Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

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Un film di Apichatpong Weerasethakul. Con Thanapat Saisaymar, Jenjira Pongpas, Sakda Kaewbuadee, Natthakarn Aphaiwonk, Geerasak Kulhong.
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Titolo originale Loong Boonmee Raleuk Chaat. Commedia, durata 90 min. - Spagna, Tailandia, Germania, Gran Bretagna, Francia 2010. - Bim Distribuzione uscita venerdì 15 ottobre 2010. MYMONETRO Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti * * 1/2 - - valutazione media: 2,80 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

la vita, la morte, la reincarnazione Valutazione 4 stelle su cinque

di pepito1948


Feedback: 13952 | altri commenti e recensioni di pepito1948
lunedì 22 novembre 2010



Ho aspettato prima di dire qualcosa su un film lontano dai nostri schemi e difficile sia per impatto sia per comprensione dei contenuti e dei riferimenti culturali.
Sul piano formale, la rivoluzione del regista è evidente: il ritorno agli albori del cinema con macchina da presa fissa, prima che qualcuno inventasse il binario con carrello mobile, è peraltro in linea con il ritorno alle origini, alla nascita che è uno dei temi del film. Le uniche sequenze sussultorie in cui è usata la macchina a mano sono quelle girate nella grotta-utero, nella cui immobile rocciosità si svolge il viaggio fisico e mentale del protagonista morente; ed è infatti il momento di massima dinamicità di una storia che si svolge per il resto intorno ad un tavolo o in ambienti domestici. Inutile sottolineare  come al regista non importi minimamente avvalersi di alcuna tecnologia avanzata; gli unici riferimenti alla modernità sono dentro il film, rappresentati da oggetti "globalizzati" come i cellulari, i televisori, le discoteche.
Per il resto, l'incipit, un po' misterioso a primo acchitto, credo inquadri sinteticamente il tessuto filosofico del film. Confessiamolo, il bisonte che nella bruma serale si libera da una corda e corre tra i fruscii della boscaglia finchè un uomo non lo vincola a sè smuove qualcosa di indefinito che solo in seguito è possibile mettere a fuoco; si delinea così il  grande tema della relazione, in chiave di reincarnazione, tra uomini, animali (il bisonte è già sede di un'anima trasmigrata?) e  piante, in un contesto bucolico di intercomunicazione marcato dall'armonia naturale di una colonna sonora che accompagna tutto il film dall'inizio alla fine. Come dire: questo è il teatro della narrazione, e qui si innesta la storia che segue.
Quello che colpisce e si discosta dal cinema occidentale è la serenità con cui il protagonista si prepara alla morte, o meglio all'inizio di una nuova vita, attraverso una cena, un'"ultima cena", a cui manca qualsiasi tono di solennità, di ritualità e di afflizione, ed a cui presenziano, autoinvitandosi, gli spiriti dei propri cari, dove vivi e morti conversano su un piano paritario ed i secondi sono per una volta assimilati ai vivi anche nella loro essenza corporea. Non c'è un Cristo che dirige il rito e cerca di consolare i propri apostoli, ma un povero cristo malato che dialoga in piena cordialità di vita e di morte con ospiti del tutto particolari. I fantasmi non suscitano inquietudine, mistero e paura, non sono eterei (e quindi rappresentati in sovraimpressione o solamente percepiti attraverso segni) ma in certo senso sono vivi come i vivi e come tali si comportano, interagiscono ed accompagnano il congiunto verso l'imminente  (tra)passo.Visionarietà, magia, fiaba, mito si fondono in un tutt'uno in piena armonia con la quotidianità (le medicazioni descritte con meticolosa cura), il realismo dei riferimenti politici (I tragici scontri e le ribellioni represse nel sangue della Thailandia sono in qualche modo proiettate nel futuro nel sogno raccontato dal protagonista: per inciso la regione in cui è ambientata la storia è stata in passato teatro di violenti scontri), e forse non è un caso che il film sia  stato premiato a Cannes dalla giuria presieduta da un visionario come Tim Burton.
Il racconto della linea della vita -passato, presente e futuro- viene realizzato mediante il viaggio nella grotta-utero, attraverso luci (compreso un firmamento stellato in qualche modo riprodotto sulle rocce) ed ombre, di cui tutte le vite sono costellate: un viaggio di ritorno alla nascita che finisce con la morte (e forse con una nuova nascita).
"Voi sopravvalutate il paradiso", dice lo spettro della moglie: dopo la morte, se non c'è reincarnazione, non c'è nulla. Questa considerazione richiama ricordi scolastici, ed in particolare il viaggio di Ulisse nell'Ade, in cui le anime evocate si aggirano impalpabili nel vuoto senza sentimenti di gioia e di appagamento, dove non esiste alcun sistema premiante.
La fine è tutta di libera interpretazione; il nipote fattosi bonzo si spoglia della veste sacerdotale e dopo una doccia liberatoria indossa jeans e maglietta per recarsi in discoteca con la zia, mentre le loro immagini siedono staticamente davanti al televisore acceso. Uno sdoppiamento per significare la contraddizione tra tradizione e modernità? Tra Oriente ed Occidente?
In conclusione un'opera fortemente suggestiva, che rompe con il linguaggio stereotipato cui siamo abituati dal cinema occidentale attraverso la semplicità della narrazione e la freschezza delle immagini sempre sostenute dalla presenza dei suoni rassicuranti della natura.
Tutto bello e coinvolgente, a parte il doppiaggio, che non rende giustizia della presunta genuinità dell'originale.

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mickey17 martedì 1 febbraio 2011
bravo
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33%

Complimenti, descrizione del film completa e ben scritta. L'unico argomento che mi sentirei di integrare alla tua recensione è quello dell'estetica della pellicola; fotografia sublime dai colori bellissimi, molte sequenze/immagini lasciano lo spettatore incantato.

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gagnasco domenica 29 maggio 2011
bravo ii
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complimenti, davvero una bella recensione. (personalmente cambierei solo l'aggettivo visionario con quello di mentecatto per tim burton)a mio parere ha vinto anche quest'anno visto che l'albero della vita mi sembra molto scimmiottato...

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