Girato dal regista Lucio Fulci all’inizio degli anni ‘80, il film non riscuote grande successo anzi, passa quasi inosservato. Tale risultato è dovuto sia al tema non “originalissimo” dell’innocenza posseduta da forze diaboliche, considerato i numerosi precedenti che avevano riempito gli schermi negli anni ’70 (“L’Esorcista” di William Friedkin ed il “Il Presagio” di Richard Donner), sia alla distanza qualitativa nei confronti della trilogia: “ L'Aldilà”, “Paura”, “Quella villa accanto al cimitero”; infine alle imperfezioni storico-narrative ed al tono del film che inizialmente sale e fa crescere le aspettative dello spettatore per poi bloccarsi e trascinandosi fino alla fine trasportando verso il basso l’attenzione dello stesso che sembra quasi annoiato più che spaventato…
Apprezzabile a livello figurativo (sceneggiatura realizzata da Elisa Livia Brigante e da Dardano Sacchetti), sconclusionato sotto tutti gli altri aspetti soprattutto quello narrativo.
Un film molto alla moda… Uomo di successo con moglie di successo vita più che agiata, figli seguiti da un estranea e mai veramente ascoltati, sempre tenuti a distanza. La protagonista è un piccolo strumento nelle mani del male incapace di dominare o anche solo di comprendere determinati eventi. Più fastidiosa che dolorosa, la sofferenza coinvolge questa famiglia in uno scontro/incontro con una situazione inafferrabile celata in una dimensione spazio-temporale indefinita, incomprensibile ma anche mai veramente approfondita, sempre tenuta lontana quasi come se, in quel momento, i problemi della figlia e le misteriose scomparse fossero più un ostacolo allo scorrimento degli impegni ordinari che un vero e proprio incubo. Il tutto lascia lo spettatore disorientato e delle volte, allibito. In sostanza non accade veramente nulla durante tutto il film.
Buona la fotografia che contribuisce a valorizzare l’ambientazione suggestiva delle piramidi, attraverso colori sfumati illuminati improvvisamente da tonalità cromatiche più accese; discreti gli effetti speciali che per l’epoca comunque rappresentavano una novità, soprattutto l’uso delle luci forti (blu neon) che ai nostri occhi moderni stonano un po’ ma che allora sicuramente erano di impatto, quasi una sorta di collegamento virtuale tra antico e moderno, come tra il silenzio del deserto, la paura e il rumore delle città, la civiltà e di ciò che conosciamo e non temiamo. Buone anche le musiche di Fabio Frizzi, funzionali allo sviluppo narrativo.
A Fulci dobbiamo sicuramente il merito di aver tentato di trasferire la paura attraverso la narrazione più che con mutilazioni o effetti speciali, purtroppo questo, che dovrebbe essere elemento di forza della pellicola, risulta invece punto di debolezza. Presente e tangibile in alcuni punti, totalmente assente e vuoto in altri. Ciò è dovuto anche alla poca espressività degli attori nel trasmettere uno stato d’animo che si riesce appena ad immaginare.
Buone le citazioni di alcuni tra i capolavori del terrore conosciuti come: “Gli Uccelli” di Alfred Hitchcock. “Manhattan Baby” è una pellicola che tende a perdere d’intensità con lo sviluppo della propria trama. Interessante ad ogni modo per gli amanti dell’horror che ne vogliano comprenderne le varie forme creative ed espressive, tra queste il surrealismo velato del Fulci è sicuramente un buon esempio.
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