e.b.
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giovedì 13 settembre 2007
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la legge e la pietà: il dramma dell'uomo giusto.
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La tematica del film - tematica che travalica i confini della Russia e il tempo nostro - tocca vari livelli del problema della coscienza riguardo la giustizia.
Un primo livello riguarda la ricerca della verità: ricerca difficilissima perché deve superare i pregiudizi ideologici e i condizionamenti ambientali (opporsi al criterio d'autorità d'ambiente; come dire opporsi al fatto che "tutti dicono così")e poi seguire indizi e piste nascoste o occultate.
Il secondo livello consiste nel confronto tra la verità scoperta e la legge.
Il terzo livello mette in discussione il valore di una giustizia legale (cioè solo a piombo con la legge)con valori di umanità che travalicano l'ambito giuridico.Il film dice che non basta pronunciare sentenze giuste.
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La tematica del film - tematica che travalica i confini della Russia e il tempo nostro - tocca vari livelli del problema della coscienza riguardo la giustizia.
Un primo livello riguarda la ricerca della verità: ricerca difficilissima perché deve superare i pregiudizi ideologici e i condizionamenti ambientali (opporsi al criterio d'autorità d'ambiente; come dire opporsi al fatto che "tutti dicono così")e poi seguire indizi e piste nascoste o occultate.
Il secondo livello consiste nel confronto tra la verità scoperta e la legge.
Il terzo livello mette in discussione il valore di una giustizia legale (cioè solo a piombo con la legge)con valori di umanità che travalicano l'ambito giuridico.Il film dice che non basta pronunciare sentenze giuste. C'è una responsabilità etica che richiede altri parametri. E' una responsabilità che ''costa'' a livello personale. E' proprio a questo punto che si verifica la distinzione tra un uomo ''solo'' giusto e un uomo ''veramente'' giusto.
La didascalia finale (secondo la sottotitolazione presente alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, di difficile lettura perché scritta con caratteri bianchi su di un'immagine molto chiara) recita probabilmente così: "La pietà è sopra la legge, ma come fare?".
Il senso comunque è chiaro: è difficle applicare la legge e difficilissimo andare oltre la legge, aggiungendo il valore della pietà.
E' difficilissmo, ma è profondamente "umano".
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trimegisto85
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lunedì 1 aprile 2013
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in teoria vogliamo tutti aiutare
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12 giurati hanno il compito di decidere la sorte di un giovane ceceno accusato di parricidio. Inizialmente sembra tutto deciso, facendo intendere che hanno assistito ad un processo le cui prove inchiodavano il ragazzo alle sue responsibilità: tuttavia, alla prima votazione, uno dei giurati si mostra titubante, vota per l'assoluzione con l'intento di prendere tempo e portare gli altri giurati a giudicare con i tempi giusti, a riflettere senza fretta, visto che la loro decisione avrebbe cambiato la vita di un ragazzo che non avrebbe più assaporato la libertà.
Man mano, una votazione dopo l'altra, sorgono nuove ipotesi, nuove riflessioni sul concetto di giustizia (di cui personalmente i giurati hanno fatto conoscenza), nuove rivelazioni scaturite dalle prove troppo frettolosamente analizzate dalla difesa.
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12 giurati hanno il compito di decidere la sorte di un giovane ceceno accusato di parricidio. Inizialmente sembra tutto deciso, facendo intendere che hanno assistito ad un processo le cui prove inchiodavano il ragazzo alle sue responsibilità: tuttavia, alla prima votazione, uno dei giurati si mostra titubante, vota per l'assoluzione con l'intento di prendere tempo e portare gli altri giurati a giudicare con i tempi giusti, a riflettere senza fretta, visto che la loro decisione avrebbe cambiato la vita di un ragazzo che non avrebbe più assaporato la libertà.
Man mano, una votazione dopo l'altra, sorgono nuove ipotesi, nuove riflessioni sul concetto di giustizia (di cui personalmente i giurati hanno fatto conoscenza), nuove rivelazioni scaturite dalle prove troppo frettolosamente analizzate dalla difesa.
Alla fine, quando il verdetto sembra deciso e chiaro, si trovano ad affrontare un tema ben più impegnativo: dove finisce la giustizia, dove inizia la compassione; dove finisce la legge e inizia la morale; qual'è il limite che definisce la nostra responsibilità verso la società, verso un bene più grande.
E' un film di una complessità che difficilmente si può trascrivere in poche righe: anche perché tutta la pellicola (quasi tre ore) si sviluppa al chiuso di una palestra scolastica che fa da sfondò alle grande abilità interpretative dei 12 attori; la loro maestria nel recitare la parte, rendendo al meglio il loro personaggio mai troppo schematico, permette di cogliere un senso che va oltre la sceneggiatura; di conseguenza, c'è bisogno di un contatto empatico che una recensione non può offrire, soprattutto quando il livello è così alto: bisognerebbe essere un Nikita Mikhalkov della scrittura per trasmettere il senso del film senza rivelare troppo della storia. Alcuni dei monologhi rendono così partecipi, come se ascoltassimo delle confessioni mai fatte ad alta voce, da tramutarsi meccanicamente in emozioni/riflessioni, pensieri e parole che parlano all'uomo, non all'individuo: da sottolineare l'esperienza riportata dall'ultimo giurato (Sergei Garmash) e dal presidente della giuria (Mikhalkov).
Oltre ciò Mikhalkov ci propone anche delle scene tragiche degli scontri in Cecenia, delle perdite e delle sofferenze che il nostro “imputato” ha dovuto subire: ironicamente, tutto quello che lui ha subito non è stato sottoposto al giudizio di una giuria!
Per quanto riguarda la regia si può solo dire che si raggiungono delle vette che in pochi altri film ritroviamo: quasi tre ore di film che ti coinvolgono, mai banali, mai sopra le righe, equilibrate, nonostante gran parte del film sia quasi una trasposizione teatrale a scena unica. I piani di lettura e le riflessioni veicolate dalla pellicola non si contano: basta pensare al finale, a sorpresa, in cui lo stesso Mikhalkov (nella parte del presidente della giuria) ci porta a interrogarci su cosa significa “giusto”, su quali siano le nostre responsabilità nei confronti del prossimo: anche quando “abbiamo fatto un ottimo lavoro, scrupoloso, difficile, siamo riusciti a stabilire la verità” siamo assolti dalle nostre responsabilità? delegare alla collettività, alle istituzioni umane significa lavarsi la coscienza se sappiamo che tali istituzioni non funzionano?
Da regista e presidente della giuria interroga i solerti giurati ma anche quelli più volenterosi e di animo buono si defilano perché occupati dalle loro vite: interroga noi e la nostra coscienza collettiva, perché anche i più buoni e volenterosi di noi, dalla coscienza legalmente pulita, spesso voltano le spalle a quello che non funziona: "è finita, riuniuni inutili, parole inutili, valutazioni imprudenti...vanno così le cose".
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fabal
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giovedì 2 giugno 2016
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remake intenso e impegnato
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Un ragazzo ceceno viene accusato di aver accoltellato il padre adottivo, un ufficiale russo. Dodici giurati si ritirano in una palestra per decidere se sia colpevole o innocente.
Pregevole remake de La parola ai giurati, molto più lungo e riflessivo e con un cast di gran livello. Del capolavoro di Lumet 12 non condivide l'immediatezza teatrale dei dialoghi serrati, che da soli ricostruivano tutta la vicenda senza ricorsi al montaggio e alla narrazione parallela. Il film di Mikhalkov si concede un impegno maggiore, attuale e molto sentito in Russia, convertendo il delitto generico del film di Lumet con un omicidio contestuale alla questione cecena.
Forse prolisso (oltre due ore e mezza di durata) e a tratti straziante, 12 è però un film solido, spietato nei contenuti, tollerante nella morale.
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Un ragazzo ceceno viene accusato di aver accoltellato il padre adottivo, un ufficiale russo. Dodici giurati si ritirano in una palestra per decidere se sia colpevole o innocente.
Pregevole remake de La parola ai giurati, molto più lungo e riflessivo e con un cast di gran livello. Del capolavoro di Lumet 12 non condivide l'immediatezza teatrale dei dialoghi serrati, che da soli ricostruivano tutta la vicenda senza ricorsi al montaggio e alla narrazione parallela. Il film di Mikhalkov si concede un impegno maggiore, attuale e molto sentito in Russia, convertendo il delitto generico del film di Lumet con un omicidio contestuale alla questione cecena.
Forse prolisso (oltre due ore e mezza di durata) e a tratti straziante, 12 è però un film solido, spietato nei contenuti, tollerante nella morale. Rispetto a La parola ai giurati, dove Fonda convertiva di fatto tutti gli altri undici, qui la psicologia del giurato è più intimista, tormentata, sebbene le personalità dei dodici ricalchino parecchio quelle dell’originale: c’è il politicamente corretto, il burbero razzista, l’intellettuale, il disinteressato, quello che fa perché tutti fanno così. Ma illustrando ancora meglio di Lumet come l'etica repressiva o permissiva del cittadino-giudice sia determinata dalle esperienze e rancori personali più che dall'analisi dei fatti.
Il testimone di protagonista passa dalle mani Sergei Makovetsky, che inizialmente svolge il ruolo di Fonda nell’insinuare il dubbio legittimo negli altri, a quelle dell’attore e regista Mikhalkov nella parte finale del film, con un sobrio colpo di scena che sa di stoccata al sistema giudiziario russo.
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