lorenzo tardella
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venerdì 11 settembre 2015
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avanguardia pura
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Quello di Biennale College e’ un progetto interessante che merita un piccolo approfondimento: da qualche anno a questa parte, la Biennale di Venezia seleziona dodici progetti per la realizzazione di altrettanti lungometraggi, e apre le porte ai talenti dietro a questi progetti per un vero e proprio college in cui svilupparli. Al termine, tre di questi film saranno realizzati e prodotti dalla stessa Biennale.
Il primo dei tre progetti di quest’anno si chiama “Baby Bump”: polacco con qualche incursione di inglese, è stata senza dubbio alcuno la più grande sorpresa di questa 72sima mostra del cinema.
La storia, che MAI riuscirà ad essere riassunta con l’uso delle sole parole, e’ quella di Mickey House.
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Quello di Biennale College e’ un progetto interessante che merita un piccolo approfondimento: da qualche anno a questa parte, la Biennale di Venezia seleziona dodici progetti per la realizzazione di altrettanti lungometraggi, e apre le porte ai talenti dietro a questi progetti per un vero e proprio college in cui svilupparli. Al termine, tre di questi film saranno realizzati e prodotti dalla stessa Biennale.
Il primo dei tre progetti di quest’anno si chiama “Baby Bump”: polacco con qualche incursione di inglese, è stata senza dubbio alcuno la più grande sorpresa di questa 72sima mostra del cinema.
La storia, che MAI riuscirà ad essere riassunta con l’uso delle sole parole, e’ quella di Mickey House.
Un ragazzino di 11 anni che vive con sua madre ed attraversa quel traumatico ed indelebile momento di passaggio verso l’adolescenza.
La sua vita in casa e’ una bolla di candore e innocenza: il pigiama rosa a quadretti, le coperte (rosa pure loro), gli abbracci e i baci materni, le coccole e le tenerezze.
Eppure, fuori casa, esplode l’apocalisse: Mickey per andare a scuola si veste di nero con un mantello che ricorda Dart Vader; entra in classe passando per i metal detector; e’ costretto a vendere la sua urina pulita ai compagni perché sono in atto dei pesanti controlli anti droga.
Ma più di questo, il sesso esplode intorno a lui, in un continuo bombardamento di pulsioni, allusioni, stimoli che il suo corpo non più innocente non è in grado di trattenere.
Il cinema finora ci ha raccontato (bene) l’incanto dell’infanzia, con lo sguardo malinconico di chi vorrebbe tornare indietro a quei momenti; oppure ci ha raccontato l’adolescenza, i primi amori, i primi conflitti interiori, la continua lotta con un mondo che per la prima volta sembra rivelarsi nella sua crudezza.
Eppure mai nessuno prima d’ora aveva raccontato il momento di passaggio in maniera così cruda, viscerale ed autentica.
Al punto che chiunque, uomo o donna di qualsiasi generazione, non può uscire indenne dalla visione di questo film.
Che dietro l’aspetto fumettistico, dietro i colori sgargianti (davvero rivoluzionaria la fotografia), dietro un uso del montaggio che fa dello split screen un rinnovato strumento per raccontare una storia, ci sbatte in faccia il trauma che chiunque, almeno una volta, ha vissuto.
Il conflitto interiore di un corpo che sembra vivere di vita propria, che sembra volerci umiliare senza pietà e gridarci con i fatti che i tempi dei giochi sono finiti.
Lode al regista di Baby Bump, per il coraggio e l’arroganza che ha dimostrato con quest’opera.
E lode alla Biennale College per aver compiuto una scelta produttiva così rischiosa che mi auguro con tutto il cuore possa dare i suoi frutti.
Baby Bump e’ qualcosa di nuovo, di sincero, di puro, che getta luce sul futuro di una forma d’arte in cui tutto sembra essere già stato detto, in cui ogni strada sembra essere già stata percorsa, in cui niente può davvero essere originale.
Non è così.
Guardate questo film, che è in fondo un piccolo/grande atto rivoluzionario.
E lo amerete come l’ho amato io.
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tommyf14
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martedì 8 settembre 2015
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uno schifo
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Un'opera infima, volgare, questo non è cinema, questa è la depravazione più totale. Dal trailer ho pensato che potesse essere un'opera interessante e originale, beh, il regista ha esagerato con l'originalità e ha composto un' "opera", se così si può chiamare, che mixa scene in cui rivela una grande attenzione alla composizione del colore dell'immagine, a scene che sembrano uscite da un video dei Die Antworp, a scene senza alcun senso.
Mi chiedo come la Biennale abbia potuto concedere i fondi per un'opera così raccapricciante, la morte del cinema e della narrazione.
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