Premetto che in questa recensione non ci sono dettagli della trama del film e neppure l'analisi della tecnica cinematografica espressa nella pellicola , questi argomenti li potete trovare meglio esposti nelle numerose recensioni della critica e di altri spettatori; cercherò invece di individuare il senso dell’opera.
Diciamolo chiaramente, la pornografia non è un genere cinematografico come tutti gli altri.
Anche se oggigiorno, anni 2000, il sentire comune è mutato e ormai tutto sembra lecito, permissibile, conformato e accettabile, rimane il fatto che nel cinema pornografico manca l’elemento fondamentale e fondante del “Cinema” ovvero non vi è finzione. Gli attori del cinema porno di fatto non recitano, non fingono gli atti che compiono ma li eseguono realmente e pertanto volenti o nolenti li vivono.
In tuti gli altri generi cinematografici (documentari a parte) gli attori recitano quindi fingono, invece nel modo del porno nulla è “fiction” e questo comporta delle conseguenze non banali per le persone che vi lavorano.
Quello presentato dalla regista Ninja Thyberg è appunto “fiction” non è pornografia, è un film che cerca di scandagliare il mondo del porno dal didentro, dal punto di vista della protagonista, ma non solo.
Il messaggio immediato, percepibile facilmente da tutti, che questo film esprime è la denuncia di un mondo illusorio, squallido e disumanizzante (l’ambiente della pornografia appunto) dove a pagare il prezzo più alto molto spesso sono le donne.
Probabilmente però il senso di questo film è più ampio di quello che a prima vista appare: la regista partendo dal punto di vista del porno vuol far riflettere su quanto sta accadendo nel mondo reale dei nostri tempi. In altre parole, per dirla alla Pasolini, il mondo attuale appare trasformato nell’era dei consumi dove i valori tradizionali (famiglia, amicizia, rispetto, religione, etc.) non esistono più. Oggi il consumismo totalizzante ha privato della sacralità ogni cosa, esseri umani compresi. Ormai il valore di ogni cosa è sacrificato dal mercato sull’altare dell’edonismo (del mero piacere, appunto “PLEASURE” che dà il titolo al film).
La regista cerca di mostrare che nel mondo odierno anche l’essere umano è diventato esso stesso un oggetto di consumo ed è trattato come un oggetto fra gli oggetti, pertanto il corpo non è più sacro, il rapporto sessuale non ha più attinenza con l’amore, la sessualità non è più la scoperta gioiosa dell’ ”Altro” e non fa più parte della realizzazione personale, ovvero non esiste più una percezione del sesso come percorso formativo della persona; la sessualità è ormai trasformata e ridotta irreversibilmente ad edonismo puro.
Il messaggio finale del film è che nonostante tutto l’essere umano continua a rimanere “umano” nel suo profondo, non può e non riesce ad essere oggetto tra gli oggetti, la sua essenza pura emerge sempre e non può che farlo agire e scegliere sperabilmente qualcosa di meglio.
L’aspetto che manca realmente nel film è costituito dall’introspezione sul protagonista, ovvero non vi è nessuna spiegazione reale delle motivazioni che spingono una persona, la protagonista del film appunto, a intraprendere un percorso così estremo; certamente questo è un aspetto molto difficile da sviluppare e fin troppo soggettivo ma un tentativo in questa direzione avrebbe sicuramente giovato al film.
Film consigliato ad un pubblico di adulti, ma anche ai genitori che possono vederlo assieme ai figli grandi (giovani adulti intendiamoci, certo non bambini o adolescenti) per avere un punto di discussione comune e costruttivo su un tema così presente nella società odierna ma ancora coperto da ignoranza, imbarazzi, illusioni, sottovalutazioni e perbenismi.
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