donni romani
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venerdì 22 marzo 2013
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sinfonia magica per un quartetto di grandi attori
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Magnifica sinfonia - imperfetta come del resto la vita è - per quattro superbi interpreti che ci regalano un film misurato, maturo, intenso e capace di emozionare profondamente. "The Fugue" è un quartetto d'archi che si esibisce insieme da quasi venticinque anni e alla vigilia dell'inizio di una nuova stagione una notizia sconvolge l'armonia del gruppo: Peter, il più anziano dei quattro ha appena scoperto di essere affetto dal morbo di Parkinson e quindi non potrà più suonare con gli altri.
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Magnifica sinfonia - imperfetta come del resto la vita è - per quattro superbi interpreti che ci regalano un film misurato, maturo, intenso e capace di emozionare profondamente. "The Fugue" è un quartetto d'archi che si esibisce insieme da quasi venticinque anni e alla vigilia dell'inizio di una nuova stagione una notizia sconvolge l'armonia del gruppo: Peter, il più anziano dei quattro ha appena scoperto di essere affetto dal morbo di Parkinson e quindi non potrà più suonare con gli altri. La preparazione di un ultimo concerto, in parallelo con la ricerca di una nuovo violoncellista, coincide con l'esplosione di antiche tensioni, piccoli rancori e giudizi sopiti che inevitabilmente mandano in frantumi un equilibrio costruito in anni ed anni di sacrifici e rinunce. Robert avanza la richiesta di passare da secondo violino a primo, la moglie Juliette non lo ritiene adatto e nel dirlo mina la loro stessa relazione spingendo Robert a tradirla mentre Daniel, il più riservato del quartetto, rigoroso e concentrato sulla musica, si innamora di Alexandra, figlia di Juliette e Robert, mandando in frantumi la loro antica amicizia. Inevitabilmente la malattia di Peter amplifica le inquietudini e le fragilità di personalità che hanno convissuto troppo a lungo in un microcosmo per riuscire improvvisamente a reggersi sulle proprie gambe. Le scelte finali dei quattro saranno una dichiarazione d'amore per la musica, quella musica di Beethoven che li ha nutriti, protetti e salvati in tutti quegli anni, nei momenti drammatici come in quelli felici, nell'entusiasmo della gioventù e nella disillusione della maturità. Interpretazioni magistrali da parte dei quattro protagonisti, Walken e Seymour Hoffaman su tutti, semplicemente perfetti nel mostrare con pudore, con violenza, con amore o con rinuncia i propri sentimenti, e un finale che riconcilia con un grande cinema intimistico, simbolico e profondissimo.
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giovedì 26 settembre 2013
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non è un concerto
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Brutto segno quando durante la visione del film, si comincia a capire cosa accadrà nella scena successiva. Così è accaduto per questo film che poi ha confermato essere decisamente deludente per la sua prevedibilità e non solo. Peccato che attori di ottimo livello, abbiano dovuto impegnarsi in una sceneggiatura che non ha certo affondato la sua ricerca nello spessore delle problematiche individuali che sono state presentate già inizialmente. Dell'alzheimer - di Christopher Walken -,resta l'immagine delle medicine ingurgitate; del rapporto madre e figlia - di Catherine Keener e Imogen Poots -, niente di meglio delle solite incomprensioni anche se si è tentato di cercare nel prurigginoso, evocando un vecchio legame tra la madre e il - violinista - seduttore della figlia - con una prevedibilissima entrata materna in scena, entrata che (non)sorprende i due (grotteschi) amanti; della dedizione che richiede la musica - di Mark Ivanir - rimane l'opinione che è un incoreggibile e sfigato in campo amoroso; dell'umanità ricca di ogni aspetto umano - del grande Philip Seymour Hoffman - resta la goffaggine dei suoi istinti.
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Brutto segno quando durante la visione del film, si comincia a capire cosa accadrà nella scena successiva. Così è accaduto per questo film che poi ha confermato essere decisamente deludente per la sua prevedibilità e non solo. Peccato che attori di ottimo livello, abbiano dovuto impegnarsi in una sceneggiatura che non ha certo affondato la sua ricerca nello spessore delle problematiche individuali che sono state presentate già inizialmente. Dell'alzheimer - di Christopher Walken -,resta l'immagine delle medicine ingurgitate; del rapporto madre e figlia - di Catherine Keener e Imogen Poots -, niente di meglio delle solite incomprensioni anche se si è tentato di cercare nel prurigginoso, evocando un vecchio legame tra la madre e il - violinista - seduttore della figlia - con una prevedibilissima entrata materna in scena, entrata che (non)sorprende i due (grotteschi) amanti; della dedizione che richiede la musica - di Mark Ivanir - rimane l'opinione che è un incoreggibile e sfigato in campo amoroso; dell'umanità ricca di ogni aspetto umano - del grande Philip Seymour Hoffman - resta la goffaggine dei suoi istinti. Lavoro privo di stile e di classe, nonostante una splendida musica, ma non è un concerto, è un film e come tale è da giudicare.
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(di arnaco)
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