shingotamai
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martedì 11 aprile 2017
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giocando a scacchi con la morte
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Falcone,e poi Borsellino,rimangono i magistrati più famosi della storia e credo ,senza temere smentite,che siano stati gli unici veramente amati dal popolo italiano.
Una pellicola ad essi dedicati era doverosa,tuttavia,prorio per la loro importanza andava fatto un lavoro esemplare.
Giannini e Placido sono impeccabili,lungi da me criticarli,tuttavia mi sento di contestare il lavoro fatto da Giuseppe Ferrara.
Probabilmente ha cavalcato l'onda emotiva del periodo che fu,limitandosi,nonostante qualche citazione o frase degne di memoria,al documentario intrigante e qualche volta fantasioso (su tutte la faccenda di Bruno Contrada).
I fatti li conosciamo tutti,i nemici del nostro Giovanni furono due:La Mafia e lo Stato.
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Falcone,e poi Borsellino,rimangono i magistrati più famosi della storia e credo ,senza temere smentite,che siano stati gli unici veramente amati dal popolo italiano.
Una pellicola ad essi dedicati era doverosa,tuttavia,prorio per la loro importanza andava fatto un lavoro esemplare.
Giannini e Placido sono impeccabili,lungi da me criticarli,tuttavia mi sento di contestare il lavoro fatto da Giuseppe Ferrara.
Probabilmente ha cavalcato l'onda emotiva del periodo che fu,limitandosi,nonostante qualche citazione o frase degne di memoria,al documentario intrigante e qualche volta fantasioso (su tutte la faccenda di Bruno Contrada).
I fatti li conosciamo tutti,i nemici del nostro Giovanni furono due:La Mafia e lo Stato.
Mi sarei aspettato una maggiore sull'introspezione sull'uomo,sull'amore verso la Sicilia e maggiore indagine sui fatti che portarono a fargli dire di avere il rimpianto di essere stato ad un passo da una svolta epocale.
Perchè se gli elementi a disposizione erano tali da potere svolgere solo il semplice riassunto che troviamo anche su una pagina internet,allora probabilmente caro Ferrara ti sei limitato a cavalcare l'onda emotiva e nulla più.
Comunque,anche attraverso il film,raccontate ai vostri figli di Falcone e del perchè è rimasto nei cuori di noi adulti,di come certe battaglie si combattono anche a rischio e con la certezza di morire.
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davide roca
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venerdì 4 luglio 2025
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film coraggioso di un regista coraggioso
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Come altri hanno già avuto modo di ribadire, Ferrara opta per una tecnica di narrazione cronologico-esplicativa vicina al documentario vero e proprio. Analogamente a Cento Giorni a Palermo (1984), gli eventi sono ricostruiti con fedeltà non indifferente, considerato il breve lasso di tempo che separa le riprese dai fatti reali. Una raccolta frenetica di documenti, di prove, testimonianze ed indizi, che integra i connotati di vero cinema impegnato, a testimonianza del coraggio di un cinema d'altri tempi.
Della pellicola dedicata a Dalla Chiesa, Giovanni Falcone condivide un fortissimo, e sentitissimo, spirito di cronaca, in un clima di tensione viva che, in un modo o nell'altro, si avverte nelle riprese.
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Come altri hanno già avuto modo di ribadire, Ferrara opta per una tecnica di narrazione cronologico-esplicativa vicina al documentario vero e proprio. Analogamente a Cento Giorni a Palermo (1984), gli eventi sono ricostruiti con fedeltà non indifferente, considerato il breve lasso di tempo che separa le riprese dai fatti reali. Una raccolta frenetica di documenti, di prove, testimonianze ed indizi, che integra i connotati di vero cinema impegnato, a testimonianza del coraggio di un cinema d'altri tempi.
Della pellicola dedicata a Dalla Chiesa, Giovanni Falcone condivide un fortissimo, e sentitissimo, spirito di cronaca, in un clima di tensione viva che, in un modo o nell'altro, si avverte nelle riprese. A parere di chi scrive, questo è anche il più rilevante contributo all'arte di questo film, di tutti i film impegnati diretti da Ferrara in quegli anni complicatissimi: un coraggio nel racconto vero, crudo ed obiettivo, insieme alla volontà di raccontare ad un intero Paese - finanche all'estero - il drammatico clima di un'isola che, in quegli anni, si sentiva davvero chiusa da una morsa di morte, e non di mare. Crescendo nel mito di Falcone e Borsellino trasmesso dalla narrazione commemorativa degli ultimi anni, gli eventi di quella fase sembrano lontani, e la Sicilia dell'epoca non appare altro che un luogo di morte e disperazione. Da ciò la sorpresa, la profonda ammirazione, per un'opera (delle opere) che racconta gli eventi non con la coscienza storiografica dell'oggi, ma con quella tesa, finanche scioccata, del clima di terrore dell'epoca.
Purtuttavia, delle pellicole precedenti Giovanni Falcone condivide anche alcuni aspetti negativi.
Bisogna sottolinearlo, rispetto a Cento Giorni a Palermo Ferrara riesce ad accaparrarsi un cast di tutt'altro spessore, e di grande profondità. A partire dai mostri sacri Placido e Giannini, all'epoca già living legends del cinema nostrano, fino al contributo di attori affermati quali Massimo Bonetti, Pietro Biondi ed Anna Bonaiuto, gli sforzi in sede di produzione si moltiplicano. Ciononostante, con le conoscenze acquisite oggi appare difficile non rinvenire storpiature in alcuni personaggi le quali, in alcuni punti, finiscono per irrobustire quella parete fra spettatore e racconto che, in pellicole del genere, dovrebbe invece assottigliarsi fin quasi a non percepire più la finzione di ciò che si sta guardando. Ci si riferisce, ad esempio, alla forzatissima interpretazione di Antonino Caponnetto, del quale viene restituita l'immagina di un cyborg, più che di un uomo garbato; e ancora quella di Tommaso Buscetta, il cui indubbio carisma documentato dai filmati ufficiali del maxiprocesso (disponibile su youtube) è - per essere in tema - latitante nel film di Ferrara.
Piuttosto deludente l'interpretazione di Ninni Cassarà ad opera di Massimo Bonetti: nessuna impostazione vocale, nessun particolare sforzo interpretativo per un poliziotto che, lungi dall'apparire un dinamico e smaliziato agente di polizia, nel film appare quasi come una recluta alle prese con un gioco più grande di lui.
Da questo punto di vista, il Giovanni Falcone raccontato in questo film trascura - o ignora - molto di ciò che oggi sappiamo sulla natura psicoattitudinale di questo personaggio: l'amore per il buon vivere, il sorriso, l'ironia: nella narrazione di Ferrara tali aspetti affiorano timidamente qua e là, ma finiscono per non sembrare altro che inserimenti forzati in una trama che, nel suo complesso, racconta quasi unicamente l'animo professionale del giudice palermitano. Alcune carenze presenta anche l'interpretazione di Michele Placido, il quale, pur conservando la granitica immedesimazione nel personaggio degna della propria fama, non risulta del tutto convincente. Nella voce, nelle movenze e nel portamento marcatamente duri, Il Falcone di Michele Placido non regala mai i sorrisi e la voce gentile, accomodante, che testimonia lo scarno materiale giunto fino a noi riguardo al magistrato siciliano. Anche nell'impostazione della voce, nella cadenza e nell'approccio ad alcune delle delicate fasi vissute, una certa distanza sembra crearsi fra interpretazione e personaggio, che l'attore non riesce a colmare fino ad annullare.
Molto più convincente, da questo punto di vista, il Paolo Borsellino di Giancarlo Giannini, che non a caso si guadagna le poche nomination ai premi di un film, da questo punto di vista, trascurato nei salotti importanti. Oltre ad essere più naturalmente vicino, e nell'aspetto e nel carattere, a Borsellino, Giancarlo Giannini offre una prestazione decisamente più a fuoco, più calata nella frenesia del personaggio, che era la frenesia di un ambiente pesantissimo, ostile ed emarginante. Quando raggiunge la scrivania di Falcone e ne ruba la sigaretta lasciata sulla ciminiera, per dargli un paio di tiri nevrotici, e tormentati, Giannini regala una piccola masterclass d'interpretazione, che fosse improvvisazione o meno.
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