Alberto Moravia
Chiunque è stato in un museo etnografico, osservando gli oggetti esposti nelle vetrine, non potrà non aver provato un brivido di ripugnanza mischiato però a un senso di meravigliata e involontaria reverenza. Dunque, non si può fare a meno di pensare, quelle maschere rozze e grottesche di noci di cocco, di rafia e di penne, quei feticci maldipinti, quelle collane di ossa e di conchiglie, quelle armi combinate con poco ferro e molto legno e molta paglia, tutta quella ingenua e repellente cianfrusaglia, adesso inerte e morta nelle vetrine, ha avuto a suo tempo una terribile vitalità sociale, psicologica e religiosa?
Il massimo elogio che si deve fare a Pier Paolo Pasolini per l’Edipo Re è di avere avuto l’intuizione della ferinità e rozzezza dell’arcaico mondo contadino nel quale ha voluto trasferire la tragedia tarda e raffinata di Sofocle. [...]
di Alberto Moravia, articolo completo (5164 caratteri spazi inclusi) su 1975