giordano brunetti
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giovedì 10 luglio 2025
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intenso, onesto e generoso
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Un film che parte in sordina ma ti conquista scena dopo scena. Francesca Comencini mette in scena con coraggio una storia autobiografica, senza tralasciare il suo passato di tossicodipendenza. Tutto incentrato sul rapporto con un padre importante e famoso, di cui faticosamente ma con successo seguir? le orme, il film supera il pericolo di narrare una storia ombelicale per coinvolgere e commuovere lo spettatore. Girato benissimo con due straordinari protagonisti che non si dimenticano facilmente. Sorprende l'assenza di altre figure femminili, visto che la famiglia Comencini era un gineceo. Ma evidentemente questo era l'intento dell' autrice.
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eugenio
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mercoledì 15 gennaio 2025
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un padre, una figlia
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Luigi e Cristina. Il padre cinematografico di Pinocchio e una figlia alle prese con una crisi esistenziale, il complesso legame doloroso con la vita e l'incertezza nel domani.
"Il tempo che ci rimane" di Comencini è un esercizio di stile retorico ma delizioso, soprattutto nella prima parte sul set delle avventure di Pinocchio, ricostruito con fedeltà sia nelle ambientazioni che nei personaggi. È la classica trama della barca di Masters che anela al mare eppure lo teme, la paura di non essere all'altezza del padre, le metafore insistenti con tanto di omaggio al "Miracolo a Milano" di De Sica nella parte finale. E pure la balena, luogo ancestrale nel quale la figlia non può raggiungere il padre, pedante e fin troppo forzato nella sua intimità.
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Luigi e Cristina. Il padre cinematografico di Pinocchio e una figlia alle prese con una crisi esistenziale, il complesso legame doloroso con la vita e l'incertezza nel domani.
"Il tempo che ci rimane" di Comencini è un esercizio di stile retorico ma delizioso, soprattutto nella prima parte sul set delle avventure di Pinocchio, ricostruito con fedeltà sia nelle ambientazioni che nei personaggi. È la classica trama della barca di Masters che anela al mare eppure lo teme, la paura di non essere all'altezza del padre, le metafore insistenti con tanto di omaggio al "Miracolo a Milano" di De Sica nella parte finale. E pure la balena, luogo ancestrale nel quale la figlia non può raggiungere il padre, pedante e fin troppo forzato nella sua intimità. Ma il film ha pregio e forza nelle riuscite interpretazioni di Gifuni nel padre, Vergano nella figlia che non lasciano indifferenti. Come se guardassimo a una piece familiare dal buco di una serratura.
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santospago
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mercoledì 18 dicembre 2024
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bellissimo
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un poetico ritratto a due, forte e coraggioso
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martedì 12 novembre 2024
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grazie!
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Ricordo, per esteso, la opportuna citazione di Samuel Beckett: "Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò ancora. Falliro` ancora. Falliro` meglio". Grazie per la bella recensione. Massimo Negri
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ralphscott
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domenica 3 novembre 2024
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la gioia della bambina, la sofferenza della donna.
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Si parte forte, col set di Pinocchio allegro e verosimile, per poi approdare all'età adulta dove il film si impantana, dilatandosi ed insistendo oltremodo sulla crisi di identità e la caduta nell'eroina di Francesca. Troppe lacrime, troppo dolore messo in scena, una sceneggiatura che sembra esaurirsi nella monotonia. Le scene corali che ci riportano alla gioventù degli anni 70 patiscono comparse vestite ed agghindate così accuratamente da risultare posticce. Notevole la prova di Gifuni.
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mauridal
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martedì 22 ottobre 2024
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pane amore e cinema
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IL TEMPO CHE CI VUOLE un film di Francesca Comencini con Fabrizio Gifuni, Romana Maggiora Vergano
Quando il cinema, meglio, la cinematografia, lascia un segno vero, fondamentale per la vita, allora parliamo di Francesca Comencini che ,figlia di Luigi Comencini , riesce a raccontarsi in questo suo riuscitissimo film sottolineando dal titolo che ci vuole il tempo giusto per realizzare un sogno.
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IL TEMPO CHE CI VUOLE un film di Francesca Comencini con Fabrizio Gifuni, Romana Maggiora Vergano
Quando il cinema, meglio, la cinematografia, lascia un segno vero, fondamentale per la vita, allora parliamo di Francesca Comencini che ,figlia di Luigi Comencini , riesce a raccontarsi in questo suo riuscitissimo film sottolineando dal titolo che ci vuole il tempo giusto per realizzare un sogno. Naturalmente il racconto del film è il rapporto di amore tra figlia e padre ma forse di più tra padre figlia e cinema , dove la piccola Francesca ha seguito il padre mentre dirigeva i suoi film, e assorbiva il clima e l’aria dei set , rimanendo contagiata positivamente dal lavoro del padre. La regista ha voluto ricostruire in alcune scene ,momenti importanti delle sue esperienze col padre regista , ma soprattutto ha voluto sottolineare il forte legame affettivo con un padre che l’ha seguita sempre, da bambina e anche in seguito , vivendo praticamente insieme dopo le loro vicende familiari che vengono però solo accennate. II vero protagonista del film, direi ,oltre alla figure narrate di Luigi padre e Francesca figlia, è senza dubbio la Cinematografia ,con tutto il senso di immaginazione ,fantasia, e potenza narrativa che un film può avere.Dunque le tante citazioni presenti nel film dal neorealismo di Paisà di Rossellini, al Pinocchio di Mèlies 1911, tutto concorre a ribadire che per il papà Luigi e in seguito per la stessa Francesca il cinema è una parte importante della vita di ognuno. Intanto nel film la regista ci tiene a ribadire l’insegnamento del padre che a proposito diceva “prima viene la vita e poi il cinema , come pure che il tempo che ci vuole avrà ragione dei fallimenti e degli sbagli inevitabili che ognuno commette . La regista Francesca Comencini ha raggiunto e centrato un film riuscito nel coinvolgere il pubblico .Grande l’interpretazione di Fabrizio Gifuni e anche la brava Romana Maggiora Vergano come Francesca .( Mauridal)
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anna rosa
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lunedì 21 ottobre 2024
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per ogni cosa ci vuole ... il tempo che ci vuole
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Il film è talmente denso e poetico che così di prim'acchito esprimerò solo qualche considerazione approssimativa. Innanzitutto la Comencini ci ricorda come la fiaba di Pinocchio, oggetto dell'opera filmica più amata di suo padre, sia un'efficace metafora della difficoltà del passaggio dall'infanzia alla vita adulta, ma anche ci dice come suo padre, anzi tutti i genitori, facciano il possibile per insegnare ai figli a non temere la balena, cioè i pericoli della vita. E papà Comencini sembra assolvere al difficile compito di genitore con grande equilibrio e rispetto della personalità della sua bambina. Eppure qualcosa va storto: forse un'eccessiva fiducia nella figlia fa sì che questa, una volta adolescente, si trovi troppo libera e troppo fragile per non cadere nelle mani del Gatto e della Volpe ovviamente versione anni '70, cioè droga e violenza politica.
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Il film è talmente denso e poetico che così di prim'acchito esprimerò solo qualche considerazione approssimativa. Innanzitutto la Comencini ci ricorda come la fiaba di Pinocchio, oggetto dell'opera filmica più amata di suo padre, sia un'efficace metafora della difficoltà del passaggio dall'infanzia alla vita adulta, ma anche ci dice come suo padre, anzi tutti i genitori, facciano il possibile per insegnare ai figli a non temere la balena, cioè i pericoli della vita. E papà Comencini sembra assolvere al difficile compito di genitore con grande equilibrio e rispetto della personalità della sua bambina. Eppure qualcosa va storto: forse un'eccessiva fiducia nella figlia fa sì che questa, una volta adolescente, si trovi troppo libera e troppo fragile per non cadere nelle mani del Gatto e della Volpe ovviamente versione anni '70, cioè droga e violenza politica. Significativamente è Lucignolo il suo personaggio preferito nella fiaba di Pinocchio, come dice in una scena iniziale. E il suo papà la approva perché Lucignolo ama la libertà. Solo che la libertà ha bisogno di contenuti per non divenire un vuoto a perdere. E Francesca per trovare questi contenuti ha bisogno di tempo: il tempo che ci vuole. Scopre così che, così come suo padre, quello che veramente ama è l'immaginazione: la libertà di creare storie con il cinema, e perpetuare cosi la complicità che la legava al padre quando era bambina. Cosìcche con questo la regista racconta la storia del rapporto col suo grande papà ma anche rende omaggio al mestiere e alla passione che li ha legati. Nella bella scena onirica finale vediamo il padre risucchiato verso la balena, ma è una balena che ormai non fa più paura: la bambina ora sa distinguere i pericoli veri e quelli immaginari. E con questo mi sembra che il film mostri molto poeticamente la continuità sostanziale che unisce le generazioni, i padri e i figli, pur cambiando i contesti storici: il Luigi Comencini bambino che salvava le vecchie pellicole che mostravano (anche) i brutti ricordi della guerra appena finita "continua" ad esistere nel cuore e nell'immaginazione di sua figlia, che invece da piccola sentiva parlare della violenza dei gruppi terroristi. Mi ricorda molto "I vecchi e i giovani" di Pirandello , pur con tutte le differenze del caso.
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gabriella
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lunedì 14 ottobre 2024
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passo a due
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Un film che è un omaggio sincero, appassionato, sentito, di una figlia verso un padre, è il ringraziamento a chi ha sempre scelto prima la vita, poi il cinema, permettendo a lei di entrare in scena e raccontarsi e abbandonarsi ai ricordi lievi dell’infanzia a quelli difficili della giovinezza, di abbracciare quel tempo, tutto il tempo che ci vuole, per ritrovarsi. Francesca Comencini crea uno spazio esclusivo tra lei e il genitore, sgombrando il campo da qualsiasi figura familiare e si concentra unicamente sul loro rapporto, di quando bambina passeggiava sui set cinematografici e invadeva il campo visivo rischiando di far perdere agli operatori l’ora a cavallo, quella luce che rende l’atmosfera più calda, o di quando andava a scuola tenuta per mano dal suo papà, quella mano che poi lascerà, negli anni turbolenti dell’adolescenza , dello sgomento, dell’oscurità della droga, anni segnati da tumulti rivoluzionari, le Brigate Rosse, la strage di Piazza Fontana, il rapimento Moro, la lotta armata, lo smarrimento di una generazione.
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Un film che è un omaggio sincero, appassionato, sentito, di una figlia verso un padre, è il ringraziamento a chi ha sempre scelto prima la vita, poi il cinema, permettendo a lei di entrare in scena e raccontarsi e abbandonarsi ai ricordi lievi dell’infanzia a quelli difficili della giovinezza, di abbracciare quel tempo, tutto il tempo che ci vuole, per ritrovarsi. Francesca Comencini crea uno spazio esclusivo tra lei e il genitore, sgombrando il campo da qualsiasi figura familiare e si concentra unicamente sul loro rapporto, di quando bambina passeggiava sui set cinematografici e invadeva il campo visivo rischiando di far perdere agli operatori l’ora a cavallo, quella luce che rende l’atmosfera più calda, o di quando andava a scuola tenuta per mano dal suo papà, quella mano che poi lascerà, negli anni turbolenti dell’adolescenza , dello sgomento, dell’oscurità della droga, anni segnati da tumulti rivoluzionari, le Brigate Rosse, la strage di Piazza Fontana, il rapimento Moro, la lotta armata, lo smarrimento di una generazione. C’è l’angoscia di un padre che vuole salvare la figlia dall’abisso, le attese piene di apprensione a sorvegliare il corridoio di casa, ripreso in campo lungo, che sembra non avere mai fine, le fragilità e il senso di inadeguatezza, la paura del fallimento, che va visto però come insegnamento per rialzarsi e ripartire dopo le cadute, per quanto rovinose, ripartire da Parigi come luogo per rinascere. In mezzo a loro c’è sempre il cinema che riappare ogni tanto in spezzoni in bianco e nero ( materiale prezioso, salvato dal macero da Luigi e consegnato alla cineteca di Milano), il cinema che sarà anche la via di salvezza per quella figlia che deciderà di seguire le orme del padre , perché attraverso di esso si possono dire cose che non si è mai avuto il coraggio di dire, di plasmare, addolcire, trasformare, drammatizzare, scomporre la realtà, oppure raccontare la verità, attraverso un film d’esordio autobiografico. Forse non facile da comprendere per un padre e regista che si è sempre tenuto lontano dal raccontare di sé, preferendo racconti con bambini, un cinema popolare che parlava al cuore della gente, sempre con umiltà e discrezione, segno distintivo e frattura di una generazione e del pudore di esporre i propri sentimenti e di quella del coming out. E’ un cinema denso di emozioni, un viaggio tra la dolcezza e la malinconia dei ricordi, un collage commovente e coraggioso puntellato d’immagini poetiche, la paura del pescecane, della frangibilità, di una scalinata percorsa con affanno, di una barba rasata con amore perché il Parkinson fa tremare le mani, di abbracci ritrovati in un arte che unisce , nella sua energia che è la sua salvezza, accompagnato alle note di “Hey Hey, My My “di Neil Young, perché, come nel mondo del rock, così come quello del cinema se devi dire qualcosa lo devi dire forte, allora non morirà mai. C’è un tempo anche per dire grazie e in questo sguardo universale , la magia prende forma con il volto profondo di Romana Maggiora Vergano e quello forte, giusto, di Fabrizio Gifuni che magnetizzano lo schermo e ci conducono in luoghi dove si può scappare con l’immaginazione.
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[+] la persona che ci vuole
(di ivan il matto)
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athos
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martedì 8 ottobre 2024
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un padre e una figlia
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Quando un film personale è molto acclamato dalla critica il semplice commentatore si trova un po' in imbarazzo. A me il film è piaciuto nell'interpretazione dei due attori. Un po' meno nella rappresentazione a due che ha escluso tutto il mondo circostante. Abbiamo capito la dedizione completa di un padre verso una figlia che si stava perdendo, abbiamo capito il contesto storico culturale della storia ma manca un pezzo. La parte della famiglia e le sue dinamiche. Finale onirico non indimenticabile.
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rosalinda gaudiano
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martedì 8 ottobre 2024
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il cinema da non perdere...
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Cogliendo l’espressione di Luigi Comencini: “ I film o stanno in piedi o non stanno in piedi”…questo film , ci sta…in piedi...
"IL TEMPO CHE CI VUOLE"
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Cogliendo l’espressione di Luigi Comencini: “ I film o stanno in piedi o non stanno in piedi”…questo film , ci sta…in piedi...
"IL TEMPO CHE CI VUOLE"
Francesca Comencini scrive e dirige un film sugli anni della sua adolescenza. Attraversa varie tappe, l’infanzia e gli anni della turbolenta giovinezza , dove la figura del padre Luigi è costante, presente, un’ancora di sicurezza …e di salvezza. L’infanzia di Francesca si veste quasi di magia grazie ai dialoghi che ha con il padre. Luigi Comencini spesso porta la piccola Francesca sul set, dove l’arte del cinematografo pullula di chiasso, di un’umanità narrata nell’infatuazione , nella magia, e nella forza che tutta la troupe ha per portare avanti e concludere il lavoro cinematografico, e mettere finalmente sul grande schermo un’idea che ha generato la storia, quella storia. Francesca da bambina ha mille paure , che il padre scorge , ma spesso senza riuscire a dissiparle. La bambina cresce. L’adolescenza la coglie in quegli anni ’70 rivoluzionari. Le coscienze giovanili sono in forte contraddizione , nelle classi si applaude il rapimento di Aldo Moro e serpeggia il veleno mortale della droga. Francesca vive quel tempo, insicura e introversa, e nel distacco da quel dialogo di supporto con il padre sprofonda nell’eroina e si fa paladina della lotta armata. Ma è sempre nel padre che troverà la strada per uscire dal tunnel buio e mortale dell’anima, quel padre che manifesta i primi sintomi della malattia , pur restando tenace duro e implacabile con la figlia a cui, in un momento di insolita asprezza, lascia la decisione della sua salvezza” Se esci da quella porta non mi rivedrai mai più"! E’ Parigi la città del rifugio, dove il padre e la figlia aspettano che la normalità ritorni e Francesca riacquisti la sua perduta forza vitale senza più ombre. Il Cinema, nella sua favola di rappresentazione della vita, nelle mille sfaccettature di immagini e colori, ha viaggiato sempre in parallelo nei dialoghi tra la figlia e il padre. Ed è qui che Francesca Comencini nel suo lavoro di racconto filmico autobiografico, restando ferma nella sola soggettiva del connubio padre/figlia, compie un’opera che rasenta il capolavoro. Pur manifestando fragilità e squilibri scenici, conquista per l’accurata scelta di fermare la mdp su scene chiave, che verbalizzano tutto il cammino interiore della regista, riuscendo a regalare al film la più profonda suggestione fino alla commozione. Lo stupore coglie lo spettatore e lo affascina per i tanti meravigliosi spezzoni che intramezzano la storia, come i tratti scenici del “Pinocchio del 1911” con Polidor. Materiali da cineteca preziosi, così le coloratissime scene che accompagnano i titoli di coda. Cogliendo un’espressione di Luigi Comencini, caratterizzato da un superbo bravissimo Fabrizio Gifuni : “ I film o stanno in piedi o non stanno in piedi”, possiamo affermare che “Il tempo che ci vuole” entra a tutto tondo nella storia del cinema, come storia sociale di un dramma psicologico esasperato e offeso, raccontato con sapiente espressività, resa palpabile dalla bellissima fotografia di Luca Bigazzi.
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