Al di là dello stupore che suscita la partecipazione ad un film realizzato per la televisione nel 1995 da un regista semisconosciuto, noto soprattutto come sceneggiatore del bellissimo Missisipi burning, Chris Gerolmo, di attori del calibro di Stephen Rea, Donald Sutherland e Max von Sydow e nonostante l’enfasi con cui si celebra la perestroika di Gorbaciov, che qualche anno prima aveva liberato l’Unione Sovietica dalla classe burocratica che opprimeva la società civile del paese oltrecortina in nome della religione del partito unico, la pellicola si risolve in un discreto thriller drammatico che coinvolge dall’inizio sino alla fine, senza tempi morti e con un ritmo lento ma continuo, puntando sia sull’interesse che desta la vicenda narrata, il fatto di cronaca nera che all’epoca colpì la fantasia del mondo intero per l’efferatezza dei crimini commessi dal serial killer Čikatilo, autore tra il ’78 ed il ‘90 di almeno 52 omicidi, sia sulla performance attoriale dei tre protagonisti e dei comprimari, tutti di notevole spessore e professionalità.
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Al di là dello stupore che suscita la partecipazione ad un film realizzato per la televisione nel 1995 da un regista semisconosciuto, noto soprattutto come sceneggiatore del bellissimo Missisipi burning, Chris Gerolmo, di attori del calibro di Stephen Rea, Donald Sutherland e Max von Sydow e nonostante l’enfasi con cui si celebra la perestroika di Gorbaciov, che qualche anno prima aveva liberato l’Unione Sovietica dalla classe burocratica che opprimeva la società civile del paese oltrecortina in nome della religione del partito unico, la pellicola si risolve in un discreto thriller drammatico che coinvolge dall’inizio sino alla fine, senza tempi morti e con un ritmo lento ma continuo, puntando sia sull’interesse che desta la vicenda narrata, il fatto di cronaca nera che all’epoca colpì la fantasia del mondo intero per l’efferatezza dei crimini commessi dal serial killer Čikatilo, autore tra il ’78 ed il ‘90 di almeno 52 omicidi, sia sulla performance attoriale dei tre protagonisti e dei comprimari, tutti di notevole spessore e professionalità.
Se non fosse per qualche scena girata in esterni, in alcune sperdute stazioni ferroviarie della campagna ungherese, si potrebbe pensare quasi di assistere ad una piece teatrale, incentrata sul rapporto drammatico tra due figure emblematiche, rappresentative l’una della ragione e l’altra del sentimento, che si scontrano per poi infine pacificarsi riconoscendosi entrambe unite nella lotta contro il male assoluto. La ragione o meglio il raziocinio calcolante, impersonato dal dirigente militare, cinico ed intelligente, interpretato da Sutherland, ed il sentimento, ovvero la passione per il proprio lavoro e per la giustizia, personificata nell’oscuro funzionario,Stephen Rea, che si dedicò anima e corpo alla caccia al mostro di Rostov per ben otto anni, senza mai cedere alle pressioni degli ottusi dirigenti di partito che in qualche modo sviarono le indagini dal colpevole perché membro del pcus, in una delle battute finali dello psichiatra,Max von Sydow, sono alla fine visti come aspetti diversi che concorrono a formare una sola persona.
Lo stile cronachistico da docufilm, il tono drammatico, ottenuto grazie al cast, e la suspense del thriller, nel finale, cedono purtroppo il passo alla retorica dell’auto glorificazione. Nella apoteosi dei due funzionari, esponenti del nuovo corso che avvicinò la Russia all’America, si intravede metaforicamente la celebrazione della vittoria congiunta della Ragione e del Sentimento, come se il paese a stelle e strisce fosse da sempre governato da quei principi platonici regolatori della società ideale ed utopica, che invece ancora è da realizzare.
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