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zarar
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venerdì 21 aprile 2017
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la forza delle donne
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Film apertamente femminista, elementare nel disegno, ma pieno di energia, empatia, passione, costruito intorno a tre ragazze palestinesi che condividono un appartamento a Tel Aviv. La regista palestinese Maysaloun Hamoud, al suo esordio, si riconosce debitrice di Almodovar e in effetti nel film si ritrova lo scatto, la determinazione, il dialogo deciso, i colori forti del regista spagnolo. Ma qui c’è meno simbolismo, meno design futurista, un più forte impatto di realtà, una maggiore concessione al pathos che sta sotto a scelte decisive, rivoluzionarie. L’ambiente in cui vivono le protagoniste è problematico non solo per motivi politici, che qui non sono al centro dell’attenzione, ma per una coesistenza paradossale di mondi antitetici, apparentemente incompatibili.
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Film apertamente femminista, elementare nel disegno, ma pieno di energia, empatia, passione, costruito intorno a tre ragazze palestinesi che condividono un appartamento a Tel Aviv. La regista palestinese Maysaloun Hamoud, al suo esordio, si riconosce debitrice di Almodovar e in effetti nel film si ritrova lo scatto, la determinazione, il dialogo deciso, i colori forti del regista spagnolo. Ma qui c’è meno simbolismo, meno design futurista, un più forte impatto di realtà, una maggiore concessione al pathos che sta sotto a scelte decisive, rivoluzionarie. L’ambiente in cui vivono le protagoniste è problematico non solo per motivi politici, che qui non sono al centro dell’attenzione, ma per una coesistenza paradossale di mondi antitetici, apparentemente incompatibili. Alle tre ragazze non è mancata educazione e una buona dose di libertà: Laila è avvocato, Salma è una DJ, Nour studia informatica e tutte e tre vivono sole in città, pur provenendo da paesi e famiglie della tradizione più conservatrice. Nessuno impedisce alla bella Laila di vestirsi in modo provocante, bere, sniffare droghe, fare l’amore; Salma ha un look pop, piercing ovunque ed è pronta a difendere la sua omosessualità; ambedue fanno della notte giorno in discoteca; persino Nour, la timida musulmana osservante con tanto di hijab, goffa ma dolcissima, tiene testa in modo mite ma tenace ad un fidanzato che la vorrebbe molto più sottomessa e che snobba il suo attaccamento allo studio. Tre ragazze con una loro personalità, che però finiscono con lo scontrarsi con le contraddizioni e le ipocrisie di una società che è stata investita dalla modernità anche nei suoi aspetti più disordinati e trasgressivi, ma resta arcaica nel non riconoscere libertà e dignità sostanziale alla donna nel suo rapporto con l'uomo e con l'istituzione familiare. Un contrasto che genera mille ipocrisie, ma che permane tenacemente. L’uomo di cui Laila è innamorata è ben contento di essere il suo amante, ma si vergognerebbe di lei come sposa; la famiglia di Salma dà per scontato per lei un matrimonio combinato e scopre con orrore la sua omosessualità; Nour è violentata dal fidanzato che vuole forzarla ad un matrimonio precoce. In mezzo al guado tra passato e futuro, ma indomite, terranno duro tutte e tre e difenderanno la loro dignità di donne, ritrovando la forza che viene dal senso di sé, dalla solideriatà femminile e dalla capacità, anche quella tutta femminile, di guardare avanti prima e meglio di molti uomini. Bei primi piani, bel ritmo. Impagabile il fermo immagine finale, lo sguardo di infinita commiserazione con cui le tre protagoniste contemplano dall’esterno un gruppo di maschi molto qualunque che si sono lasciate alle spalle, mentre gli spettatori, e soprattutto le spettatrici , se ne vanno soddisfatte. Tre stelle e mezzo.
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maramaldo
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lunedì 17 aprile 2017
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l'insostenibile leggerezza dell'essere...donna.
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In Between: nè qua nè là. Bar Bahar: tra terra e mare ovvero nè carne nè pesce. Quest'indeterminezza, quest'assenza di riferimenti non alludono all'universo femminile? in principio ho creduto davvero di assistere ad una lezione di femminismo: si utilizzavano perversioni dei nostri tempi come materiale didattico. Più tardi mi son ricordato che Maysaloum è creatura del Medio Oriente. Lì, niente è chiaro, logico, lineare; un'analisi si fa per congetture. Alla fine, Selma/Noor/Leila appaiono sullo sfondo emblematiche. Sì, ma misteriose, vagamente incongrue come tre civette sul comò, beneauguranti quanto le streghe di Macbeth
Si descrive un contesto ove mentalità retrive di anziani (specie in estinzione che non verrà rimpianta) si mescolano a comportamenti degradanti di giovani ottusi e senza speranza (neanche per quest'ultimi pietà come se non appartenessero a categorie di oppressi, a vittime di oscurantismi).
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In Between: nè qua nè là. Bar Bahar: tra terra e mare ovvero nè carne nè pesce. Quest'indeterminezza, quest'assenza di riferimenti non alludono all'universo femminile? in principio ho creduto davvero di assistere ad una lezione di femminismo: si utilizzavano perversioni dei nostri tempi come materiale didattico. Più tardi mi son ricordato che Maysaloum è creatura del Medio Oriente. Lì, niente è chiaro, logico, lineare; un'analisi si fa per congetture. Alla fine, Selma/Noor/Leila appaiono sullo sfondo emblematiche. Sì, ma misteriose, vagamente incongrue come tre civette sul comò, beneauguranti quanto le streghe di Macbeth
Si descrive un contesto ove mentalità retrive di anziani (specie in estinzione che non verrà rimpianta) si mescolano a comportamenti degradanti di giovani ottusi e senza speranza (neanche per quest'ultimi pietà come se non appartenessero a categorie di oppressi, a vittime di oscurantismi). Da Selma e Leila si ricavano spunti narrativi, a volte banalucci e un tantino improbabili. Quanto alla sessualità, non volano feronomi: accenni artificiosi, quasi di chi non li ha vissuti. Men che meno per quelle varianti che si vorrebbero accettate e protette come nei paesi avanzati.
E' di Noor che vuole parlarvi l'esordiente regista. Della sua storia, del percorso della sua liberazione. Noor, l'osservante. Pingue secondo un comandamento non scritto basato sul gradimento atavico di un fisico al quale, prima ancora che teologicamente, si deve praticamente abbinare un apposito vestiario. Aliena da vizi e vezzi, Noor: ciò si deve alla sana educazione medioevale che le è stata impartita. Pertanto, pure rispettosa; anche nel disprezzo disdegna le consuete insolenze volgari delle compagne. Riguardo per gli altri non esclude stima, culto di sè. Subito l'oltraggio, pensa di non aver più dignità per vivere. Immergendosi nelle onde che dovrebbero annullarla si accorge che si mantiene benissimo a galla, rimette allora i piedi a terra. Attenti a chi torna a riva dopo essersi guardata andare alla deriva di un'autodistruzione. Compassione per nessuno, uccide. Così Noor al povero troglodita maldestro di Wissam riserva una condanna che annichilirebbe chiunque: "Non ti amo". Nella vicenda vi è più di una riprovazione, nella sequenza della violazione traspare disgusto, una ripugnanza viscerale per la bestialità di un uomo. Fatto personale? Regolamento di conti?
Il film ha ricevuto riconoscimenti e premi. Ha valore di documento. E' un atto di coraggio. E qui casca l'asino. Da noi, liberali con chi spalma ludibrio sui nostri retaggi millenari, si diventa guardinghi quandi si tratta di non irritare sensibilità d'importazione. Saggiamente. Così, In Between è stato relegato in una distribuzione semiclandestina. Se lo perdete, evitata una considerazione scoraggiante. Se lo acchiappate al volo, ragazze, avrete l'opportunità di dare un'occhiata ai risvolti di qualcosa che già incombe anche su di voi.
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citri
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martedì 11 aprile 2017
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stereotipi inutili e discriminatori
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Mentre la storia delle tre donne, casualmente, come la critica sottolinea, potrebbe svolgersi in qualsiasi parte del mondo, non è altrettanto casuale la scelta delle protagoniste. La regista sceglie per il suo film tre figure precise, tre donne arabo-palestinesi che come tanti “giovani occidentali” sono dedite all’alcol, agli spinelli, alla cocaina.
La scelta delle protagoniste si concentra su tre donne con compagni “maschilisti” e famiglie fanatiche/tradizionaliste, non esattamente un campione delle famiglie medie palestinesi con cittadinanza israeliana.
Nour, devota e velata, è promessa a Wissam fanatico religioso che la stupra durante una visita.
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Mentre la storia delle tre donne, casualmente, come la critica sottolinea, potrebbe svolgersi in qualsiasi parte del mondo, non è altrettanto casuale la scelta delle protagoniste. La regista sceglie per il suo film tre figure precise, tre donne arabo-palestinesi che come tanti “giovani occidentali” sono dedite all’alcol, agli spinelli, alla cocaina.
La scelta delle protagoniste si concentra su tre donne con compagni “maschilisti” e famiglie fanatiche/tradizionaliste, non esattamente un campione delle famiglie medie palestinesi con cittadinanza israeliana.
Nour, devota e velata, è promessa a Wissam fanatico religioso che la stupra durante una visita.
Leila, la sex symbol, è un avvocato penalista che passa le sue notti tra night e sbornie.
Salma è una barista dj lesbica, con abbigliamento casual, piercing e maglietta con Leila Khaled. A causa della sua storia sentimentale è costretta a scappare dalla famiglia conservatrice dopo essere stata presa a sberle dal padre che minaccia di chiuderla in manicomio “per guarirla dalla sua malattia.”
Nessun riferimento alla vita reale della città e alla politica oscurantista del governo israeliano. Non si intravede l’occupazione, la militarizzazione della città, le associazioni che scendono in piazza per denunciare demolizioni e abusi quotidiani, l’apartheid che discrimina gli arabi palestinesi dagli stessi cittadini ebrei che vivono a Tel Aviv.
Nessun riferimento nel film alle donne ebree israeliane che vivono situazioni terribili di sottomissione, un esempio eclatante quello dell’ Ikea che ha dovuto ristampare i suoi cataloghi togliendo qualsiasi immagine femminile per attirare clienti ebrei ultraortodossi.
Aria fritta dunque, specie se la si vuole appiccicare a tutti i costi ad un mondo che la regista sembra non conoscere abbastanza. Parlo del mondo arabo, mi riferisco alle donne arabe che, in secoli di storia, hanno dimostrato con ben altri metodi il loro modo di essere ribelli, altro che canne, droga e discoteche.
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mauriziomeres
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martedì 11 aprile 2017
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la voglia di libertà
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Bellissimo ritratto esistenziale di tre ragazze palestinesi, vivono in una Tel Aviv trasgressiva e sopratutto fin troppo libera nei costumi di un islamismo integralista,ma sicuramente aperta al libero pensiero, differenti caratterialmente l'una dall'altra, ma profondamente coinvolte in una libera amicizia e soprattutto in un aiuto reciproco,essendo di fede Islamica ognuna di loro porta con se situazioni famigliari,ancorate nel rispetto della loro fede religiosa.
Ottimo esordio della regista Ungherese,Maysaloun Hamoud,attenta, scrupolosa, con molto tatto riesce ad evidenziare tutte le contraddizioni che in qualsiasi religione emergono nella loro interpretazione, ma capace anche di far uscire quello che ogni essere umano possiede nel profondo dell'anima,amore e comprensione.
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Bellissimo ritratto esistenziale di tre ragazze palestinesi, vivono in una Tel Aviv trasgressiva e sopratutto fin troppo libera nei costumi di un islamismo integralista,ma sicuramente aperta al libero pensiero, differenti caratterialmente l'una dall'altra, ma profondamente coinvolte in una libera amicizia e soprattutto in un aiuto reciproco,essendo di fede Islamica ognuna di loro porta con se situazioni famigliari,ancorate nel rispetto della loro fede religiosa.
Ottimo esordio della regista Ungherese,Maysaloun Hamoud,attenta, scrupolosa, con molto tatto riesce ad evidenziare tutte le contraddizioni che in qualsiasi religione emergono nella loro interpretazione, ma capace anche di far uscire quello che ogni essere umano possiede nel profondo dell'anima,amore e comprensione.
Bravissime e anche loro all'esordio cinematografico le tre ragazze,interpretano nel migliore dei modi il ritratto personale di quello che sono nel film,sceneggiatura semplice,scorrevole e anche accattivante,intersecando i tre profili femminili,senza mai sovrapporsi.
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zoomecontrozoom
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lunedì 10 aprile 2017
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ognuno stia alle regole del proprio ovile
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Il fermo immagine col quale si chiude il film, non è, come lo era per “Thelma & Louise”, liricamente sospeso in quell’unico millesimo possibile di felicità nell’avventura della vita, ma
è il “punto e a capo”, quello che si deve mettere quando, fatte delle esperienze importanti, avendo imparato come funzionano le cose, si può ricominciare. Diversamente.
Le tre giovani hanno questa possibilità, dato che invece di essere con il F.I. sospese sopra un baratro, stanno semplicemente sedute su di un muretto ed hanno di conseguenza come ipotetica proiezione, la possibilità di vivere ancora. La domanda che pone questo racconto di tre giovani vite che devono ancora spaziare nel mondo, la domanda è: ma come si può vivere, conoscendo l’ineluttabilità dei limiti della propria libertà ?
Le attitudini, o tendenze affettive ed esistenziali delle tre donne, non sono una scoperta sconvolgente, di sconvolgente in questo racconto, non c’è nulla di sconosciuto o che non succeda altrove, è solo la corrente che percorre il filo spinato dell’ovile, che è diversa, ma diversa in ogni luogo a seconda della “caratterialità” di uomini e donne, persone, che hanno plasmato e costruito nei tempi, il proprio Paese.
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Il fermo immagine col quale si chiude il film, non è, come lo era per “Thelma & Louise”, liricamente sospeso in quell’unico millesimo possibile di felicità nell’avventura della vita, ma
è il “punto e a capo”, quello che si deve mettere quando, fatte delle esperienze importanti, avendo imparato come funzionano le cose, si può ricominciare. Diversamente.
Le tre giovani hanno questa possibilità, dato che invece di essere con il F.I. sospese sopra un baratro, stanno semplicemente sedute su di un muretto ed hanno di conseguenza come ipotetica proiezione, la possibilità di vivere ancora. La domanda che pone questo racconto di tre giovani vite che devono ancora spaziare nel mondo, la domanda è: ma come si può vivere, conoscendo l’ineluttabilità dei limiti della propria libertà ?
Le attitudini, o tendenze affettive ed esistenziali delle tre donne, non sono una scoperta sconvolgente, di sconvolgente in questo racconto, non c’è nulla di sconosciuto o che non succeda altrove, è solo la corrente che percorre il filo spinato dell’ovile, che è diversa, ma diversa in ogni luogo a seconda della “caratterialità” di uomini e donne, persone, che hanno plasmato e costruito nei tempi, il proprio Paese. Sì, è un film sconvolgente, ma non per la sessualità lesbica, non per lo stupro, non per la cocaina sniffata, lo sconvolgente è nell’ipocrita esistenza di chi non è come loro, ma sa, fa, capisce e finge, anzi, riconosce il valore e non l’ipocrisia: la famiglia, che è per il matrimonio senza amore, il fidanzato che con le lodi ad Allāh cova in sè sentimenti abbietti e violenti, il compagno che finge quello che non è sapendo che il proprio legame è solo menzogna di se stesso. Queste sono le cose sconvolgenti che il regista mette in luce, in quanto esistono nell’accettazione totale e farisea “distinguendosi per un accentuato rigorismo etico e per uno scrupoloso formalismo nell'osservanza della legge”. Questi sono gli elementi ai quali le tre donne si ribellano, ognuna soffrendo in modo diverso, ma è quello il F.I. del film: quello della consapevolezza della sofferenza ineluttabile. Le interpretazioni femminili e le situazioni entro le quali si muovono, sono portate all’eccesso, una sottolineatura forte, e contrastano con la magmatica imperturbabilità della “normalità”. Qualche spiraglio che fa un po’ di luce in questo scenario, è solamente il lampo di un genitore più sensibile, ma è un po’ poco. Bella pure la muta solidarietà femminile allo stupro.
Un film che sbatte in faccia la realtà con molti primi piani di donne che hanno volti intensi, molto diversi dalla bellezza patinata e “cartonacea” dei film Occidentali dove biondi, belli, aitanti trascinano il branco. La bellezza delle donne mediorientali, ha uno spessore quasi palpabile, mentre qui, i ruoli maschili, sono più neutri, non ci sono volti o loro aspetti che incuriosiscano. Gli ambienti sono poco trattati, la macchina da presa è sulle ragazze e il racconto non è sempre fluido nelle strategie che sceglie, ma è un buon film che riassume e rilancia chiedendo una smentita che non può esserci se non nella presa di coscienza di donne che comincino a capire cos’è la libertà negata.
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flyanto
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lunedì 10 aprile 2017
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tre donne emancipate contro una società retrogada
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Già dal titolo (sia quello italiano "Libere, Disobbedienti, Innamorate", che inglese "In Between" ed israeliano la cui traduzione più o meno è "Tra Terra e Mare") si evince che si sta ad indicare una posizione 'di mezzo', non definita e, comunque, in contrapposizione con quella 'ufficiale' prestabilita e consentita.
E le tre giovani donne palestinesi protagoniste della suddetta pellicola cinematografica, abitanti nella città di Tel Aviv, costituiscono l'esempio lampante di questa condizione di contrapposizione ad un modello standard fortemente radicato nella cultura e nell'ambiente in cui vivono.
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Già dal titolo (sia quello italiano "Libere, Disobbedienti, Innamorate", che inglese "In Between" ed israeliano la cui traduzione più o meno è "Tra Terra e Mare") si evince che si sta ad indicare una posizione 'di mezzo', non definita e, comunque, in contrapposizione con quella 'ufficiale' prestabilita e consentita.
E le tre giovani donne palestinesi protagoniste della suddetta pellicola cinematografica, abitanti nella città di Tel Aviv, costituiscono l'esempio lampante di questa condizione di contrapposizione ad un modello standard fortemente radicato nella cultura e nell'ambiente in cui vivono. Esse, infatti, rappresentano, sia pure in una maniera differente l'una dall'altra, tre tipologie di donne moderne, emancipate e seguaci fortemente della propria libertà individuale. Vi è quella che è un avvocato penalista e che preferisce rimanere single piuttosto che sottomessa ad un uomo prevaricatore ed ancora ancorato ai dettami ormai superati della cultura tradizionale; poi vi è la giovane dee-jay che deve tenere nascosta la propria omosessualità perchè ovviamente rifiutata e disapprovata dalla propria famiglia tradizionale; ed infine la studentessa, seguace ortodossa della religione musulmana, che è già promessa in sposa ad un uomo tradizionale, bigotto e prevaricatore, nonchè violento, a cui alla fine giustamente ella si ribella. Pagheranno con la solitudine e l'emarginazione da parte dei più la propria indipendenza e 'spregiudicatezza'.
La regista Maysaloun Hamoud, dunque, presenta molto efficacemente sullo schermo tre tipologie di donne contemporanee e moderne di mentalità e con un 'modus vivendi' nettamente in contrasto con un ambiente ed una società ancora fortemente legata al passato ed alle sue tradizioni ormai superate. La loro lotta per fare prevalere i propri desideri e i propri principi all'avanguardia, molto vicini a quelli del mondo occidentale, è dura e soprattutto reca inevitabilmente con sè il prezzo di una condizione di isolamento, di solitudine e di discriminazione da parte della maggior parte della società ma, ben consapevoli e determinate, esse preferiscono non rinunciare alla propria reale natura dii opposizione alle regole ed essere coerenti con se stesse. Il film, per quanto non proponga una tematica del tutto nuova (a riguardo, sia pure in una forma e con un trama ben diverse, richiama parecchio "La Sposa Turca" del regista turco Fath Akin) risulta comunque interessante e ben fatto e sicuramente di denuncia di una certa condizione in cui ancor oggi molte donne ancora purtroppo sono costrette a vivere, pertanto la pellicola è sicuramente consigliabile per indurre lo spettatore a riflettere seriamente su una realtà alquanto deplorevole e, purtroppo, ancora radicata al giorno d'oggi.
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alice88
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venerdì 7 aprile 2017
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quello che le donne... dicono
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Film battagliero e, al tempo stesso, capace di grazia e leggerezza, "Libere, disobbedienti e innamorate" è sicuramente la grande rivelazione di questa stagione cinematografica. Un'opera prima che, sotto il segno del girl power, parla di amicizia e di indipendenza femminile, senza cadere negli stereotipi e nella retorica. Si ride, si sorride, ci si commuove, ci si indigna: insomma, l'esordio di Maysaloun Hamoud colpisce al cuore e allo stomaco, facendoti uscire dalla sala con la certezza di aver visto un film davvero importante.
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