Una piccola delegazione di monaci buddhisti, capeggiata dall'autorevole Lama Norbu, parte dal Bhutan per recarsi a Seattle. Secondo alcune premonizioni, infatti, il piccolo Jesse sarebbe la reincarnazione di un vecchio maestro. Lama Norbu regala al bambino una storia illustrata sulla vita del Buddha, da cui Jesse rimane affascinato. Ma il maestro Lama Dorje sembra aver scelto più di un bambino per reincarnarsi, e così la ricerca continua anche in Nepal.
Anteporre la forma alla sostanza è un appunto che proprio non si vorrebbe fare al film di Bertolucci, tutt'altro che ingenuo nel trattare il mondo estremo orientale già esplorato, e con una certa profondità, ne L'ultimo Imperatore. Ma considerare il valore contenutistico de il Piccolo Buddha come didascalico sarebbe un'assoluzione troppo generosa. Perché non solo è superficiale, ma a tratti semplicemente errato.
La reincarnazione, termine improprio già per l'atman induista, non c'entra niente col buddhismo, e va a cozzare goffamente con la stessa teoria dell'impermanenza che pure Bertolucci si preoccupa di mostrarci con la suggestione dei Mandala di sabbia: bellissime composizioni richiedenti un interminabile e certosino lavoro, ma che, appena ultimate, verranno distrutte con un gesto della mano. Proprio perché si parla di impermanenza, non si parla di un'anima sostanziale, che non trasmigra né mantiene la coscienza della persona defunta. Un errore purtroppo non marginale, perché sulla reincarnazione si basa tutto il senso della ricerca del film, dal principio alla fine. Un ricerca di sicurezza, di eternità, un attaccamento all'intrinseco che contraddice a priori l'insegnamento del Buddha, e di cui non si può non tenere conto nella valutazione.
Se ci soffermiamo, invece, dal punto di vista formale, Bertolucci non delude. Bravissimo a polarizzare geograficamente Oriente e Occidente, presente e passato, con scelte fotografiche azzeccate e una regia che si cala perfettamente nei differenti ambienti cromatici: quasi tutte in interno le scene a Seattle, con uno sfondo grigio celeste annebbiato e un andamento sordo. Colorate di caldo e dinamiche le sequenze nel Bhutan, o nella fiabesca vita del Buddha interpretata dal volto sereno di Keanu Reeves.
Se il contrasto, insomma, fosse solo visivo, il Piccolo Buddha meriterebbe una sua dignità didattica, in cui lo schematismo e la nota fiabesca sarebbero un pregio per affascinare gli spettatori più giovani. Così, purtroppo non è, e il fascino del film di Bertolucci resta tutto sensoriale, non solo nelle immagini ma anche in un sonoro ben dosato. Bellissima la sequenza della morte del Lama, con i colpi di tamburo e le inquadrature alle raffigurazioni sacre.
[+] lascia un commento a fabal »
[ - ] lascia un commento a fabal »
|