ennio
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martedì 11 agosto 2020
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piacevole western salentino
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"La santa" è stata una gradita visione, con tutte le caratteristiche del classico western:
- gli stranieri che arrivano al paesello e sono subito malvisti dai signorotti locali
- il passaparola tra i paesani per individuarli e catturarli dopo il misfatto
- il paese che appare deserto ma mille occhi scrutano da dietro una tendina o una finestra
- il paesano ribelle che non ci sta e solidarizza coi forestieri
- la violenza brutale, un colpo secco e mira infallibile
- mancavano solo i cavalli
In conclusione, meglio evitare di profanare santa Vittoria o si finisce male.
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rescart
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martedì 11 agosto 2020
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i conti non tornano
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Mi azzarderei a fare un accostamento con Match point di W. Allen, perché in entrambi i film i registi fanno ampio ricorso ai fucili da caccia, rumorosi quanto improbabili. Ma se nel film di Allen è lo stesso amante fedifrago che s'incarica di fare fuori l'aspirante moglie, qui il compito è delegato al paesano con troppa fiducia nella sua mira.
In entrambi i film comunque i conti non tornano, da un punto di vista logico in Match point, perché scegliere il fucile da caccia per fare fuori due persone pure a distanza di tempo a Londra, senza che nessuno lo noti, è inverosimile; da un punto di vista aritmetico in questo film perché alla fine si contano quattro teli bianchi sulla piazza del paese mentre le vittime sono cinque.
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Mi azzarderei a fare un accostamento con Match point di W. Allen, perché in entrambi i film i registi fanno ampio ricorso ai fucili da caccia, rumorosi quanto improbabili. Ma se nel film di Allen è lo stesso amante fedifrago che s'incarica di fare fuori l'aspirante moglie, qui il compito è delegato al paesano con troppa fiducia nella sua mira.
In entrambi i film comunque i conti non tornano, da un punto di vista logico in Match point, perché scegliere il fucile da caccia per fare fuori due persone pure a distanza di tempo a Londra, senza che nessuno lo noti, è inverosimile; da un punto di vista aritmetico in questo film perché alla fine si contano quattro teli bianchi sulla piazza del paese mentre le vittime sono cinque. Evidentemente certi registi, che non si considerano abili mestieranti capaci solo di mettere in scena i romanzi di Agatha Christie, cercano con i loro film di fare leva su temi più universali come l'adulterio ed il suo opposto, ovvero la fedeltà coniugale. Anche in una società apparentemente emancipata come la Londra del XXI secolo, il peccato più grave è proprio quello che commette il personaggio simbolo dell'immaginario collettivo ebreaico: il re Davide. Allen fa leva su questa fissazione tutta occidentale, che altre culture hanno invece posto come pagliuzza in confronto alla trave e che nella cultura, ebraica, è incarnata dal re Saul; Alemà fa qualcosa di simile, ma rimane su livelli incommensurabilmente inferiori a quelli del maestro di Manhattan.
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conte di bismantova
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mercoledì 1 febbraio 2017
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un'ottimo ritratto-metafora del mondo di oggi
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Il paese siamo noi, metafora del piccolo mondo che abbiamo dentro che in fondo è la nostra casa, il nostro sistema, la nostra piazza, la terra dei nostri padri. Ciò che insegnamo ai bambini è a mirare dritto su chiunque metta in discussione la nostra identità culturale e religiosa: in fondo lo facciamo nei bar, coi discorsi da bar, sulle pagine dei giornali da bar, nella difesa quotidiana e strenua del nostro strüdel esposto al bar, piuttosto che del kebab dei nuovi arrivati. Diciamoci la verità su quante volte abbiamo sentito che sulle nostre coste ci vorrebbero le mine anti-uomo. Naturalmente poco importa se il crimine dell'effrazione provenga o no dalla fame: nessuna pietà per l'intruso ladro e fuggitivo, nemmeno se ferito o pentito.
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Il paese siamo noi, metafora del piccolo mondo che abbiamo dentro che in fondo è la nostra casa, il nostro sistema, la nostra piazza, la terra dei nostri padri. Ciò che insegnamo ai bambini è a mirare dritto su chiunque metta in discussione la nostra identità culturale e religiosa: in fondo lo facciamo nei bar, coi discorsi da bar, sulle pagine dei giornali da bar, nella difesa quotidiana e strenua del nostro strüdel esposto al bar, piuttosto che del kebab dei nuovi arrivati. Diciamoci la verità su quante volte abbiamo sentito che sulle nostre coste ci vorrebbero le mine anti-uomo. Naturalmente poco importa se il crimine dell'effrazione provenga o no dalla fame: nessuna pietà per l'intruso ladro e fuggitivo, nemmeno se ferito o pentito. Mirare dritto in fronte: imperativo assoluto ed irreversibile, nella rabbiosa ed urgente difesa della tradizione si sacrifica l'umanità con determinazione necessaria e perentoria ed anche col piacere virile della caccia organizzata all'animale braccato. I fuggiaschi disperati trovano quel poco rifugio e comprensione solo nei "diversi", ovvero in chi già da anni soffre l'isolamento dovuto alla mancata omologazione all'ortodossia paesana ed un pochino si identifica nei morituri che casualmente gli piombano in casa. Il discorso hippy sulla libertà di espressione del corpo e sulla sua negazione pianificata ad opera della Fede è un tantino fuori vasca, ma pare spontanea e ci sta. Io credo di avere capito il suo film, signor Alemà, e di averlo anche gradito parecchio: quattro stelle potranno sembrare esagerate (le stesse di Schindler's List...), ma le accetti, la prego, come incoraggiamento di cuore per chi come me ci vede del buon futuro. Alla prossima!
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rct_freeman
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martedì 26 novembre 2013
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mah...
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Questo film è stato presentato al festival del cinema di Roma.
La forza di questo film,secondo me,è l'idea. Molto originale,che incuriosisce. Scorre abbastanza bene (in alcuni punti si ferma un pò) e presenta alcune lacune di sceneggiatura. Buona la regia.
Alla fine del film,purtroppo,non resta molto...anche per la prova sottotono dei due attori principali. Molto meglio le attrici femminili.
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francescoterranegra94
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mercoledì 20 novembre 2013
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qual'è la vera giustizia?
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Ci troviamo a Specchia, in provincia di Lecce, un paesino ‘rurale’, se così può esser definito; un paesino arretrato da un punto di vista economico, e non solo. In questo film è l’arretratezza culturale e sociale che paga! “Un paese di merda”, viene definito nel film; e poco importa se si tratti delle case un po’ “old-fashion” o delle automobili “d’epoca”: la vera merda è nell’animo di questo popolo. Dubito che il regista volesse rappresentare la vera essenza del sud (perché se così fosse, si sbaglierebbe), piuttosto voleva rappresentare un mondo fittizio, un mondo alla rovescia.
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Ci troviamo a Specchia, in provincia di Lecce, un paesino ‘rurale’, se così può esser definito; un paesino arretrato da un punto di vista economico, e non solo. In questo film è l’arretratezza culturale e sociale che paga! “Un paese di merda”, viene definito nel film; e poco importa se si tratti delle case un po’ “old-fashion” o delle automobili “d’epoca”: la vera merda è nell’animo di questo popolo. Dubito che il regista volesse rappresentare la vera essenza del sud (perché se così fosse, si sbaglierebbe), piuttosto voleva rappresentare un mondo fittizio, un mondo alla rovescia. Un mondo in cui la corruzione d’animo non è rappresentata dai ladri in questione (i quattro protagonisti, desiderosi di rubare la statua della santa del paese), ma dagli abitanti, che dietro la maschera della religione si macchiano di crimini orribili quali l’omicidio, per non parlare delle varie ‘sveltine’ che coinvolgono anche l’alta borghesia; quelle persone, come i medici, che più dovrebbero essere integre! I bambini sono i primi a pagare, perché ricevono dagli adulti questa cruda eredità! Il finale è tutto da scoprire!
Per quanto riguarda il resto, film che scorre in fretta, grazie alle scene di tensione e al buon montaggio; la sceneggiatura, risulta un po’ banale, salvo alcune battute degne di nota (“Hai rifiutato di sposare una bella donna per sposare Dio? Pensa che affare” dice uno dei protagonisti al parroco… “Sì, sai che bello quando un uomo trova una sua missione, una sua strada”), fotografia e colore stonano un po’ con il resto, ma forse il colore arido e cupo è stato scelto per rappresentare l’animo degli abitanti.
Film presentato in concorso al festival internazionale del film di Roma 2013.
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