zenobia
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martedì 17 maggio 2005
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che delusione...
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Delusione cocente il terzo ciclo di Heimat.
Sarà per il fatto che Reitz mi aveva conquistato anni acddietro e davo per scontato che Heimat 3 costituisse un altro poetico, affascinante, sentiero della vita. C'è stata un'epoca in cui l'avvincente uso della fotografia mi lasciava senza parole. La caratura dei personaggi, il sapiente intreccio delle storie di vita, la lettura non banale di un'epoca (mi riferisco soprattutto al secondo ciclo che mi piacque enormemente, anche perchè in lingua originale e non con quell'impossibile doppiaggio riservato al 1° ciclo).
Insomma, l'aspettativa era grande. Invece fin dal primo episodio non ho fatto altro che constatare la caduta di stile. Hermann e Clarissa sono diventati due macchiette prevedibili e senza interesse.
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Delusione cocente il terzo ciclo di Heimat.
Sarà per il fatto che Reitz mi aveva conquistato anni acddietro e davo per scontato che Heimat 3 costituisse un altro poetico, affascinante, sentiero della vita. C'è stata un'epoca in cui l'avvincente uso della fotografia mi lasciava senza parole. La caratura dei personaggi, il sapiente intreccio delle storie di vita, la lettura non banale di un'epoca (mi riferisco soprattutto al secondo ciclo che mi piacque enormemente, anche perchè in lingua originale e non con quell'impossibile doppiaggio riservato al 1° ciclo).
Insomma, l'aspettativa era grande. Invece fin dal primo episodio non ho fatto altro che constatare la caduta di stile. Hermann e Clarissa sono diventati due macchiette prevedibili e senza interesse.
Le storie degli operai e dei vari co-protagonisti (salvo qualche raro guizzo quando ha a che fare con Anton, Ernst, la famiglia Simon) sono insipide, piatte, accennate e poi superficialmente sviluppate. Una specie di telenovela fatta con molti soldi.
Anche le immagini le ho trovate di una retorica faticosa, quell'uso del bianco e nero che prima aveva un senso (prima, in Heimat 2) ora sottolinea banalmente momenti su cui piuttosto sarebbe utile sorvolare (l'incontro sul ponte di Hermann con il vecchio, nel 4° o 5° episodio).
Mi resta da vedere il 6° episodio e lo vedrò, ma solo per chiudere il ciclo.
Ma cosa è successo a Reitz?
E' afflitto anche lui dal vuoto vertiginoso di questa epoca per la quale transitiamo?
Sembra di sì.
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ferdinando
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venerdì 27 maggio 2005
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reitz, o una sua controfigura...
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Boh!? Che sara' successo a Reitz? Nel '94 dopo aver visto ogni singolo episodio con amici tornavo il giorno dopo, sicuro di provare nuove emozioni, libero di non leggere neanche i sottotitoli (ascoltare il tedesco di Hermann e Clarissa...). E poi i personaggi, che statura, che ironia, ognuno un potente catalizzatore di qualita' umane e debolezze profonde. Il filosofo solitario, il cileno geniale e perduto, Jean-Marie, Reinhardt, Schnussen, Helga, la musica, la vita, le donne e l'arte... e poi Salome Kammer e Henry Arnold. Un concentrato di emozioni.
Solo il gioco degli specchi, che sono l'unica realta' possibile, l'unico occhio che restituisce la vera immagine, e' gia' tutto: il bianco e nero, poi, e il colore improvviso, Ansgar che muore innamorato, e papa kino is tot.
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Boh!? Che sara' successo a Reitz? Nel '94 dopo aver visto ogni singolo episodio con amici tornavo il giorno dopo, sicuro di provare nuove emozioni, libero di non leggere neanche i sottotitoli (ascoltare il tedesco di Hermann e Clarissa...). E poi i personaggi, che statura, che ironia, ognuno un potente catalizzatore di qualita' umane e debolezze profonde. Il filosofo solitario, il cileno geniale e perduto, Jean-Marie, Reinhardt, Schnussen, Helga, la musica, la vita, le donne e l'arte... e poi Salome Kammer e Henry Arnold. Un concentrato di emozioni.
Solo il gioco degli specchi, che sono l'unica realta' possibile, l'unico occhio che restituisce la vera immagine, e' gia' tutto: il bianco e nero, poi, e il colore improvviso, Ansgar che muore innamorato, e papa kino is tot...
Ora i due si incontrano in stazione e il Muro di Berlino crolla. Si guardano ed e' la stessa intensita' che vibra tra me e il macellaro quando gli ordino polpettone.
Possibile? Una storia inutile, se non fosse per il simpatico Gunther o lo zio che si schianta in aereo.
Addirittura il grottesco, con Hermann che si chiude la caviglia in una tagliola da volpi, incapace di recitare qualsiasi emozione, che quasi ti viene voglia di pensare che anche il secondo Heimat dopotutto non fosse cosi' bello come ce lo ricordavamo. Uno spot per l'attivita' canora della signora Reitz, alias Clarissa? Che non ha una voce da cantante vera anche se e' brava interprete (quando canta, senno' ormai sembra una spigola al sale).
Cosa dire? E cosa dire dell' ultimo, bellissimo episodio, il sesto, dove Reitz non sembra piu' il vecchietto dei primi cinque capitoli? Quasi il suo '8 e1/2'...
Il dubbio che assale e', forse, che la malattia filmica di Salome Kammer fosse addirittura reale e che Reitz ci abbia dovuto costruire intorno qualcosa di verosimile. Questa sarebbe una spiegazione.
Allora zero palle ai primi cinque pezzi, e il massimo dei voti al sesto e ultimo, senza esitazione. E ora, una vecchiaia serena per l'ottimo Edgar: ha dato tutto
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lia
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lunedì 7 marzo 2005
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non crederete ai vostri occhi
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Vedere per credere, o per restare increduli. Sembra di essere in uno spot per il target "ultrasessantenni facoltosi". Due figli degli anni 70, ricchi, fortunati e pure artisti, rinverdiscono a modo loro il mito del ritorno alla terra. Sono così stanchi degli hotel a quattro stelle, bisogna capirli. Non alleveranno polli, ma ristruttureranno una sinistra casa (dicono che ci si sia ammazzata la Günderrode, avete presente?) per gioire finalmente di "un punto fermo". Il locale movimento antimissilistico - not in our backyard, danke - li adotta grato: sono un plus di prestigio culturale. E poi loro sono sempre così ben pettinati. La vecchia cascina gliela riabilita una squadra di magici operai specializzati della appena aperta DDR (ma allora la provvidenza esiste) ai quali il co-sceneggiatore Thomas Brüssig affibbia in pratica il ruolo dell'intermezzo comico, o al più dei sette nani.
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Vedere per credere, o per restare increduli. Sembra di essere in uno spot per il target "ultrasessantenni facoltosi". Due figli degli anni 70, ricchi, fortunati e pure artisti, rinverdiscono a modo loro il mito del ritorno alla terra. Sono così stanchi degli hotel a quattro stelle, bisogna capirli. Non alleveranno polli, ma ristruttureranno una sinistra casa (dicono che ci si sia ammazzata la Günderrode, avete presente?) per gioire finalmente di "un punto fermo". Il locale movimento antimissilistico - not in our backyard, danke - li adotta grato: sono un plus di prestigio culturale. E poi loro sono sempre così ben pettinati. La vecchia cascina gliela riabilita una squadra di magici operai specializzati della appena aperta DDR (ma allora la provvidenza esiste) ai quali il co-sceneggiatore Thomas Brüssig affibbia in pratica il ruolo dell'intermezzo comico, o al più dei sette nani. Conoscevo Brüssig come buon "giovane scrittore" dell'ex ddr, ma mi sembra che comincia a marciarci, con il folclore degli ossis, e mi pare che qui si sia lasciato prendere la mano dalla sua vena comico-patetica. Intanto Hermann, sul cui viso si è fissato col tempo un rigido sorrisetto compiaciuto, fa carambola, in quanto la bicocca, ohibó, è a un passo dalla natia Schabbach. Occhio che i nostri eroi hanno un figlio a testa (si sa, gli anni settanta...): quella di lui è invisibile, l'altro resiste stoicamente a una nonna schiacciante (ce la fa perché sta tutto il giorno su internet). Per chi aveva lasciato Hermann e Clarissa amaramente separati alla fine della seconda parte, oggi la delusione è cocente. Per chi aveva visto in Reitz il cantore cinematografico di una Germania che vale la pena, il tonfo è fragoroso. Si spera che questa serie, che parte da un mieloso finale felice, acquisti un poco di spessore strada facendo. A reggere questo episodio c'è un'utopia potente, di derivazione goethiana: quella un popolo in cui il lavoro manuale, la tecnica, l'abilità, il fare, non siano in contraddizione con l'alta cultura, la musica, l'arte. Magnifico nel '700 e a casa di un latifondista illuminato; dopo, pericolosamente paternalista. L'armonico parallelismo cacciavite/archetto è suggerito senza sottigliezza alcuna dal film, che alterna le immagini di Hermann e Clarisse, uno a dirigere, l'altra a cantare, con le operazioni di salvataggio della vecchia casa. A questo punto voglio rivedere heimat 1 e 2. Chissà che, visti dopo questo, non mi riservino qualche brutta sorpresa.
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