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Parade è il triste e melanconico addio, melanconico come soltanto il circo sa essere, di Jacques Tati, che si autodirige per l’ultima volta in un film, girato in diretta con riprese televisive, tra i circensi ed i clowns, con cui forse si sentiva in debito, per quel suo personaggio surreale ed anticonformista, sempre sopra le righe, che ha l’aspetto di un clown bianco ma il cuore di un Augusto, una figura stilizzata, a metà strada tra il Pierrot ed il Signor Bonaventura di Sergio Tofano.
Ma in questo film Hulot è assente; c’è soltanto Tati, nella doppia veste di presentatore degli artisti, che si succedono nei loro numeri di prestidigitazione e di giocolieri, e di mimo, che si esibisce in alcune delle sue gag più famose, tra le altre, quelle del portiere di calcio, del tennista e del vigile che dirige il traffico.
Allo spettacolo partecipa anche il pubblico, che viene più volte inquadrato dalle telecamere, che si soffermano spesso sul volto di un bambino annoiato che fa il broncio. Dispiace dirlo, ma il bimbo capriccioso ha ragione, il film è di una noia mortale e può destare soltanto tenerezza ed un sentimento di nostalgia per la gloria che fu per il cinema francese e non solo quel vecchio mimo ripreso in una delle sue ultime esibizioni.
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