Viaggio a Tokyo |
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Un film di Yasujirô Ozu.
Con So Yamamura, Chishû Ryû, Chieko Higashiyama, Kuniko Miyake
Titolo originale Tokyo Monogatari.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
b/n
durata 137 min.
- Giappone 1953.
- Tucker Film
uscita martedì 12 dicembre 2023.
MYMONETRO
Viaggio a Tokyo
valutazione media:
4,74
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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approccio improbabiledi carloalbertoFeedback: 51365 | altri commenti e recensioni di carloalberto |
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giovedì 14 maggio 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Commento improbabile e tuttavia azzardato per un’opera osannata e oggetto di studi critici specialistici, in teoria non approcciabile, quindi, se non con strumenti filologici molteplici, che includono conoscenze cinefile, orientaliste, competenze sul confucianesimo e sul buddismo e, perfino, linguistiche per il giapponese, non credo tradotto fedelmente nei sottotitoli, che non rendono le sfumature idiomatiche, e, meno male, non doppiato, almeno si può cogliere l’intonazione della voce, sebbene stupisca che l’antipatia della figlia parrucchiera abbia stampato sui tratti fisiognomici del volto la rozzezza avida del suo carattere, come un marchio universale antropologico, e la visione tardiva non aiuta. Negli anni ’60 si sarebbero colte assonanze o dissonanze con il nostro Paese ed il neorealismo, forse, di De Sica, il suo Umberto D., con la solitudine degli anziani. Ma siamo lontani, e la fruizione è destinata alla superficialità dei rinvii e delle forzature simboliche delle ciminiere di Tokio col loro fumo nero, vaticinio di una civiltà dello smog, o del cartellone che alla stazione annuncia la partenza di un treno per Hiroshima, ferita aperta, appena accennata, in un quadro intimistico e minimalista che sottrae, pur risultando eccessivo nel parlato, che esplicita ciò che è già chiaro. Per noi, invece, rimarrà un mistero come una nuora possa rimanere fedele alla famiglia del marito morto, dopo otto anni, e che il mammismo, il familismo nostrano non prevalga sul giudizio etico, testimoniando di culture stridenti in ogni aspetto e comprensibili soltanto nel folklore reciproco dei modi di dire, per cui di tutto rimane, con le uniche parole che ho capito, un sayonara a Ozu e un arigatò al maestro, per me protagonista del film, che alla morte della moglie-madre-patria, mentre i figli si attardano sulla salma, saluta il nuovo giorno sulla terrazza, con la meraviglia che si deve ad una bellissima alba, stamattina o ieri nel 1953, quando non tutto era compiuto e la speranza nel futuro, sebbene flebile, accomunava generazioni diverse in una sensibilità, che ostinatamente collochiamo in un passato, reinventato dalla nostalgia, senza scorgere in esso il seme, il cui frutto amaro mangiamo ogni giorno, passeggera come le nuvole a pecorella di un cielo indifferente alla vita o alla morte, come tutta la natura, che si offre, da sempre, come possibilità estrema, ad un atteggiamento estatico, che è vano contrapporre all’affannoso fascino del fare senza tempo, perenne inganno del mondo che si disfa e solo si ricrea nella poesia e, alcune volte, in film come questo.
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