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L’incubo di Tristana riflette la realtà come uno specchio d’acqua increspato dai moti dell’anima deformandola in un oscuro presagio. Nel correre allegro su per le ripide scale elicoidali, in compagnia di due ragazzi sordomuti, cui la bellissima Deneuve mostra eroticamente, attraverso lo spacco del vestito, la nudità di una gamba, fino in cima al campanile, dove campeggia in primo piano, altalenante a guisa di batacchio, la testa mozzata di Don Lope, si manifesta il desiderio inconscio della morte del tutore, l’oppressore ed al contempo corruttore della sua giovane innocente e prorompente sessualità, nonché simbolo dell’ambiente borghese asfittico e bigotto, che sarà fertile terreno per la dittatura di Franco, peraltro ancora al potere quando Bunuel girò il film.
L’amputazione della gamba di Tristana, proprio di quella gamba mostrata al ragazzo e che sarà ostentatamente adagiata sul letto, simboleggia la castrazione dell’erotismo, oniricamente traslata da Bunuel in quella della testa del suo tiranno, Don Lope, figura già doppiamente ambivalente, protettore paterno e amante lascivo, borghese ozioso parassita e anarchico anticlericale e impenitente libertino, che subirà a sua volta una doppia trasformazione, divenendo sposo succube e fedele e amico e confidente di preti gretti.
Il pittore amante di Tristana, che duplica con la sua arte la realtà, ha il suo alter ego nel giovane sordomuto, destinato a vedere il mondo attraverso le immagini senza la colonna sonora delle menzogne della gente. E’ per questo che a lui si mostra Tristana nella verità della integrale nudità del suo corpo straziato ed oscenamente sensuale.
Quando, durante una passeggiata con la serva di Don Lope, la strada si biforca in due viuzze, prendere quella di destra o di sinistra non è la stessa cosa. Tristana lo sa, intuitivamente, animalescamente, sente che decidere per l’una o per l’altra modificherà irrimediabilmente il corso degli eventi.
Nella scena finale la finestra si spalanca e finalmente l’aria gelida della notte entra nella stanza a far pulizia delle ipocrisie e delle falsità ristagnanti al calduccio del chiacchiericcio piccolo borghese e delle sue velleità anarcoidi naufragate nell’amabile conversazione coi preti sorseggiando una tazza di buon cioccolato caldo.
Come in un sogno dal quale Tristana d’improvviso si desta sono velocemente riassunte in alcuni fotogrammi le scelte precedenti, quelle inconsapevoli. Ora al risveglio, Tristana, decisa, sceglie con consapevolezza che Don Lope morto è meglio che Don Lope vivo. E’ il trionfo del libero arbitrio sul determinismo materialista e sul fatalismo religioso.
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