great steven
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mercoledì 22 luglio 2020
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batistì abbatte un tronco per il bene del figlio.
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L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI (IT, 1978) di ERMANNO OLMI ● Biennio 1897-98 ambientato nella campagna della bassa bergamasca: la vicenda è costruita attorno alle azioni corali di una piccola comunità di contadini che lavora a mezzadria un podere, compiendo duri sacrifici e affrontando dolori lancinanti, ma sempre senza perdere una grande dignità: nonno Anselmo che, insieme alla nipotina Bettina, raccoglie lo sterco delle galline per concimare le sementi di pomodori che, coadiuvate dalla neve invernale, germoglieranno prima e permetteranno loro di vendere gli ortaggi in piazza con due settimane d’anticipo rispetto agli altri agricoltori; il Finard che, durante una sagra di paese dove si organizza pure un congresso socialista, fra giostre e giochi di quartiere, trova per caso un marengo d’oro, lo nasconde sotto lo zoccolo della sua cavalla e se la prende infine furibondo con l’animale perché la crede responsabile della sua sparizione; il matrimonio fra Maddalena e Stefano, celebrato dal sacerdote della parrocchia al mattino presto affinché i due giovani sposi possano raggiungere un convento di Milano in cui abita una zia suora di lei che affida loro un bambino di dodici mesi da crescere; e soprattutto il simpatico e quieto Batistì, che diventa padre per la terza volta e arriva a tagliare un albero lungo un fossato per fabbricare col suo legno un paio di zoccoli al figlioletto Minek che ha appena iniziato a frequentare le elementari, gesto che costa a lui e a tutta la famiglia la cacciata definitiva dal podere.
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L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI (IT, 1978) di ERMANNO OLMI ● Biennio 1897-98 ambientato nella campagna della bassa bergamasca: la vicenda è costruita attorno alle azioni corali di una piccola comunità di contadini che lavora a mezzadria un podere, compiendo duri sacrifici e affrontando dolori lancinanti, ma sempre senza perdere una grande dignità: nonno Anselmo che, insieme alla nipotina Bettina, raccoglie lo sterco delle galline per concimare le sementi di pomodori che, coadiuvate dalla neve invernale, germoglieranno prima e permetteranno loro di vendere gli ortaggi in piazza con due settimane d’anticipo rispetto agli altri agricoltori; il Finard che, durante una sagra di paese dove si organizza pure un congresso socialista, fra giostre e giochi di quartiere, trova per caso un marengo d’oro, lo nasconde sotto lo zoccolo della sua cavalla e se la prende infine furibondo con l’animale perché la crede responsabile della sua sparizione; il matrimonio fra Maddalena e Stefano, celebrato dal sacerdote della parrocchia al mattino presto affinché i due giovani sposi possano raggiungere un convento di Milano in cui abita una zia suora di lei che affida loro un bambino di dodici mesi da crescere; e soprattutto il simpatico e quieto Batistì, che diventa padre per la terza volta e arriva a tagliare un albero lungo un fossato per fabbricare col suo legno un paio di zoccoli al figlioletto Minek che ha appena iniziato a frequentare le elementari, gesto che costa a lui e a tutta la famiglia la cacciata definitiva dal podere. Solenne e sereno, grave e al contempo lieve come le musiche di Bach che lo accompagnano, il nono film di E. Olmi è – insieme a Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci che è il suo opposto – il più grande film italiano degli anni ’70, e l’unico, forse, in cui si riscontrano i fondanti temi virgiliani di labor, pietas, fatum. Non apprezzato alla totale unanimità quando uscì, il film fu bersagliato da critici che gli rimproverarono una rappresentazione idealizzata perché troppo lirica, la cancellazione della lotta di classe, una rarefazione spiritualistica del contesto sociale. Senza dubbio il regista, al versante ombroso dell’universo agreste (grettezza, violenza, odi feroci, tirannia), ha dedicato una parte piuttosto modesta della sua attenzione narrativa, ma è altrettanto vero che, adempiendo al suo desiderio di dipingere l’affresco puntuale di un’epoca con tutte le contraddizioni e la permeante sofferenza del caso, Olmi non ha tradito sé stesso né la sua pietas. È stato sicuramente anche il metodo più opportuno con cui il regista nostrano col maggiore attaccamento sentimentale alle tematiche geologiche e del settore primario, è riuscito a canalizzare il suo fiato ed estro poetico nella rievocazione efficacissima delle storie narrategli dai nonni sulle fatiche titaniche che i contadini di fine 1800 assolsero per consentire al lavoro di trasformarsi nel valore costitutivo dell’allora lontana (ma non troppo, sul piano ideologico delle persone comuni) repubblica italiana. Il sonoro originale fu poi doppiato dagli stessi attori protagonisti non professionisti che si espressero in una forma dialettale più tendente all’italiano. Ne circolarono copie con sottotitoli per le conversazioni più ostiche. Smerciato in circa ottanta nazioni. Palma d’oro e Premio Ecumenico a Cannes 1978. Premio César per il migliore film straniero.
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enzo70
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sabato 11 aprile 2020
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una tappa fondamentale del cinema italiano
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L’albero degli zoccoli è il capolavoro di Ermanno Olmi. Un film inusuale, un coro cantato in una lingua ostica, come ostico è il popolo che lo canta, i bergamaschi; nella dimensione essenziale della povertà delle campagne della bassa bergamasca con attori non protagonisti che rappresentano perfettamente il mondo dal quale veniamo e che ci sembra oggi estremamente lontano. Le storie delle famiglie si sovrappongono per dare spaccati della realtà, dal viaggio di una coppia a Milano che trova l’esercito schierato da Bava Beccaris per reprimere le rivolte dei manifestanti, alla tristissima storia del colone cacciato per aver tagliato da un tronco il legno per confezionare degli zoccoli al figlio.
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L’albero degli zoccoli è il capolavoro di Ermanno Olmi. Un film inusuale, un coro cantato in una lingua ostica, come ostico è il popolo che lo canta, i bergamaschi; nella dimensione essenziale della povertà delle campagne della bassa bergamasca con attori non protagonisti che rappresentano perfettamente il mondo dal quale veniamo e che ci sembra oggi estremamente lontano. Le storie delle famiglie si sovrappongono per dare spaccati della realtà, dal viaggio di una coppia a Milano che trova l’esercito schierato da Bava Beccaris per reprimere le rivolte dei manifestanti, alla tristissima storia del colone cacciato per aver tagliato da un tronco il legno per confezionare degli zoccoli al figlio. Poi alcuni affreschi, come l’uccisione del maiale, una scena tribale, o quella, tenerissima, in cui viene raccontato il dramma della malattia della mucca per una famiglia di coloni. E’ un film che fa parte della storia del cinema italiano.
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candido89
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mercoledì 26 febbraio 2020
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un ''documento'' dolcissimo
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Lunghissimo film di Olmi, vale la pena vederlo almeno una volta nella vita. Specchio rassegnato (ma fedele) delle durissime condizioni
dei contadini bergamaschi, ormai al tramonto del secolo XIX. Le scene ai limiti dello splatter dell'uccisione della scrofa, la bellezza incantevole di Maddalena,
l'amore con cui il padre costruisce gli zoccoli per il figlio rimangono per sempre nella memoria dello spettatore.
Un grande film
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giankj
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martedì 27 febbraio 2018
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risposta al commento di mister k
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Concordo sul fatto che" l'albero degli zoccoli" sia un capolavoro in assoluto,un solo piccolo appunto,nel film non c'è un momento di gioia o di serenità tutto è permeato da un triste fatalismo in parte comprensibile.Per quanto riguarda l'uso del dialetto lombardo i dialoghi degli attori sono molto lenti e rarefatti che si ha il tempo di capirli o intuirli.
Questa sera ho visto con piacere il film "la mossa del cavallo" di Camilleri,devo dire che ho avuto molta difficolta a capire i dialoghi in siciliano specialmente quando erano molto serrati e non lasciavano il tempo allo spettatore di capirli o interpretarli.
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Concordo sul fatto che" l'albero degli zoccoli" sia un capolavoro in assoluto,un solo piccolo appunto,nel film non c'è un momento di gioia o di serenità tutto è permeato da un triste fatalismo in parte comprensibile.Per quanto riguarda l'uso del dialetto lombardo i dialoghi degli attori sono molto lenti e rarefatti che si ha il tempo di capirli o intuirli.
Questa sera ho visto con piacere il film "la mossa del cavallo" di Camilleri,devo dire che ho avuto molta difficolta a capire i dialoghi in siciliano specialmente quando erano molto serrati e non lasciavano il tempo allo spettatore di capirli o interpretarli.
Un consiglio a certi registi di non eccedere con pennellate di realismo usando forme dialettali esasperate,come di recente succede.
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alberto
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lunedì 9 febbraio 2009
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che grazia
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quelli come me, che non hanno vissuto il mondo contadino ma l'hanno appena sfiorato nella casa dei nonni con la letamaia all'entrata e il "prete" a letto nelle notti d'inverno, non potranno mai ringraziare abbastanza Ermanno Olmi per questo atto d'amore e comunione con la terra. auguro a costoro di inciampare in questo film prima o poi nella vita
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marisa russo
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domenica 1 febbraio 2009
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"olmo simbolo di un tempo che non torna" appropria
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Appropriato per il film il titolo proposto, ma allora era l'olmo l'albero? legno forte quindi adatto a divenire zoccoli? Non si può richiedere ai registi se volevano parlare dell'olmo? Dopodiche ci si può dilungare sul suo signicato simbolico? In attesa cordiali saluti Mari Russo arperc@libero.it
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noman
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domenica 1 febbraio 2009
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bergamooo 2001
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ci sono due che poi non son più due.
ma tre. lei era una zoccola.
amen
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anonimo
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venerdì 19 dicembre 2008
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goffredo fofi lc
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La più giusta critica a questo film la scrisse Goffredo Fofi su "Lotta Continua".
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a
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domenica 7 dicembre 2008
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bello
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marisa
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sabato 29 novembre 2008
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olmo simbolo di un tempo che non torna-
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Sarei molto interessata a sapere di quale albero si parla, per motivi di lettura simbolica! Era l'olmo? Grata se vorrete rispondermi Marisa
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