Il dramma di Napoli e un'ironia molto amara
di Paolo D'Agostini La Repubblica
Secondo la sua sensibilità di autore satirico e umoristico il napoletano Enrico Caria (insieme al regista Felice Farina) ha raccontato a suo modo - ma un modo puntuto, che non la "butta a ridere" - quella che non solo i periodici allarmi giornalistici percepiscono come la capitale della criminalità, dell'insicurezza, dell'impossibilità di vivere serenamente e onestamente.
In Vedi Napoli e poi muori, il miscuglio di inchiesta e finzione si serve come traccia della biografia dello stesso autore - prima in fuga da Napoli, poi tornato pieno di aspettative per il Rinascimento Bassoliniano, poi di nuovo tentato dall'abbandono - per ripercorrere le tappe dell'ultimo quarto di secolo di storia della tenaglia malavitosa sulla città tra una guerra di camorra e l'altra.
La trasformazione della criminalità dalla spartizione dei quartieri all'internazionalizzazione, la droga, la separazione tra killer di strada disposti a tutto e cupola dei quartieri alti al riparo di professioni rispettabili e imprese pulite, le nuove periferie come Scampia su cui si sono accesi - e spenti - i riflettori anche se da lì continuano a transitare, fonte di "lavoro" e reddito per molti, 16 miliardi di euro annui in droga. "Il fenomeno criminale è inarrestabile perché i napoletani ci convivono oppure ci convivono perché è inarrestabile?".
Inquietanti riferimenti alle "distrazioni" delle forze dell'ordine, e molti testimoni da Roberto Saviano (che vive sotto scorta dopo Gomorra) a Pino Arlacchi.
Da La Repubblica, 26 gennaio 2007
di Paolo D'Agostini, 26 gennaio 2007