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Un corto che ha fatto la storia (2/2)di enrico omodeo salèFeedback: 4312 | altri commenti e recensioni di enrico omodeo salè |
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giovedì 14 gennaio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
TEMATICHE Borom sarret è il nome che viene dato, a Dakar, a coloro che con un miserabile carretto trainato da un cavallo sostituiscono i taxi. Tali mezzi di trasporto non possono fuoriuscire dai quartieri popolari. Nel film sono presenti le caratteristiche tipiche del cinema africano: la linearità dello sviluppo narrativo e una recitazione non drammatizzata all’occidentale supportano infatti un’opera di finzione contenente elementi di realismo documentario. Tali elementi sono delle costanti che si riscontrano in quasi tutti i film realizzati nell’Africa Nera, cui si aggiungono l’assenza dell’eroe positivo e la sceneggiatura realista che fa emergere un discorso molto critico sulla situazione post-coloniale. Questo cortometraggio, in un certo senso, fa scuola. Borom Sarret è un “testimone, e ancor di più, un mediatore. Cammina attraverso la città per farcela scoprire”1, trasformando il suo carretto in taxi, impresa di pompe funebri, ambulanza. Attraverso i suoi spostamenti assistiamo a un ritratto delle classi sociali di Dakar: la camera di Sembène ci offre un quadro sociologico (dall’interno) della capitale attraverso lo sguardo del protagonista. Per quanto riguarda i personaggi, ciascuno porta un’apertura su un aspetto della vita sociale di Dakar che interessa l’autore e che gli permette di fornire un quadro d’insieme, documentaristico, della capitale senegalese. “La città – afferma Maxime Scheifingel - è ricostruita secondo un sistema di opposizioni: quartiere povero-quartiere ricco, mercato centrale- terra brulla non costruita, maternità-cimitero”1. Dopo che un mendicante gli domanda la carità, Borom non si muove e non gli risponde, pensando: “A che serve, sono come le mosche”. E’il pensiero di chi vive e vede la miseria tutti i giorni e si rende conto dell’inutilità di un gesto misericordioso. Uno stato di indifferenza causato dall’abitudine alla povertà. Quando invece arriva un griot, che dopo alcune astute frasi adulatorie comincia a evocare il passato glorioso dei suoi antenati, il carrettiere sborserà tutti i soldi guadagnati nella giornata, dimenticando la raccomandazione della moglie: “Ricorda che non abbiamo niente da mangiare”. L’orgoglio e la vanità, “sentimenti che i poveri possiedono spesso a un livello più forte dei ricchi” 2, gli costano cari.
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