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frenky 90
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martedì 17 aprile 2012
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i principi del grottesco
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In principio era il grottesco. Si potrebbe sintetizzare così “La grande abbuffata” di Marco Ferreri, indubbio capolavoro di genere. Impossibile non essere colpiti come una palla di cannone dalle immagini di questo film caotico, compulsivo, ovviamente orgiastico, sorprendentemente “calmo”. Ferreri decide di non ergersi a protagonista con i movimenti di macchina ma con ciò che l'apparecchio cattura, dato che la potenza delle scene è impattante al punto tale che renderebbe dannoso calcare la mano. L'opera è aiutata non poco anche dalle “succulente” interpretazioni degli attori, Piccoli e Andrea Ferreol su tutti. Anche Noiret, Tognazzi e Mastroianni risultano strepitosamente “normali” nel regno della perdizione muovendosi con rassegnazione.
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In principio era il grottesco. Si potrebbe sintetizzare così “La grande abbuffata” di Marco Ferreri, indubbio capolavoro di genere. Impossibile non essere colpiti come una palla di cannone dalle immagini di questo film caotico, compulsivo, ovviamente orgiastico, sorprendentemente “calmo”. Ferreri decide di non ergersi a protagonista con i movimenti di macchina ma con ciò che l'apparecchio cattura, dato che la potenza delle scene è impattante al punto tale che renderebbe dannoso calcare la mano. L'opera è aiutata non poco anche dalle “succulente” interpretazioni degli attori, Piccoli e Andrea Ferreol su tutti. Anche Noiret, Tognazzi e Mastroianni risultano strepitosamente “normali” nel regno della perdizione muovendosi con rassegnazione. Ma una spanna sopra tutti sinnalzano l'omosessuale di Michel Piccoli eFerreol, che risultano straordinari. Di forte carica comica del genere “risata a denti stretti” è la scena in cui al primo di una lunga serie di bivacchi mangerecci, con sul muro proiettate le diapositive di gentili pulzelle molto poco vestite, il Nostro non ha occhi che per il vino, lodandone le qualità nel disinteresse generale. La maestrina che si unisce alla poco allegra comitiva è invece la spada di Damocle della situazione, la prospettiva di divertimento e sorrisi cui i compari hanno già rinunciato nella vita terrena, pur continuando ad usufruirne ella rimarrà per loro solo un po' di zucchero sull'amara pillola dell'eutanasia, che il gruppo ha già ingerito nell'atto di varcare la porta del purgatorio parigino. Non ha caso l'ultima in piedi rimarrà lei dopo aver prestato anima e corpo a tutti e quattro ed aver dato orecchio ai loro capricci il suo premio sarà di uscirne indenne, con da gestire solo una lauta fattura con i fornitori nonché un caustico branco di cani attirati dalle carni in decomposizione dell'efficace ultima scena della pellicola. Andrea Ferreol si presta al ruolo con dedizione, i presupposti erano buoni, la risultante ottima. Anche la fantomatica volgarità, ha parer mio, è ampiamente fuggita e l'esempio con il paragone di scoregge, merda, sesso, corna ed eccessi vari mi viene fin troppo semplice nel pieno dell'orrore di quest'epoca di cine-panettoni. Tutto sommato esplosione del cesso compresa, fra le scene più criticate e forse la più forte in tal senso, che assurge solo a trionfo del “troppo” sul “troppo poco”, che si pone come fiera punta dell'iceberg di un lavoro scomodo ma che “qualcuno deve pur fare”. Film così anticonformisti nei gloriosi anni settanta ce ne sono stati tanti, ma questo non si presta alla “moda” (noterete che fra i più volte già citati sfrenati eccessi manca la droga) ed ha il merito non tanto di apparire originale, dato che nella grande famiglia del grottesco è praticamente un obbligo, quanto di sparare a zero sull'ordinario, sfasciando con violenza le pareti del perbenismo, animati dalla consueta lotta di classe tipicamente epocale, ma stavolta molto meno banalizzata. Come dire guerra a chi si trascina la vita addosso e si accontenta di morire ma con la cravatta ben annodata al collo. Sul fatto che sia meglio un cappio forse si può discutere, sull'idea simbolistica no.
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paolo 67
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sabato 29 ottobre 2011
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liturgia del disfacimento
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Apologo grottesco paradossale e sarcastico intriso di humor nero sui riti della società del benessere avviata all'autodistruzione, favola moralistica e messinscena allegorica e apocalittica sul destino umano avviato alla putrefazione nel trionfo della pura natura, il film, che è anche una celebrazione tenera dell'amicizia e malinconica sul tempo che passa, riflette sul ruolo naturale della donna (unica sopravvissuta all'orgia mortuaria), che la filmografia successiva di Ferreri conferma nella visione di superiorità. Questa donna, materna e assolutamente non prostituta, accompagna i protagonisti, interpretati con divertito impegno da quattro attori eccezionali, in un "cupio dissolvi" senza ragioni di grande forza provocatoria che colpisce nei punti più dolorosi della nostra cultura.
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Apologo grottesco paradossale e sarcastico intriso di humor nero sui riti della società del benessere avviata all'autodistruzione, favola moralistica e messinscena allegorica e apocalittica sul destino umano avviato alla putrefazione nel trionfo della pura natura, il film, che è anche una celebrazione tenera dell'amicizia e malinconica sul tempo che passa, riflette sul ruolo naturale della donna (unica sopravvissuta all'orgia mortuaria), che la filmografia successiva di Ferreri conferma nella visione di superiorità. Questa donna, materna e assolutamente non prostituta, accompagna i protagonisti, interpretati con divertito impegno da quattro attori eccezionali, in un "cupio dissolvi" senza ragioni di grande forza provocatoria che colpisce nei punti più dolorosi della nostra cultura.
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vincenzo carboni
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domenica 26 giugno 2011
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il corpo è il mostro delicato
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Michel che scorreggia come una Bugatti, ecco la prima immagine che pesco tra le tante: corpi già morti, che percepiscono il proprio essere morti, e che per questo affrettano il proprio decomporsi, il proprio finirsi, accanirsi ad una fine ulteriore (ce n’è –bontà nostra- sempre un’altra nella nostra pretesa supposizione di immortalità, che pure ci permette di vivere), per misurare lo iato tra il sostare sulla soglia e attraversarla. Film difficile questo di Ferreri su cui scrivere. Ci lascia muti, assenti, senza scrittura, perché la morte è qualcosa che non si può scrivere, non possiede parola né cifra; è il buco, l’orifizio che tutto ingoia come in un gorgo virtuoso e allo stesso tempo inesorabile, contro cui il linguaggio non può più scivolare, allungarsi, distendersi, ma può solo arrestarsi contro ogni naturalezza percepita del vivere parlante.
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Michel che scorreggia come una Bugatti, ecco la prima immagine che pesco tra le tante: corpi già morti, che percepiscono il proprio essere morti, e che per questo affrettano il proprio decomporsi, il proprio finirsi, accanirsi ad una fine ulteriore (ce n’è –bontà nostra- sempre un’altra nella nostra pretesa supposizione di immortalità, che pure ci permette di vivere), per misurare lo iato tra il sostare sulla soglia e attraversarla. Film difficile questo di Ferreri su cui scrivere. Ci lascia muti, assenti, senza scrittura, perché la morte è qualcosa che non si può scrivere, non possiede parola né cifra; è il buco, l’orifizio che tutto ingoia come in un gorgo virtuoso e allo stesso tempo inesorabile, contro cui il linguaggio non può più scivolare, allungarsi, distendersi, ma può solo arrestarsi contro ogni naturalezza percepita del vivere parlante. In questo film non si parla; la bocca è occupata dal cibo, la lingua è strumento deputato a trascinare giù il cibo, tanto che la parola –uscendo dall’orifizio opposto al cavo orale- si fa significante puro abdicando ad ogni proditoria illusione di significato, si fa –appunto- scorreggia, nel migliore dei casi balbettio, suono labiale o –appunto- anale, sfinterico. Lo spirito di morte freudiano non si scrive perché agisce contro la lettera, anzi si fa lettera ma come quella di certi stemmi araldici, in cui la cosa evidententemente certa è il resto di enigma che posseggono, contro cui non vale nulla tentare di giungere ad un soluto perché si tratterrebbe di accedere ad un altro enigma, e poi un altro, fino a considerare pura illusione l’idea stessa di arrestare la deriva. Di fronte all’enigma, il tentativo di sfondarlo, di penetrarlo, di aprirlo, e poi esserne respinti, non produce altro che godimento, di fare di questo stesso respingimento godimento ma un godimento nel senso lacaniano, quindi godimento di morte. Si scivola giù per antri bui, i personaggi si fanno essi stessi deriva, divengono essi stessi l’uno per l’altro il cibo-feci con cui accompagnare il movimento indigestivo di tensione all’inorganico. Bugatti che si fa fare delle scarpe speciali, come un guanto, con l’alluce indipendente –come racconta Marcello a Michel-, vuol dire stare in una grammatica pur non potendo scrivere, una grammatica che è il fasciame su misura, morbido, del corpo come origine e allo stesso tempo oggetto di pulsione, che si pone solo la necessità di scaricare freudianamente il plus di libido, di energia, per non sentire l’angoscia di doverla mettere continuamente in parole, di dargli un senso. L’angoscia è il corpo per i nostri quattro teneri amici, tanto che a nutrire il corpo si nutre inevitabilmente l’angoscia, quasi fosse un parassita. Ecco allora che la trasfigurazione in arte dell’angoscia di vivere (Bugatti si fa fare delle scarpe così originali perché è un artista, ma Marcello lo dice quasi si trattasse di una malattia) è un espediente che non funziona, produce auto meravigliose ma ‘cadaverizzate’, esse stesse cadaveri per cui è lecito chiedersi a che vale prodigarsi in cure meccaniche se il movimento stesso della vita è una curva discendente verso un garage-tomba che ingoia l’oggetto e la sua arte creata con lo scopo di sopravivergli. Marcello morirà dentro la Bugatti: cadavere dentro un cadavere. Anche Ugo come Bugatti è indubbiamente un artista, che riconosce vano il suo affannarsi a perpetuare la sua cucina proprio nel perseguirla nella dissipazione, nel vederla degradata al di fuori dei discorsi tipici dell’arte, composti da categorie estetiche di gusto qui assolutamente grottesche. Il suo cibo-arte si fa eccesso, un dar di fuori, un uscire fuori pista, a braccetto col sesso, l’onanismo, con questo accanirsi sul corpo come mostro delicato, alieno, a cui si ubbidisce per il moto pulsionale che impone, contro ogni illusione di nobiltà che l’uomo si concede nel fare di sé stesso qualcos’altro, nel trasformare la pulsione in opera. Lasciare che tutto si decomponga naturalmente con quanto di meglio si può godere; ecco il problema. Questo è l’incanto, li dove ogni desiderio è spento perché scoperto menzogna (Marcello si arrende all’idea che l’uomo non vola; costruisce macchine volanti, questo sì, e mangia avidamente gli animali a cui invidia questa conoscenza), impuro (Philippe, benchè aspiri più semplicemente di quanto attribuitogli ad applicare la legge piuttosto che far trionfare la giustizia), troppo a lungo e da troppo lontano inseguito (Ugo che dall’Italia finisce a Parigi armato del set di coltelli professionali di suo padre), troppo addosso a sé (Michel sembra voler tornare nell’utero di sua madre, la stessa che gli dava punizioni terribili quando scorreggiava da bambino). La sussurrata precisazione di Philippe di fronte alla virilizzante attribuzione di valore della maestra (“dev’essere eccitante far trionfare la legge”), è la costernata resa al fatto che dietro ogni valore araldico (la Legge) si cela la faticosa applicazione dell’umano alle cose per loro natura divine (appunto la legge), quindi sfuggenti nella loro inconoscibilità, tanto che Philippe non vuole più rappresentare la legge ma l’uomo che rinuncia ad essere messaggio per l’altro di un valore così astratto, tanto da degradarsi quasi ad infante nel concedersi alla soddisfazione materna di curarlo seppure con timida e quasi nobilmente ridicola dignità. La fellatio a cui si concede ogni volta è un atto regressivo, è un darsi come corpo infantile, è un indulgere all’equivoco di una cura materna che si vuole iconograficamente pura (la donna che si accosta ai suoi genitali non puo che essere madre o moglie), scevra di erotizzazione, è un comporsi come infante nato per soddisfare le angoscie dell’altro materno, per placarle. Le promesse simboliche della vita (essere giudice, ossia far trionfare la legge) non si mantengono, e la ferita che se ne cava –ove piuttosto le aspettative siano altre- dispone alla regressione più primitiva: tornare corpo ma privo di amore, ove il cibo non veicoli più amore ma all’opposto la degradazione ad oggetto di soddisfacimento, proprio nel venire nutrito, a propria volta soddisfatto, via sesso o via cibo. Ugo invece potrebbe cucinare per altri, diventare ricco, ma questo altro non saprà mai quello che perde, Ugo glielo nega, tanto da far rientrare dentro sé –come una madre che rimette dentro la pancia il figlio così bello da non potersene separare- il piatto prodotto dalle sue mani (il monumentale pasticcio), e poi concedere ai superstiti lo spettacolo della doppia masturbazione, esercitata da Philippe per il cavo orale (è lui che lo imbocca in un vortice di godimento), e da Andrea per la parte genitale, richiesta come favore ultimo. È il mistero dell’arte culinaria, in cui il prodotto è qualcosa che è piacere e nutrimento insieme, anche questa grammatica, ma una grammatica a rovescio, in quanto l’uomo che fa cose buone per gli altri ne è a sua volta privato, conosce cioè la solitudine di doversi nutrire, amare da sé stesso, in quanto non c’è l’altro disposto a riconoscere devozione alcuna al padre di quei cibi che figli non ha. Il corredo di coltelli di Ugo è l’arma con cui uccidere le sue pietanze (tagliate, ferite, mangiate), che è a dire i suoi sogni, l’idea che l’arte possa procrastinare la vita, cancellare la morte, e se così non avvenisse, tramite l’arte morire. Tutti vogliono regredire, scomparire, in questo emuli di De Sade e del suo desiderio di essere seppellito sulla nuda terra, senza lapide, spargendovi sopra semi che invitino le piante del bosco a riprodursi rendendo così anonimo il luogo sepolcrale. Michel muore quasi affogato nella sua merda, Marcello in un illusorio e fallito tripudio erettivo, Philippe da buon ultimo sprofonda prima in un dolce a forma di seni e poi –prima di esalare l’ultimo respiro- tra quelli di Andrea. La scena della morte di Ugo è un monumento attoriale –sono senza parole- di Tognazzi, che nell’agonia riesce a mettere oscenamente in scena il nascondino masturbatorio (orale e genitale) per sbeffeggiare, dribblare la morte quando questa si fa vicina sotto forma di godimento estremo, facendosi spettralmente largo tra i fegatini e il climax eiaculatorio. Solo Andrea giace, testimone e compagna di uomini alla deriva di loro stessi, muta, facendosi essa stessa cibo sessuale per chi non ne ha più desiderio, quest’ultimo ingoiato dall’unico desiderio indistruttibile dell’essere parlante, cioè la morte; disposta a coninuare a seguire il filo delle loro parole (ci sposeremo?) sapendo che si tratta di favole che servono solo ad accompagnare l’agonia.
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joker 91
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domenica 6 marzo 2011
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un capolavoro
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si tratta di un lavoro potentissimo sotto l'aspetto psicologico nella rappresentazione di personaggi distrutti nella loro interiorità dove la realizzazione interiore non è avvenuta ed cosi ci si abbandona per alcuni a malattie psichiche ed per altri a vero e prorio senso di desolazione interiore,Ferreri è molto bravo nella rappresentazione dei personaggi regalando attorno ad essi totale desolazione ed per di più colonna sonora pressochè inesistente se si esclude il suono del pianoforte,questo invita a riflettere. Gli attori sono straordinari su tutti il mitico Tognazzi ed il leggendario Mastroianni,cinema vero e rischioso per di più grandissimo a differenza del cinema italiano di oggi e degli attori italiani di oggi che in confronto sono zero.
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si tratta di un lavoro potentissimo sotto l'aspetto psicologico nella rappresentazione di personaggi distrutti nella loro interiorità dove la realizzazione interiore non è avvenuta ed cosi ci si abbandona per alcuni a malattie psichiche ed per altri a vero e prorio senso di desolazione interiore,Ferreri è molto bravo nella rappresentazione dei personaggi regalando attorno ad essi totale desolazione ed per di più colonna sonora pressochè inesistente se si esclude il suono del pianoforte,questo invita a riflettere. Gli attori sono straordinari su tutti il mitico Tognazzi ed il leggendario Mastroianni,cinema vero e rischioso per di più grandissimo a differenza del cinema italiano di oggi e degli attori italiani di oggi che in confronto sono zero. Erotismo,disgusto piatti culinari al servizio di messaggi autentici da scovare
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paride86
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domenica 30 gennaio 2011
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un po' noioso...da vedere solo per gli attori
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Nonostante le citazioni di Feuerbach e l'intelligente polemica satirica sul mondo borghese che consuma, consuma, consuma fino a scoppiare, affondando nel proprio narcisismo egoista, trovo che questo film sia pleonastico e ridondante nel concetto che vuole esprimere. Insomma, bastava un cortometraggio, non serviva farla così lunga!
Da vedere solo per gli attori.
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(di lukytells)
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themichtemp
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martedì 25 gennaio 2011
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capolavoro
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il cinefilo
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domenica 24 ottobre 2010
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un orgia erotico-culinaria di stampo allegorico
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TRAMA:Quattro uomini decidono di isolarsi all'interno di una villa e di auto-distruggersi con il cibo...COMMENTO:Eccessivo,scandaloso,volgare o cialtronesco...sono questi alcuni dei possibili commenti che si possono(comprensibilmente)ascoltare a proposito di quest'opera che,però,merita un attenta analisi critica prima di una qualsivoglia stroncatura.
Il film sembrerebbe rivelare,nella maniera più chiara e feroce possibile,una critica alla società consumistica(sia del cibo che del corpo riferendosi anche al sesso in un"saggio da manuale sugli intrecci tra eros e thanatos"-P.Mereghetti-)con i suoi vizi e la sua quotidianità.
Il regista trasmette questo potente messaggio allo spettatore attraverso una catena di inquietanti e ambigui"simbolismi"tra i quali spiccano,con un evidente tonalità tragi-comica,le scene dell'esplosione del water(compendio di ogni atto d'accusa nei confronti di un certo tipo di stile di vita?)quella della morte,per ingordigia,di uno dei protagonisti sul tavolo della cucina dove viene anche lasciato il suo cadavere e la sequenza finale in cui una grossa quantità di carne viene abbandonata in giardino(metafora sui danni della"cultura dello spreco"?).
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TRAMA:Quattro uomini decidono di isolarsi all'interno di una villa e di auto-distruggersi con il cibo...COMMENTO:Eccessivo,scandaloso,volgare o cialtronesco...sono questi alcuni dei possibili commenti che si possono(comprensibilmente)ascoltare a proposito di quest'opera che,però,merita un attenta analisi critica prima di una qualsivoglia stroncatura.
Il film sembrerebbe rivelare,nella maniera più chiara e feroce possibile,una critica alla società consumistica(sia del cibo che del corpo riferendosi anche al sesso in un"saggio da manuale sugli intrecci tra eros e thanatos"-P.Mereghetti-)con i suoi vizi e la sua quotidianità.
Il regista trasmette questo potente messaggio allo spettatore attraverso una catena di inquietanti e ambigui"simbolismi"tra i quali spiccano,con un evidente tonalità tragi-comica,le scene dell'esplosione del water(compendio di ogni atto d'accusa nei confronti di un certo tipo di stile di vita?)quella della morte,per ingordigia,di uno dei protagonisti sul tavolo della cucina dove viene anche lasciato il suo cadavere e la sequenza finale in cui una grossa quantità di carne viene abbandonata in giardino(metafora sui danni della"cultura dello spreco"?).
All'epoca(era il 1973 e questo tipo di"discesa all'inferno"in chiave culinaria sembra anticipare di due anni un altro film-scandalo diverso e pesantemente più estremo come salò o le 120 giornate di sodoma del regista e scrittore Pier Paolo Pasolini)questa pellicola fece,inevitabilmente,scandalo e venne letteralmente stroncato dalla critica.
Il sottoscritto ha deciso di assegnare a questo film cinque stelle unicamente per il coraggio dimostrato dal regista nello sfidare,a modo suo,i più comuni limiti del cinema(e così pure il terribile film di Pasolini)attaccando apertamente e coraggiosamente uno dei grandi difetti della società moderna.
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g. romagna
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venerdì 19 marzo 2010
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la grande abbuffata
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Ugo (Tognazzi), Marcello (Mastroianni), Philip (Noiret) e Michel (Piccoli), quattro amici, tutti professionisti affermati, si ritrovano in una tenuta di campagna per un fine settimana fatto di delirio erotico-gastronomico. I quattro mangiano fino a scoppiare e si abbandonano al sesso più crudo con donne assoldate od invitate appositamente per l’occasione. Le conseguenze (inattese o meno?) non tardano ad arrivare… Un cast di grande qualità per un film che mette in luce il più crudo edonismo nichilista, capace di spingere i protagonisti, come in un girone dantesco dei vivi, a cercare la morte tramite un godimento talmente spasmodico e sfrenato da diventare sofferenza autolesionista.
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Ugo (Tognazzi), Marcello (Mastroianni), Philip (Noiret) e Michel (Piccoli), quattro amici, tutti professionisti affermati, si ritrovano in una tenuta di campagna per un fine settimana fatto di delirio erotico-gastronomico. I quattro mangiano fino a scoppiare e si abbandonano al sesso più crudo con donne assoldate od invitate appositamente per l’occasione. Le conseguenze (inattese o meno?) non tardano ad arrivare… Un cast di grande qualità per un film che mette in luce il più crudo edonismo nichilista, capace di spingere i protagonisti, come in un girone dantesco dei vivi, a cercare la morte tramite un godimento talmente spasmodico e sfrenato da diventare sofferenza autolesionista. Un agghiacciante quadro di squallore e dissolutezza senza via d’uscita alcuna. Angosciante.
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giofredo'
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venerdì 27 febbraio 2009
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la grande abbuffata... la mia opinione
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Immggini e scene che allora erano da considerarsi altromodo scabrosi e immorali;ma poi rifletto cio' che allora non e', e considero il film in se stesso, solo un infinitisimale riflesso indeguato a scalfire il malessere di una societa'che si spinge ben oltre.
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box
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giovedì 12 febbraio 2009
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più ci penso e più....
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Non mi stancherò mai di dire che questo COSO non è un film, ma la più grande minchiata che sia stata concepita da una mente umana.Persino il Grande Fratello ha più Filosofia........
[+] ed è proprio per questo che gli metti 5 stelle...
(di oblivion7is)
[ - ] ed è proprio per questo che gli metti 5 stelle...
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