White Material

Un film di Claire Denis. Con Isabelle Huppert, Nicolas Duvauchelle, Isaach De Bankolé, William Nadylam, Christopher Lambert.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 100 min. - Francia 2009.
   
   
   

Scontri social-culturali nell'Africa postcoloniale Valutazione 4 stelle su cinque

di ashtray_bliss


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martedì 10 marzo 2015

White Material non è un film semplice o facile ne da vedere nè da metabolizzare. Tratta molteplici argomenti spinosi dai risvolti morali ed etici a volte contrastanti tra loro, ma mai banali o indiifferenti. E' uno di quei film che ti cattura e volente o meno ti costringe a fare i conti col risultato di tutti quei temi che ti vengono esposti sullo schermo. Altresì, per capirlo e decodificarlo bisogna essere mentalmente non solo aperti ma preparati a ricevere e argomentare, ognuno col la propria coscienza, le implicazioni di argomenti come il colonialismo, imperialismo politico e linguistico, il razzismo, la violenza, la voglia di riscattarsi verso quella di danneggiare il prossimo, la ricerca di una propria identità in un paese al quale appartieni ma che non ti meriti come recita ad un certo punto una tipico versetto camerunense.
Ma White material ti mette in guardia su tutto ciò e ti si presenta per quello che èb: un film dalla tematica complicata e scottante, a volte fastidiosa da trattare o dibattere, ma pur sempre una tematica che nessuno può negare o dimenticare. In primis, le generazioni bianche in Africa. Quelle che insieme alle loro terre e possedimenti hanno ereditato dei fardelli morali sproporzionati ed indelebili con i quali ancora oggi devono fare i conti. In seconda istanza, tratta d'un passato che fà sempre più pressante nel presente e genera scontri, incomprensioni, distaccamenti, violenze. Un passato che continua a rinfacciarti che sei sempre uno straniero nella tua stessa terra, e che non potrai mai farne parte, qualsiasi sia il prezzo che pensi di poter pagare, perchè gli errori del passato non si pagano con i soldi, ma li si affronta in maniera brutale e inaspettata. Li si affronta con la vita stessa.
Il film narra dunque, grazie ad un fortunato incrocio stilistico tra flashback e flashforward, la storia di Maria Vial e la sua famiglia. Lei è una potente proprietaria terriera d'una vasta piantagione di caffè che produce ed esporta, dando lavoro a molti uomini (e di conseguenza alle loro famiglie) locali camerunensi. Ma presto la situazione politica e sociale cambia drammaticamente, quando un gruppo di ribelli a capo dei quali si trova un enigamatico uomo denominato Le Boxeur, inizia una rivolta sociale contro il Governo, il quale per tutta risposta cerca di opprimere con la forza la rivolta. Sguinzagliando in strada l'esercito il quale si impone in breve tempo in tutto il Paese, ormai destabilizzato e in balia delle guerrillie di strada. In un contesto talmente precario le ambasciate invitano i loro connazionali bianchi a lasciare il paese per la loro sicurezza, ma Maria Vial non si lascia intimorire da quello che crede essere un terrorismo mediatico e il solito ingigantimento delle cose. Un inutile allarmismo.
Lei vuole restare. Deve restare; per la sua piantagione di caffè che a breve dà il raccolto, per la sua famiglia e per i suoi operai. E anche quando questi la abbandonano uno ad uno, scappando da quello che promette diventare un inferno, lei non si scoraggia mai. Armata di buona volontà, positività e una carabina (giusto per sicurezza ma che puntualmente si rifiuta di portar dietro) si mette in strada alla ricerca di nuovi operai da impiegare perchè non vada in fumo il raccolto di intere settimane. Ma mentre Maria cerca di salvaguardare per la sua piantagione, l'ex marito a sua insaputa decreta la vendita delle loro terre e organizza di nascosto la fuga verso la Francia. Una fuga che peraltro verrà messa a dura prova dai sconvolgimenti repentini che minano l'integrità e la sicurezza stessa dei Vial, e che coivolgeranno in prima persona il figlio Manuel, dal carattere piuttosto debole e superficiale.
Come una goccia che trabocca dal vaso, la destabilizzazione del Camerun riporta in superficie vecchie ferite mai chiuse di una nazione inizialmente piegata dal Colonialismo Europeo che successivamente si è ritrovata a fare i conti con l'era della post decolonizzazione e le nuove sfide poste. Ma la vera sfida riguarda gli eredi diretti della medesima situazione; i discendenti degli Europei Colonizzatori i quali si ritrovano a dover saldare a malo modo i debiti morali che si sono visti caricare sulle spalle; debiti riconducibili allo sfruttamento della mano d'opera locale, al possesso arbitrario di terreni e piantagioni sottratte ai locali, all'esporto e al conseguente arrichimento dei primi a scapito dei secondi. Ma l'impronta del colonialismo è onnipresenteò e una donna caparbia e audace come Maria se ne rende conto e non riesce mai a scrollarsela di dosso. Lei in fondo, si ritrova ad essere una clandestina nella sua patria. Una donna bianca, con tutte le implicazioni di potere che questo status le conferisce, che non riesce mai a mettersi pari ad ogni altro essere umano. Di fatto, i ribelli ma anche i militari le tolgono questo status quo con la forza e con la violenza, deprivandola dei suoi possedimenti ai quali lei è attaccata, ma infine derubandola anche della propria famiglia e dignità.
Una donna bianca che combatte per se stessa e la sua impresa, nel continente nero, un continente che diventa poco a poco ostile e inospitale, che la caccia via da tutto quello che lei ha sempre conosciuto e amato, seppur col fine di restituire ai rispettivi proprietari e abitanti indigeni africani cio' che gli ''altri'' hanno portato via con la forza e col imperialismo monetario e culturale.
Con una regia asciutta e sempre attenta la Denis evita ogni sorta di imbellimenti o romanticismi, raccontando una storia con sfumature possibili e verosimili, di scontri umani, etnici e culturali che non  sempre finiscono in bene. Storie di rese dei conti seppur involontarie, storie dove non ci sono vittime e carnefici ma i ruoli si interscambiano costantemente tra gli uni e gli altri, perchè niente è nero su bianco. Tutti combattono e lottano per quello che ritengono giusto, quello che amano, quello a cui tengono; sia gli Africani indigeni che gli Europei discendenti. Ma alla fine come in tutte le storie ci sono i perdenti e vincitori, solo che anche in quel momento sia le conquiste che le perdite si basano sul sangue versato di persone innocenti. Alcune barrire si dimostrano essere veramente insuperabili, come il semplice fatto di essere una persona bianca in un paese nero. Le implicazioni che ne conseguono da una semplice caratteristica genetica a volte scaturiscono violente reazioni, non prive di fondamento e background storico, ma non sempre concepibili sul piano individuale ed umano.
Splendinda l'interpretazione della Huppert che in più occasioni dimostra di essersi perfettamente impossessata del personaggio di Maria Vial al quale dona spessore, tragicità, umanità e debolezza nonchè ne fà trapelare un'infinita forza di volonta e resistenza morale, prima ovviamente del crollo finale.
Fotografia affascinante, essenziale, schietta che esaltano la natura fiera ma anche ostile e selvaggia dell'Africa. Un vero mix di poesia, attualità e drammaturgia condensate in un opera di rara fattura che non esprime sentenze morali o giudizi di alcun tipo ma non per questo risulta un prodotto sterile. Al contrario ci regala una grande varietà di emozioni che rendono la visione un'esperienza unica.
Ma in quanto al giudizio morale...Quello è il compito dello spettatore.
4/5. Da vedere assolutamente in quanto un piccolo capolavoro del cinema indipendente europeo.

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