barnaby
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mercoledì 7 ottobre 2009
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la prima volta di jennifer (1968) - barnaby
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P. Newman ha incantato milioni di persone recitando attraverso i suoi occhi azzurri, ma quando il suo sguardo, spostandosi dietro alla macchina da presa, magicamente si fonde con il nostro, nasce la vera magia. Il 1968 è infatti l’anno della sua prima regia, dopo molti film in cui recitava solamente, ed è il suo migliore prodotto dall’inizio della sua carriera cinematografica.
Rachel (Jennifer nell’edizione italiana) è una giovane donna della tipica provincia americana, insegnante elementare, figlia di un impresario di pompe funebri ora morto, che vive con l’anziana madre che, senza farlo pesare più di tanto, la comanda e la tiene a bada. Ma Rachel ormai è adulta, e il suo subconscio vorrebbe ribellarsi, ma alla fine non ce la fa mai.
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P. Newman ha incantato milioni di persone recitando attraverso i suoi occhi azzurri, ma quando il suo sguardo, spostandosi dietro alla macchina da presa, magicamente si fonde con il nostro, nasce la vera magia. Il 1968 è infatti l’anno della sua prima regia, dopo molti film in cui recitava solamente, ed è il suo migliore prodotto dall’inizio della sua carriera cinematografica.
Rachel (Jennifer nell’edizione italiana) è una giovane donna della tipica provincia americana, insegnante elementare, figlia di un impresario di pompe funebri ora morto, che vive con l’anziana madre che, senza farlo pesare più di tanto, la comanda e la tiene a bada. Ma Rachel ormai è adulta, e il suo subconscio vorrebbe ribellarsi, ma alla fine non ce la fa mai. L’ultimo giorno dell’anno scolastico incontra un suo ex-compagno di scuola che dopo alcune resistenze riesce a portarla fuori e a farle sperimentare la sua “prima volta”. Rachel è estasiata, ma presto verrà abbandonata nuovamente e lasciata sola con se stessa: questa volta, però, è diverso. Decide di fare le valigie e partire verso un’altra città, accompagnata anche dalla madre che con tenerezza chiede se può portarsi dietro almeno la camera da letto. La vediamo un’ultima volta sul bus mentre sogna se stessa su una spiaggia mentre tiene a mano un bambino piccolo.
Un film poetico, contemporaneamente etereo e duramente realista, con inquadrature eccezionalmente innovative per l’epoca e ad effetto immediato. Un film il cui messaggio potrebbe essere banalmente ridotto al luogo comune della speranza come l’ultimo elemento destinato a morire. Ma non è soltanto questo: è un film sulla forza di andare avanti anche quando tutto è contro, un film sulla presa di coscienza della bellezza della natura che ci circonda, un film sulla bellezza della vita. P. Newman compie un’introspezione psicologica interiore (al pubblico e a se stesso) carica di significati, staccandosi completamente, dal momento che non lo si vede mai, dalla sua figura apollinea e spaccona. La cerimonia degli Oscar del 1969 vide l’unico pareggio nella categoria delle migliori attrici: K. Hepburn, straordinaria in Il leone d’inverno, lo prese più che meritatamente, ma la seconda vincitrice doveva essere J. Woodward nella sua migliore performance in assoluto, la quale, come nella maggior parte dei casi, portò a casa solo una nomination. Il film ricevette anche le segnalazioni per E. Parsons come attrice non protagonista, sceneggiatura e miglior film (che si sarebbe dovuta concretizzare in statuetta, ma la giuria preferì l’Oliver! di C. Reed). La regia venne totalmente snobbata, troppo ingiustamente, e non si capisce ancora il perché.
Titolo italiano stupidissimo, sempre teso a sottolineare la componente del sesso, che qui è solamente uno dei tanti temi, trattato tra l’altro per niente volgarmente, ma anzi, con molto rispetto.
Voto: 9,5
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samn97
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martedì 13 gennaio 2015
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capolavoro visionario di introspezione umana
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La prima volta di Jennifer (titolo tradotto incomprensibilmente, visto l'originale "Rachel, Rachel", e peraltro in maniera terribilmente inappropriata, andando sostanzialmente a sminuire e a puntare su un solo tema un film che invece ne tratta infiniti) è uno di quei film che tutti dovrebbero guardare almeno una volta nella vita. Interpretato magistralmente, con una regia originale e visionaria, offre soprattutto una storia estremamente analitica che offre moltissimi spunti sul senso dell'amore, la religione, le condizioni sociali e gli obiettivi della vita. L'opera di Paul Newman si focalizza su un solo personaggio e lo scompone e analizza psicologicamente in ogni termine anche grazie ad un'eccellente sceneggiatura: Rachel/Jennifer in italiano, è una donna che ha vissuto un'adolescenza piatta e che ha conosciuto l'amore solo in età adulta; questa prima esperienza, che tuttavia si rivelerà una delusione, in realtà darà finalmente a Rachel l'imput di abbattere la prigione della sua vita, offrendole finalmente l'occasione di rifarsi al di fuori del piccolo paesino in cui si trova.
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La prima volta di Jennifer (titolo tradotto incomprensibilmente, visto l'originale "Rachel, Rachel", e peraltro in maniera terribilmente inappropriata, andando sostanzialmente a sminuire e a puntare su un solo tema un film che invece ne tratta infiniti) è uno di quei film che tutti dovrebbero guardare almeno una volta nella vita. Interpretato magistralmente, con una regia originale e visionaria, offre soprattutto una storia estremamente analitica che offre moltissimi spunti sul senso dell'amore, la religione, le condizioni sociali e gli obiettivi della vita. L'opera di Paul Newman si focalizza su un solo personaggio e lo scompone e analizza psicologicamente in ogni termine anche grazie ad un'eccellente sceneggiatura: Rachel/Jennifer in italiano, è una donna che ha vissuto un'adolescenza piatta e che ha conosciuto l'amore solo in età adulta; questa prima esperienza, che tuttavia si rivelerà una delusione, in realtà darà finalmente a Rachel l'imput di abbattere la prigione della sua vita, offrendole finalmente l'occasione di rifarsi al di fuori del piccolo paesino in cui si trova. Amica leale fino alla fine nonostante un grave screzio sarà la collega Calla. Meravigliose le scene di ricordi e sogni della protagonista.
Al centro del successo del film sta indubbiamente l'interpretazione fuori dal comune di Joanne Woodward, una delle attrici più introspettive e camaleontiche mai viste (e, per soddisfare una curiosità, moglie di Paul Newman). Il lavoro di introspezione che l'attrice opera è a dir poco eccellente su tutti i fronti: dal fisico allo psicologico, l'immedesimazione è completa e totale, e con essa un'espressività talmente intensa da dare forza immane e completa comunicazione anche a lunghi silenzi. Ad accompagnare la protagonista è un'altrettanto meravigliosa Estelle Parsons nel ruolo di Calla: anche in questo caso l'attrice gioca la carta di una forte impostazione fisica che dipinge straordinariamente anche il mondo interiore di una donna repressa (forse anche sessualmente visto il breve bacio saffico che ha minato il rapporto con Rachel? o si era solo lasciata prendere la mano?) e illuminata solo dalla sua compagnia religiosa e dal lavoro di scuola, nonchè da animaletti e piante alle quali è molto affezionata. Di grande effetto la scena in cui consegna la lettera a Rachel e cerca goffamente di non farsi vedere.
Quattro meritatissime candidature agli Oscar del 1969: Miglior Film, Miglior Attrice (Joanne Woodward), Miglior Attrice non Protagonoista (Estelle Parsons) e Miglior Sceneggiatura non originale.
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