YellowBrickRoad

Un gruppo di antropologi si immerge lentamente in un mondo che per certi versi possiamo definire "parallelo", un mondo in cui la loro umanità a tratti si rivela allo spettatore in tutta la sua primordialità, a tratti si insabbia inaspettatamente. Un mondo che potrebbe tranquillamente rappresentare l'inferno contemporaneo, una realtà inquietante che si trova proprio accanto a noi, sotto i nostri occhi, in cui l'udito diviene il senso primario, fonte di sollievo e di tortura. In "YellowBrickRoad" si condensano leggenda, una sacralità quasi pagana per la natura, un certo fatalismo e un amore per l'horror psicologico da parte dei registi/sceneggiatori Jesse Holland e Andy Mitton. 
Un paesino inquietante, popolato da persone che si dimostrano diffidenti, accoglie i forestieri desiderosi di percorrere il leggendario sentiero del non ritorno. Fin dal loro arrivo, entriamo in sintonia con l'atmosfera che regna sovrana a Friar, che ci lascia velocemente presagire l'imminente tragedia. Il film infatti, alterna sapientemente un'inquietudine crescente, fino al finale, ad un'estenuante lentezza del susseguirsi degli eventi. Una lentezza probabilmente voluta dai registi, capace di risvegliare nello spettatore quell'ansia trepidante che poche pellicole odierne di questo genere riescono davvero ad evocare e provocare.
La ricerca della verità, il desiderio di svelare il mistero della scomparsa degli abitanti di Friar, induce negli studiosi una passione difficile da controllare e, mentre in alcuni di loro scatta la paura, dattata dall'istinto di sopravvivenza (che in questo film è un'importante concetto chiave), in altri questa curiosità si manifesta come un bisogno quasi fisiologico, necessario, che non deve essere ostacolato.
Oltre agli scontri che nasceranno all'interno del gruppo e che porteranno alla sua divisione (e poi alla dispersione individuale, preludio della fine), un'altra battaglia infuria sin dall'inizio del sentiero, prima silenziosa poi evidente: quella tra gli esseri umani e la natura che li circonda. Essa li confonde, li ammalia, li accoglie poi li respinge. Un'ambiente meraviglioso, sereno e silenzioso si trasforma lentamente in un incubo fatto di inganni, seduzioni, visioni e suoni insopportabili. E' attraverso la Natura che la natura di ogni singolo individuo presente si manifesta in tutta la sua verità.
Una fotografia interessante indaga a fondo la luce che investe ogni passo degli studiosi, ogni anfratto del bosco, giocando un brutto tiro sia alla psiche dei protagonisti, sia a quella del pubblico, confondendoci, disturbandoci. A disturbare ancora di più intervengono poi la musica (dapprima gradevole poi insopportabile), altri suoni di origine ignota che quasi ci assordano, e le crudeltà che ai nostri occhi appaiono senza dubbio gratuite. E' una pellicola volutamente fastidiosa, sgradevole, grottesca, fredda. Tuttavia, se è da apprezzare tutto questo, "YellowBrickRoad" manifesta una natura insitamente caotica, dispersiva, eccessivamente simbolica. Lo spettatore ne rimane colpito, turbato ma anche fin troppo disorientato. A tratti infatti, il film pare perdere lucidità, anche se poi si riprende sempre. Questo caos era forse inevitabile in una pellicola che scava cosi a fondo, e che mira a destabilzzare lo spettatore e a porlo all'interno di un labirinto senza nessuna via d'uscita. Un buon tentativo della coppia Holland-Mitton, a cui probabilmente seguiranno risultati migliori.