Certamente una vicenda come quella di Salvatore aveva da offrire diversi e interessanti spunti di riflessione : la precaria condizione sociale ed economica di certi contadini siciliani, l'assenza della scuola come ente educativo in grado di vigilare sulla crescita degli adulti del domani e, perchè no, anche una buona dose di sentimentalismo nel percorrere la strada già ampiamente calcata del bambino orfano che, giocoforza, si trova a dover vivere la vita di un "grande" a scapito della sua infanzia e che inconsciamente affida ad un estraneo il compito di fargli da padre.
Ma non è sempre detto che ad una buona idea corrisponda una buona rappresentazione e il film di Cugno ne è concreto esempio.
Scaduto più volte nella banalità e nel qualunquismo condito dal sapido luogo comune, il regista, mutilato anche da una sceneggiatura ridicola e da alcune interpretazioni almeno discutibili, dimostra di non avere ben chiara la differenza tra sentimento e sentimentalismo, e soprattutto di non avere forse la pazienza o forse l'abilità di rendere insite nella pellicola le tematiche da sviluppare, affidando alla mediocrità degli attori il compito di riversare sullo spettatore una lista della spesa dei grandi temi di cui il film si fa immeritato portatore.
Clamorosi sono poi i buchi narrativi e tematici che impediscono allo spettatore di seguire l'evoluzione del rapporto tra il piccolo Salvatore e il suo maestro elementare, che passa dall'essere di estraneità e malcelato fastidio a un rapporto padre-figlio suggellato da una scena ridicola in cui il bambino vede al posto del volto del maestro quello del padre morto,e tutto questo senza la minima percezione di ciò che avviene in mezzo, della scintilla che ha fatto sì che il rapporto tra i due si facesse più profondo e stretto.
Pare che più importante sia il tentativo di commuovere lo spettatore con ampio ricorso ai buoni sentimenti a buon mercato, stereotipando i personaggi fino all'assurdo, come nel caso dell'assistente sociale (Galatea Ranzi) che prima di conoscere tutta la vicenda di Salvatore vede in lui solo un caso come tanti altri e che poi, grazie all'intercessione del buono e lungimirante maestro (Enrico Lo Verso), si affeziona al punto da evitare al bambino e a sua sorella l'istituto e l'adozione.
Peccato che, a furia di stereotipi e buonismo di bassa lega, la pellicola risulti non solo incapace di trasmettere nulla fuorché un vago senso di noia, ma offuschi anche un’interpretazione interessante quale quella del suo giovane protagonista, al quale auguriamo, per il futuro, proposte di maggior valore.
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