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Film drammatico esistenzialista con venature noir, misconosciuto al grande pubblico, capolavoro di scrittura recitazione e direzione, è come se JP Melville in particolare 'Tutte le ore feriscono' avesse incontrato il Woody Allen della fase migliore 'Io e Annie' o 'Manhattan' per intenderci, passando per Kitano e il maturo e robusto (narrativamente parlando) e sensibile Eastwood. Sorprende come il regista Henry Bromell, ex produttorre e scrittore di telefilm polizieschi, abbia girato questo bellissimo gioiello a medio-budget le cui qualità sono la sobrietà coerenza e essenzialità (come forma ma anche come contenuto: si svolge quasi tutto in famiglia), sorretto da una colonna sonora avvolgente e da attori eccezionali a partire dallo stesso Macy nella parte di un sicario a pagamento e da Shuterland nella parte di suo padre e contemporaneamente datore di lavoro (forse ammanicato con la mafia) il cui cervello è rivolto solo agli affari ma che ha un buco al posto del cuore; strordinario anche il piccolo David Dorfman nella parte del precoce figlioletto il quale dialogando nei momenti liberi col padre la storia lascia impercettibilmente intuire che abbia influito quest'ultimo a rivedere la sua vita e spingerlo ad andare dallo 'strizzacervelli' interpretato da un grande Ritter mai stato cosi bravo (forse in 'Rumori fuori scena'). Finale straordinariamente sommesso e commovente. Assolutamente da vedere, astenersi chi si aspetta esplosioni e sparatorie.
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