rita branca
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lunedì 24 marzo 2014
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"una bicicletta per batterti" di rita branca
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La bicicletta verde (2012) film della regista e scenografa Haifaa Al-Mansour con Reem Abdullah, Waad Mohammed, Abdullrahman Algohani, Ahd Kame, Sultan Assaf
La bicicletta verde, il primo bellissimo film girato nel Regno Saudita e ambientato a Riyadh, racconta con una bella fotografia e un’ incisiva colonna sonora la storia contemporanea della piccola Wadjda, in un contesto in cui la vita femminile è assai diversa da quella delle donne occidentali, e dove le libertà di pensiero, parola e azione sono ancora conquiste da realizzare fra le molte barriere erette dalla cultura maschile predominante e dalla religione islamica.
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La bicicletta verde (2012) film della regista e scenografa Haifaa Al-Mansour con Reem Abdullah, Waad Mohammed, Abdullrahman Algohani, Ahd Kame, Sultan Assaf
La bicicletta verde, il primo bellissimo film girato nel Regno Saudita e ambientato a Riyadh, racconta con una bella fotografia e un’ incisiva colonna sonora la storia contemporanea della piccola Wadjda, in un contesto in cui la vita femminile è assai diversa da quella delle donne occidentali, e dove le libertà di pensiero, parola e azione sono ancora conquiste da realizzare fra le molte barriere erette dalla cultura maschile predominante e dalla religione islamica.
E’ Wadjda e non le donne adulte che la circondano a tentare di abbattere gli ostacoli che le discriminano, alla fine ottenendo un piccolo successo che lascia sperare si tratti solo di una breccia che ne aprirà molte altre verso il riconoscimento della parità di diritti e dignità.
Il film è assai interessante nel permettere l’accesso ad occhi estranei alla cultura araba, ai drammi della quotidianità femminile riscontrabili nella gran parte dei paesi islamici. La vita della piccola protagonista è scandita nell’arco dell’intera giornata offrendo numerosi esempi che colpiscono lo spettatore occidentale e che forse potrebbero infastidire quello maschile arabo, non mancando una proiezione critica: la ragazzina è figlia di una giovane madre molto preoccupata del proprio aspetto fisico nell’intento di difendere il marito dagli assalti delle eventuali altre aspiranti mogli (siamo in un paese in cui è possibile la poligamia!) e di un padre che vede saltuariamente poiché non condivide la stessa casa, come spesso succede in quei contesti.
Wadjda, però, nonostante i bombardamenti educativi sugli atteggiamenti, l’abbigliamento e la condotta sia a scuola che a casa, e forse per la sua giovane età e lo spiccato senso critico accompagnato da una non comune determinazione ad affermare ciò che le sembra giusto, va contro corrente, piegando gli eventi a proprio favore.
Il film critica i limiti imposti alla donna ma lascia un messaggio ottimista che fa sperare in un futuro dove scompaiono i vincoli inutili ed è possibile vivere più semplicemente e in miglior armonia col mondo maschile.
Rita Branca
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enzo70
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giovedì 3 marzo 2016
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una bicicletta simbolo di libertà
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Wadjda è una ragazzina che ha solo un sogno, una bicicletta, verde, per poter correre con un suo amico. Ma c’è un problema, Wadjda è araba e a una bambina nulla è consentito che non sia in linea con i principi del Corano; ma il problema non è il Corano, ma chi interpreta il Corano, perché alla fine della giostra per una bambina araba nulla è consentito; neanche avere una bicicletta. La regista Haifaa Al-Mansour è la prima regista donna dell’Araba Saudita, un paese in cui le sale cinematografiche sono vietate, chissà se il Corano diceva anche questo; e questo film, di chiara denuncia sociale, rappresenta sicuramente un elemento di rottura per una cultura che non ha alcuna intenzione di rompere con sé stessa.
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Wadjda è una ragazzina che ha solo un sogno, una bicicletta, verde, per poter correre con un suo amico. Ma c’è un problema, Wadjda è araba e a una bambina nulla è consentito che non sia in linea con i principi del Corano; ma il problema non è il Corano, ma chi interpreta il Corano, perché alla fine della giostra per una bambina araba nulla è consentito; neanche avere una bicicletta. La regista Haifaa Al-Mansour è la prima regista donna dell’Araba Saudita, un paese in cui le sale cinematografiche sono vietate, chissà se il Corano diceva anche questo; e questo film, di chiara denuncia sociale, rappresenta sicuramente un elemento di rottura per una cultura che non ha alcuna intenzione di rompere con sé stessa. La bambina e la bicicletta sono chiaramente una metafora di una religione che priva le donne delle libertà fondamentali in nome di un Paradiso che sarà poi destinato agli uomini. Un film ricco di riflessioni che mostra la realtà di una cultura oppressiva che sta tentando di opprimere anche chi a quella cultura non appartiene.
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giovedì 7 novembre 2013
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film imperdibile...
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Film imperdibile, non solo perché è l'unico film girato interamente a Riyadh in Arabia Saudita (paese in cui non esistono sale cinematografiche!) e per giunta da una regista donna Haifaa al-Mansour e questo già giustificherebbe la visione per l'eccezionalità dell'evento, ma soprattutto perché ci mostra uno spaccato di vita quotidiana di un paese in cui le "notizie" ci arrivano in maniera "indiretta". Paese pregno di teocrazia dove l'illuminismo è il diavolo. La regista, e in questo sta la sua bravura, è riuscita in maniera non drammatica (e la segregazione femminile nel suo paese invece lo è!) e a volte divertente, a farci capire le contraddizioni tra pubblico e privato: in questo la figura della preside della scuola femminile ne è un esempio, integerrima e inflessibile con le sue alunne, quanto disponibile a ricevere un "ladro notturno".
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Film imperdibile, non solo perché è l'unico film girato interamente a Riyadh in Arabia Saudita (paese in cui non esistono sale cinematografiche!) e per giunta da una regista donna Haifaa al-Mansour e questo già giustificherebbe la visione per l'eccezionalità dell'evento, ma soprattutto perché ci mostra uno spaccato di vita quotidiana di un paese in cui le "notizie" ci arrivano in maniera "indiretta". Paese pregno di teocrazia dove l'illuminismo è il diavolo. La regista, e in questo sta la sua bravura, è riuscita in maniera non drammatica (e la segregazione femminile nel suo paese invece lo è!) e a volte divertente, a farci capire le contraddizioni tra pubblico e privato: in questo la figura della preside della scuola femminile ne è un esempio, integerrima e inflessibile con le sue alunne, quanto disponibile a ricevere un "ladro notturno". "Vizzi privati e pubbliche virtù" all'araba potremmo dire, come il vestire e truccarsi all'occidentale sotto un pesante velo nero. La storia dell' adolescente Wadjda (una bravissima Waad Mohammed) è una metafora della voglia di riscatto del mondo femminile arabo. La bicicletta considerata dai teocrati strumento del diavolo se usata dalle donne perché causa la perdita della verginità, è "l' oggetto del desiderio" della ribellione adolescenziale. Certo la regista può considerarsi una privilegiata: nata in una famiglia di intellettuali con il pallino del cinema (visionato ovviamente in privato), studi all'estero; ma proprio per questo rimane una scelta coraggiosa l'aver voluto girare il suo primo lungometraggio in patria. Un'ultima curiosa contraddizione: il film non è stato girato clandestinamente (impossibile peraltro per l'opprimente presenza della polizia religiosa), ma ha avuto l'accondiscendenza della casa reale saudita nella figura del principe Alwaleed bin Talal titolare della società di produzione cinematografica Rotana che ha sostenuto il progetto con la produzione tedesca, ma la regista ha dovuto dirigere nascosta all'interno di un pulmino...
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