà coglierne fino in fondo il messaggio: in Belgio, infatti –ma anche in Francia, evidentemente- questa figura rischia di scomparire, ma un tempo il “medico di campagna” era più diffuso, era colui – o colei- che si inoltrava nei paesini sperduti per curare dei pazienti in difficoltà. Ed, a proposito di “pazienti”, lo è anche il personaggio principale, oltre che medico. Ma lo è anche nel senso etimologico latino di “patere”, provare passione. Ecco che, allora, il suo travaglio assume una doppia natura: la sua salute viene messa alla prova, ed al contempo deve collaborare con il personaggio della Denicourt, figura di “rottura” per la sua routine quotidiana.
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Un’eccellente interpretazione maschile illumina questo film, prodotto medio francese che in Italia –Ma perché,poi ?- sarebbe irrealizzabile. Chi non conosca, piuttosto bene, la realtà di certi paesi francofoni non potrà coglierne fino in fondo il messaggio: in Belgio, infatti –ma anche in Francia, evidentemente- questa figura rischia di scomparire, ma un tempo il “medico di campagna” era più diffuso, era colui – o colei- che si inoltrava nei paesini sperduti per curare dei pazienti in difficoltà. Ed, a proposito di “pazienti”, lo è anche il personaggio principale, oltre che medico. Ma lo è anche nel senso etimologico latino di “patere”, provare passione. Ecco che, allora, il suo travaglio assume una doppia natura: la sua salute viene messa alla prova, ed al contempo deve collaborare con il personaggio della Denicourt, figura di “rottura” per la sua routine quotidiana. La sceneggiatura, tuttavia, non aiuta di certo questo film, ed i tempi –forse- “sincopati” nelle intenzioni del rgista, a volte mi sembrano lenti, piuttosto a vuoto.
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ninoraffa
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lunedì 23 ottobre 2017
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anti grey's anatomy
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Storia di opposti, quest’ultima fatica di Thomas Lilti, ex medico votatosi al cinema senza dimenticare la prima vocazione. Opposti una volta tanto risolti: tra città e campagna, tra oltranzismo terapeutico e morte dignitosa “il Medico di Campagna” non ha dubbi.
Il non più giovane Jean Pierre (François Cluzet) esercita con devozione d’altri tempi l’arte di Ippocrate nel paesino francese in cui è nato; ha un figlio architetto in uno studio internazionale e la moglie a Parigi di cui significativamente non sappiamo altro. Quando gli viene diagnosticato un tumore al cervello la prende senza drammi. Si sottopone alle terapie, ma nasconde la notizia pretendendo che nulla cambi nel suo lavoro, non sappiamo se per stoicismo o rimozione; coraggio e paura, com’è noto, sono facce della stessa medaglia.
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Storia di opposti, quest’ultima fatica di Thomas Lilti, ex medico votatosi al cinema senza dimenticare la prima vocazione. Opposti una volta tanto risolti: tra città e campagna, tra oltranzismo terapeutico e morte dignitosa “il Medico di Campagna” non ha dubbi.
Il non più giovane Jean Pierre (François Cluzet) esercita con devozione d’altri tempi l’arte di Ippocrate nel paesino francese in cui è nato; ha un figlio architetto in uno studio internazionale e la moglie a Parigi di cui significativamente non sappiamo altro. Quando gli viene diagnosticato un tumore al cervello la prende senza drammi. Si sottopone alle terapie, ma nasconde la notizia pretendendo che nulla cambi nel suo lavoro, non sappiamo se per stoicismo o rimozione; coraggio e paura, com’è noto, sono facce della stessa medaglia. Gli viene forzatamente affiancata Nathalie (Marianne Denicourt), una collega neo-laureata quasi quarantenne, già espertissima infermiera. Anche per lei si tratta di una scelta: ignoriamo perché, ma ha proprio voluto quest’incarico disagiato e fuori mano. L’accoglienza che le riserva Jean Pierre oscilla tra la freddezza, l’ostruzionismo e il sabotaggio; anche i pazienti all’inizio non sono da meno nel rifiutarla, un po’ per antica consuetudine col collega, un po’ per diffidenza di genere. Ma la tempra di Nathalie avrà la meglio: non ci vorrà molto prima che la fila delle visite si allunghi dietro la sua porta.
Come nel precedente “Hippocrate”dello stesso autore, anche qui la medicina è occasione propizia per più vasti interrogativi sulla civiltà e l’uomo. Jean Pierre, e presto anche Nathalie, rappresentano le vecchie cure quasi dimenticate, fatte più di ascolto e tempo per i pazienti che di chimica; di parole semplici e non di tecnicismi e macchinari. Medicina senza orario né meteo, che attraversa strade polverose, campi fangosi, fienili, stalle, cani e oche. Pratica umana lenta, silenziosa e affatto spettacolare, anti Grey’s Anatomy et similia, dove una morte familiare nei propri luoghi è preferibile a una ricoverata intubata vita estranea. Parigi con le sue TAC e i policlinici tecnologici è inquadrata da lontano, volutamente grigia e dominata dalla selva dei grattacieli della Defense, quasi come nella distopia fantascientifica di un futuro che preferiremmo evitare.
Thomas Lilti rappresenta comunque le sue preferenze umaniste con stile piano, senza eroi né antieroi, senza retorica né illusioni. In paese c’è un ragazzo autistico che, in una trincea scavata nel giardino, crede di combattere la guerra del 14-18, di cui sa tutto. Stretto tra magri bilanci pubblici e grosse multinazionali, politica debole e schiaccianti interessi privati, urbanizzazione selvaggia e disumanizzante, il mondo che Jean Pierre e Nathalie cercano ancora di coltivare è un po’ come questo ragazzo, rimasto alla sua vecchia guerra mentre ormai se ne combattono altre.
Film quindi dalla materia importante, trattata con delicatezza, spesso per sottintesi e sottrazioni. Rimane però la sensazione che si disperda in tanti quadretti e giri a vuoto, fallendo di lasciare il segno che si propone. Qualche concessione di troppo alla commedia: il nostro medico, capelluto e abbastanza in forma dopo chemio e radio, rende più facile la storia ma abusa della credulità ordinariamente richiesta allo spettatore. Buona rappresentazione della vita semplice, dell’umanità e dei divertimenti schietti della campagna, sebbene anche qui con un’evitabile festa in stile country americano sulle note dell’Hallelujah di Leonard Coen. Forse nella provincia transalpina, come altrove in tutto il mondo, ci si diverte veramente così, ma nel cuore profondo della Francia ci aspetteremmo qualcosa di più locale: una volta tanto, un tocco di genuino sciovinismo gallico sarebbe stato apprezzabile.
L’ottima interpretazione dei due protagonisti tenta di coprire i limiti del film, riuscendo a renderlo comunque godibile. Bravissima Marianne Denicourt in tutte le varietà del suo sorriso: dalla pazienza all’ironia, dall’attesa alla comprensione, dalla compassione all’incoraggiamento, con un velo di malinconia a richiamare il suo passato incognito e lo sconosciuto profondo della sua scelta. E forse, più che nei temi portanti - l’antica incomprensione tra città e campagna, il cortocircuito tra il medico e la sua malattia, il dialogo tra la vita e la morte – “Il Medico di Campagna” dà il meglio proprio in questa figura femminile d’incrollabile ma lieve determinazione.
Nathalie e Jean Pierre andranno oltre la stima professionale che lei ha saputo conquistarsi, fino all’amicizia e forse oltre. L’ultima scena li coglie insieme in auto chiamati d’urgenza. Lei alla guida. Una lunga strada, dritta tra i boschi, si apre davanti.
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gufetta76
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domenica 21 maggio 2017
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come descrivere una professione e un mondo con un
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La regia è fantastica :leggera veloce mai patetica. La tematica è drammatica ma viene affrontato in maniera solare e concreta. La trama affronta delle tematiche che toccano nel profondo chi svolge una professione d'aiuto. A parte lo Yoga della risata che a quanto pare so nota parecchio diffusa, il film è tanto bello. Consigliato.
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filippo catani
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martedì 10 gennaio 2017
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il medico di paese
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Il medico di famiglia di un piccolo paese francese deve iniziare un ciclo di chemioterapia e verrà quindi affiancato da una nuova dottoressa proveniente dalla città che dovrà fare i conti non solo con il burbero collega ma anche e soprattutto con i suoi nuovi pazienti.
Il film mette in scena direi alla perfezione quello che è il mestiere del medico di famiglia specialmente se esercitato in una piccola comunità dove si finisce per conoscersi tutti. Ecco allora che il medico oltre ad esercitare il proprio mestiere deve essere anche un pochino tutto: psicologo, dietologo, vice assisstente sociale ecc. In questo modo il protagonista di questo film si è costruito una fama in paese ma non è riuscito a tenere insieme la propria famiglia e questo gli brucia ancora.
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Il medico di famiglia di un piccolo paese francese deve iniziare un ciclo di chemioterapia e verrà quindi affiancato da una nuova dottoressa proveniente dalla città che dovrà fare i conti non solo con il burbero collega ma anche e soprattutto con i suoi nuovi pazienti.
Il film mette in scena direi alla perfezione quello che è il mestiere del medico di famiglia specialmente se esercitato in una piccola comunità dove si finisce per conoscersi tutti. Ecco allora che il medico oltre ad esercitare il proprio mestiere deve essere anche un pochino tutto: psicologo, dietologo, vice assisstente sociale ecc. In questo modo il protagonista di questo film si è costruito una fama in paese ma non è riuscito a tenere insieme la propria famiglia e questo gli brucia ancora. L'arrivo della nuova dottoressa sconvolgerà sia il piccolo mondo paesano ma anche e soprattutto le vite di entrambi in quanto la donna cercherà di fare di tutto per mostrare il suo valore mentre lui di contro cercherà di metterla in difficoltà e troverà tutti i modi per nascondergli la sua malattia. Ben recitato dalla coppia Cluzet-Denicourt, il film ha il merito di scivolare bene verso un finale non banale e/o melenso cosa che lo avrebbe reso indigeribile.
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silvano bersani
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venerdì 6 gennaio 2017
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il pessimismo ottimista della ragione
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Non farà gridare al capolavoro, ma temo che questo piccolo gioiello che ci viene regalato da questa produzione profontamente ed intimamente francese sia un po' sottovalutato dal pubblico italiano, col palato anestetizzato dalle produzioni nostrane di questo periodo.
Perchè se un merito va ascritto alla filmografia francese contemporanea è di perseguire con profonda onestà intellettuale una rigorosa coerenza nel rivolgere lo sguardo sul presente in modo disincantato, ma senza voli iperbolici o senza voler ad ogni costo mettere nel piatto sapori estremi.
Il soggetto attinge ad una presa di coscienza laica e disincantata della fragilità della esistenza umana e la sceneggiatura colloca la vicenda in una provincia che solo a tratti sembra fuori dal tempo, ma che al contrario trova continui agganci con la realtà globalizzata contemporanea, senza fare dell'una e dell'altra ne' un feticcio, ne' una dannazione.
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Non farà gridare al capolavoro, ma temo che questo piccolo gioiello che ci viene regalato da questa produzione profontamente ed intimamente francese sia un po' sottovalutato dal pubblico italiano, col palato anestetizzato dalle produzioni nostrane di questo periodo.
Perchè se un merito va ascritto alla filmografia francese contemporanea è di perseguire con profonda onestà intellettuale una rigorosa coerenza nel rivolgere lo sguardo sul presente in modo disincantato, ma senza voli iperbolici o senza voler ad ogni costo mettere nel piatto sapori estremi.
Il soggetto attinge ad una presa di coscienza laica e disincantata della fragilità della esistenza umana e la sceneggiatura colloca la vicenda in una provincia che solo a tratti sembra fuori dal tempo, ma che al contrario trova continui agganci con la realtà globalizzata contemporanea, senza fare dell'una e dell'altra ne' un feticcio, ne' una dannazione.
Si può raccontare una storia di oggi senza mettere in scena i soliti luoghi comuni o le macchiette tanto care, per dire, al nostro cinema attuale, Si può mostrare l'estrema dignità che appartiene a chi subisce la degradazione dei corpi, senza essere sdolcinati o debordanti o fatalisti. In coerenza con una laicità matura e non ostentata. Anzi, al contrario, quasi evitando con estremo pudore ciò che potrebbe essere inteso come una presa di posizione militante.
E' dunque una storia che appartiene a chiunque, ma credo a tutti, prima o poi farà i conti con la misura della propria vicenda umana sul metro della sofferenza. La malattia, dice il protagonista, è un guasto nella macchina che richiede l'intervento di chi sa dove mettere le mani. La malattia che si vede e anche quella che non si vede. Perchè, continua il protagonista, la Natura (vedi bene: la Natura e non Dio) è meravigliosa, ma talvolta è tremenda. E' matrigna. Dov'è che l'avevamo già sentita una cosa così?
Dunque, dicevamo, forse non un capolavoro, ma un'opera stilisticamente corretta, elegante e coerente. Una sceneggiatura equilibrata, una regia attenta e un'ottima interpretazione, particolarmente intensa, ma sempre molto misurata.
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emanuele 1968
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lunedì 2 gennaio 2017
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bello
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