laurence316
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venerdì 30 dicembre 2016
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buon horror che paga il pegno della lunga durata
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Dopo i grandi successi di The Chaser e The Yellow Sea, che lo hanno posto all’attenzione dei festi- val internazionali e degli appassionati, Na affronta per la prima volta, nel suo terzo lungometraggio, l’horror soprannaturale, con tanto di spiriti, demoni e zombie.
Gran parte del repertorio (e degli stereotipi) del genere sono riciclati e presentati sotto una luce nuova (quantomeno agli occhi del pubblico occidentale), e il regista è indubbiamente abile nel creare quell’indefinibile atmosfera di attesa, tensione e sospetto e a turbare lo spettatore.
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Dopo i grandi successi di The Chaser e The Yellow Sea, che lo hanno posto all’attenzione dei festi- val internazionali e degli appassionati, Na affronta per la prima volta, nel suo terzo lungometraggio, l’horror soprannaturale, con tanto di spiriti, demoni e zombie.
Gran parte del repertorio (e degli stereotipi) del genere sono riciclati e presentati sotto una luce nuova (quantomeno agli occhi del pubblico occidentale), e il regista è indubbiamente abile nel creare quell’indefinibile atmosfera di attesa, tensione e sospetto e a turbare lo spettatore. Ma il gioco è tirato un po’ troppo per le lunghe (156’ di durata sono esagerati), gli alleggerimenti comici non troppo necessari (e piuttosto lontani dalle consuetudini della nostra cinematografia) e alcune sequenze, per quanto abilmente congegnate, non particolarmente utili ai fini della trama (vedi l’attacco dello zombie: scena tecnicamente perfetta, ma fondamentalmente inutile).
The Wailing (lett. Il vagito, il lamento) è un horror disturbante, cupo e spietato, ma mai particolarmente originale, e mai troppo interessato ad approfondire gli aspetti più interessanti della trama: la mal riposta fiducia, il pregiudizio, il razzismo, l’ignoranza, la dabbenaggine. Tutte caratteristiche espresse dal protagonista e da diversi altri personaggi, indicativi di un mondo dove “a governare sono il dubbio e il sospetto, e a finire a brandelli è la lucidità di individui deboli posti di fronte a eventi inimmaginabili” (Mereghetti).
Il regista Na sembra, però, più interessato ad impressionare lo spettatore e meno a creare una narrazione un mininmo più ricercata ed è solo la sua abilità dietro la macchina da presa a mascherare molto spesso l’esilità della sceneggiatura (da lui scritta). In ogni caso, (ancora una volta) grandissimo successo di pubblico in patria e ottima accoglienza alla presentazione a Cannes.
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ashtray_bliss
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domenica 29 ottobre 2017
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gokseong, ovvero la maestria coreana dell'horror.
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Goksung rappresenta impeccabilmente il meglio che la cinematografia coreana ha da offrire al pubblico. Un' opera magistrale, firmata dal promettente Na Hong-jin che ha già firmato altre due pellicole di notevole spessore quali The Chaser e The Yellow Sea.
La sua ultima opera, Goksung (aka The Wailing) si presenta subito come un film dal forte impatto visivo, in grado di catturare sin dalle prime scene l'attenzione dello spettatore e immergerlo pienamente in quella location selvaggia, costellata da laghi e montagne, bagnata da una pioggia quasi interminabile e avvolta nella nebbia. In questo scenario misterioso e affascinante al tempo stesso, seguiamo la storia di Joong Goo, poliziotto del villaggio omonimo (Goksung) il quale inizia ad indagare su dei violenti casi di omicidio che iniziano a colpire le famiglie della zona.
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Goksung rappresenta impeccabilmente il meglio che la cinematografia coreana ha da offrire al pubblico. Un' opera magistrale, firmata dal promettente Na Hong-jin che ha già firmato altre due pellicole di notevole spessore quali The Chaser e The Yellow Sea.
La sua ultima opera, Goksung (aka The Wailing) si presenta subito come un film dal forte impatto visivo, in grado di catturare sin dalle prime scene l'attenzione dello spettatore e immergerlo pienamente in quella location selvaggia, costellata da laghi e montagne, bagnata da una pioggia quasi interminabile e avvolta nella nebbia. In questo scenario misterioso e affascinante al tempo stesso, seguiamo la storia di Joong Goo, poliziotto del villaggio omonimo (Goksung) il quale inizia ad indagare su dei violenti casi di omicidio che iniziano a colpire le famiglie della zona. Gli omicidi, brutali e alquanto inspiegabili, vengono presto collegati all'insorgenza di una strana malattia della pelle che sembra affliggere le persone prima di condurle alla pazzia e commettere tali becere azioni.
L'impianto narrativo risulta subito coinvolgente per lo spettatore e il regista riesce sapientemente a creare un'atmosfera densa di mistero, suspense e angoscia crescente coinvolgendo alcune figure di spicco che permeano la storia: il giapponese, lo sciamano, la donna in bianco. Gli elementi che collegano personaggi ed eventi tra loro emergono poco alla volta e mentre all'inizio sembrano scollegati, ben presto tutti i nodi vengono al pettine. A rendere più cupa e sinistra la narrazione saranno anche alcune leggende e storie che gli abitanti di Goksung iniziano a diffondere. Queste storie prevedono che il Giapponese, uno straniero da poco instauratosi nel villaggio, sia uno spirito maligno o peggio il Diavolo arrivato per scatenare l'inferno nel tranquillo villaggio Coreano. Il giapponese infatti risulta una figura interessante, ambigua e contemporaneamente inquietante, a causa del suo modo di vivere ascetico ed isolato dal resto della popolazione. Attraverso la sua figura emerge anche una lettura più profonda e forse anche politica, sull'immagine dello straniero. Come viene percepita e affrontata la figura dello straniero? Quali sentimenti ed emozioni provoca nella popolazione? Ovviamente in questo caso la paura, la diffidenza, l'ostilità sono gli elementi, e i sentimenti, principali che animano gli abitanti. Il giapponese stesso riesce a mantenere uno status ambiguo ed enigmatico per la maggior parte del film, cosa che mantiene elevata la suspense e permea di mistero il racconto.
Il secondo elemento portante del film è dato dalla carismatica figura dello sciamano il quale incorpora e rappresenta tutti gli elementi tipici del folklore e della spiritualità coreana. Un vero polo magnetizzante e assolutamente interessante, specialmente per lo spettatore occidentale, aggiungendo quel tocco di misticismo ad una pellicola già colma di simbolismi evocativi. La donna in bianco resta anch'essa una figura enigmatica fino a poco prima del finale, dove rivelerà la sua vera natura e sottoporrà lo sfortunato protagonista ad una prova di fede.
Nel mezzo, troviamo invece il protagonista Jong Goo nella sua corsa contro il tempo, come poliziotto e sopratutto come padre, nel tentativo di risalire alla causa che spinge le persone a commettere questi brutali omicidi e per impedire che la giovane figlia, affetta dagli stessi sintomi di disturbo psicologico e mentale, di diventare l'artefice di un'ennesima carneficina. Ben presto la razionalità e la ragione lasceranno il posto alla confusione, mentre superstizione, credenze religiose e rituali magici s'intrecceranno creando un quadro molto intrigante e complesso, ma anche intelligente e intimista dove nulla e come sembra. Gli enigmi si moltiplicano e le risposte restano in sospeso, in bilico tra la razionalità e il paranormale rendendo questo mystery thriller completo e genuinamente coinvolgente. Sino all'ultimo istante i dubbi ammontano facendosi sempre più persistenti e la confusione ha il sopravvento. Emotivamente carico e delucidante, il finale riuscirà finalmente a liberare lo spettatore dalla confusione che lo aveva precedentemente colto e rivelare, finalmente, la vera natura dei personaggi coinvolti.
The Wailing risulta così un film potente e affascinante, un abile mix di generi cinematografici dal poliziesco, al thriller, all'horror che riesce a incatenare lo spettatore grazie all'atmosfera densa di mistero e carica di simbolismi. Supportato da una fotografia e sceneggiatura bellissima, il nuovo lungometraggio del cineasta coreano riesce a conquistare per la mirabile composizione del racconto che la rende una splendida e crudele favola horror contemporanea che cattura e affascina lo spettatore trasportandolo in questa sorta di dimensione parallela, in questo incubo che si materializza e che trascina al suo interno i protagonisti, lentamente e inesorabilmente.
Goksung rappresenta senza ombra di dubbio il meglio che la cinematografia asiatica possa offrire sull'argomento di thriller sovrannaturale risultando un perfetto esempio di cinema. Ottime le interpretazioni (anche se in puro stile coreano, un tantino sopra le righe), la regia, la costruzione della storia e la fotografia. Il finale amaro è degno delle migliori fiabe dark e horror di sempre.
Consigliatissimo, un capolavoro cinematografico a 360 gradi. 4,5/5.
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biso93
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lunedì 11 dicembre 2017
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quando l'horror tocca vette misteriose
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Goksung la presenza del diavolo e' un film del 2016 scritto e diretto dal talentuosissimo Na-Hong-jin. Al suo terzo lungometraggio, il giovane regista koreano realizza un capolavoro di genere, un horror che mischia più generi cinematografici; cambi di ritmo ed atmosfere insieme a sbalzi improvvisi di tono donano al film una grande scorrevolezza nonostante la sua lunga durata. Na-Hong-jin dimostra di aver ottenuto una conoscenza della tecnica registica molto profonda, con piani sequenza meravigliosi, inquadrature ferme, lente e talvolta frenetiche tutte al servizio del momento e degli stati d'animo dei personaggi. Goksung narra le vicende di un piccolo villaggio koreano che un bel giorno diventa teatro di una serie di eventi insoliti e misteriosi.
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Goksung la presenza del diavolo e' un film del 2016 scritto e diretto dal talentuosissimo Na-Hong-jin. Al suo terzo lungometraggio, il giovane regista koreano realizza un capolavoro di genere, un horror che mischia più generi cinematografici; cambi di ritmo ed atmosfere insieme a sbalzi improvvisi di tono donano al film una grande scorrevolezza nonostante la sua lunga durata. Na-Hong-jin dimostra di aver ottenuto una conoscenza della tecnica registica molto profonda, con piani sequenza meravigliosi, inquadrature ferme, lente e talvolta frenetiche tutte al servizio del momento e degli stati d'animo dei personaggi. Goksung narra le vicende di un piccolo villaggio koreano che un bel giorno diventa teatro di una serie di eventi insoliti e misteriosi. Un poliziotto impacciato e bonaccione si troverà a dover indagare su una serie di brutali omicidi. Nella totale incapacità di trovare risposte, il sospetto generale ricade su un misterioso giapponese da poco giunto in paese e che vive nella foresta. Na-Hong-jin costruisce un film che passa dal thriller, al giallo, al comico all'horror con una fluidità sorprendente mentre lo spettatore subisce lungo la visione, continui colpi di scena e cambi di prospettiva che creano confusione e stupore fino al finale, a mio modo di vedere semplicemente meraviglioso, il quale ci lascia confusi, stupiti e pieni di domande, alle quali non é facile dare risposte. Il film riprende le più classiche situazioni horror, zombi, infezioni e possessioni e le porta a nuova vita grazie ad una visione Delle stesse molto particolare e moderna. Goksung parla del male e di come esso si insinua nella vita delle persone, di come non sia esso un unica e definita entità ma assuma varie forme per ingannarci. Alla fine del film mi é venuto un forte senso di malessere per la consapevolezza che le nostre vite sono soggette a forze che non saremo mai in grado di affrontare e controllare. In conclusione Goksung e un film che pone domande e non ci da chiare risposte come un buon horror deve fare uscendo da ogni logica reale addentrandosi nell'ignoto. Per me il risultato é un film modernissimo che rimanere impresso e realizzato magnificamente, scritto e diretto alla grande. Consigliatissimo ai fan dell'horror e a chi vuole vedere qualcosa di particolare e contorto
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noia1
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lunedì 19 febbraio 2018
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intrattenimento di qualità dai cugini dell'est
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In un paesino coreano un’epidemia infetta gli abitanti che si concedono sprazzi di violenza assassina al termine dei quali finiscono in un’inspiegabile catalessi e sporchi del sangue dei loro stesi rispettivi familiari. Un imbranato poliziotto si occuperà del caso scoprendo che forse tutto si ricollega alla maledizione portata da un misterioso giapponese da poco stabilitosi nei dintorni.
Goksung non si poteva non vedere, al di là delle recensioni è strano trovarsi distribuito un film orientale in Italia a così poco tempo dall’uscita nelle sale coreane, inoltre di Na Hong jin non solo si è sempre parlato bene ma il fatto che in dieci anni gli abbiano permesso di girare solamente tre film la dice lunga su che razza di folle stiamo parlando.
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In un paesino coreano un’epidemia infetta gli abitanti che si concedono sprazzi di violenza assassina al termine dei quali finiscono in un’inspiegabile catalessi e sporchi del sangue dei loro stesi rispettivi familiari. Un imbranato poliziotto si occuperà del caso scoprendo che forse tutto si ricollega alla maledizione portata da un misterioso giapponese da poco stabilitosi nei dintorni.
Goksung non si poteva non vedere, al di là delle recensioni è strano trovarsi distribuito un film orientale in Italia a così poco tempo dall’uscita nelle sale coreane, inoltre di Na Hong jin non solo si è sempre parlato bene ma il fatto che in dieci anni gli abbiano permesso di girare solamente tre film la dice lunga su che razza di folle stiamo parlando. Non dico per dire sul fatto che a dirigere ci sia un pazzo completo perché in due ore e mezza non c’è un minuto nel quale ci si possa mettere comodi a cercare di inquadrare uno straccio di idea stilistica, la trama esplode con camera a mano e montaggio impazzito proprio quando ci si abitua al cavalletto e ad immagini quadrate poi, quando sentiamo il cuore in gola, rallenta di nuovo e i movimenti di macchina si fanno attenti ed eleganti.
La durata può scoraggiare, due ore e mezza sono parecchie ma volano perché più che approfondire una trama qui si prendono trenta film diversi e li si comprime in una volta sola sicché non si ha tempo di capacitarsi d’una serie di eventi che ne arriva un’altra come un treno che sconvolge tutto facendo ricominciare le cose daccapo. I primi tre quarti d’ora sono una vicenda, i secondi ne introducono un’altra e l’ultima ora sono tipo una trama diversa ogni dieci minuti.
la pellicola è spietata e malgrado ogni cosa prenda nello svolgersi una piega decisamente drammatica non si può ignorare come ogni figura – dal poliziotto al monaco fino all’intera società che ignora lo stato delle cose – faccia la fine d’una parodia, sembra di vedere una mandria di idioti che mettono in ridicolo il loro stesso ruolo. Questa rappresentazione poi dalla società si estende al resto delle credenze e delle religioni, dei ragionamenti e dei giudizi; niente si salva perché ogni ragionamento per quanto logico rivela solo impotenza e limitatezza.
Alla fine una risposta c’è nella matassa di queste quasi tre ore di lezione di montaggio di un’opera, sulla direzione delle sequenze, su dove va messa la macchina da presa. Eppure si fa fatica a crederci perché ci si rende conto che per quanto chiaro ed evidente sia l’epilogo in realtà il giudizio delle cose cambia in base alla visione che si ha di esse, per decine di minuti lo spettatore non fa altro che giudicare e quando arriva la fine la cosa più evidente sta nella consapevolezza che il nostro sguardo è sempre e comunque troppo limitato.
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