Giuseppe Marotta
Il sole di marzo, a Roma, splende come il monocolo di Paolo Monelli. Via Veneto, la Ekberg delle strade, ancheggia mollemente e sale. C'è già un aroma di gelati, nell'aria. Non un tavolino libero, al Doney, al Rosati e dovunque. Ciò non vieta che B., un amico, o quasi, mi allunghi una copia dell'Unità, dicendo: “Guarda, M. A. replica alla tua replica”. Leggo distrattamente. M. A. (noto quale Mino Argentieri unicamente a se stesso e a Dio) afferma, in sostanza: 1) che io vendo, qui, la mia razione settimanale di qualunquismo intellettuale; 2) che non so nemmeno dove stia di casa la libertà, e che perciò debbo occuparmi soltanto di canzonette; 3) che il mio cervello è “manovrato” da Rizzoli; 4) che io sono pronto a chinare il capo davanti al “caporale di turno”; 5) che nacqui baciapile e che tale morirò; 6) che definendomi anarchico non ho specificato di avere il permesso del Vescovo e del Questore. [...]
di Giuseppe Marotta, articolo completo (11720 caratteri spazi inclusi) su 1960