andrea primi
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mercoledì 23 aprile 2025
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splendido
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Film durissimo e meraviglioso,il senso di sicurezza che si sgretola in poche ore,il passaggio da una vita all'' altra...il caos,la paura,la fatica di vivere in Israele circondati da nemici che minacciano direttamente la vostra vita e allo stesso tempo usare la propria vita per salvarne altre...la guerra del Kippur in 18 giorni ha causato in proporzione di tempo e popolazione pi? morti che quelli americani in tutta la guerra del Vietnam, cos?,tanto per capirsi....
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lupotto
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domenica 5 aprile 2009
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kippur cag...ta pazzesca 2
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Mi correggo la recensione di Repubblica era di Irene Bignardi ... il senso non cambia. Inguardabile
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lupotto
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domenica 5 aprile 2009
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una cag..ta pazzesca
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Incredibile spreco di pellicola... un film offensivo per la sua bruttezza e superficialità.
Tullio Kezich lo recensiva "...più duro di Niente di nuovo sul fronte occidentale, di Orizzonti di gloria e di Platoon messi insieme."
VERGOGNA!
Mai vista tanta disonestà ideologica.Pensavo fosse un critico e non un disinformatore politico.
Mi deve i soldi del biglietto del cinema più sprecato della mia vita.
[+] guardati boldi,per te va bene
(di andrea primi)
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kla
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sabato 19 aprile 2008
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du palle
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mr nite poet
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giovedì 3 gennaio 2002
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guerra e noia
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Surreale: l'uomo va alla guerra in automobile. Guerra come diversivo tra due sessioni di sesso. Sesso-colore/guerra-squallore. I simbolismi sono fin troppo chiari. Lo stile: "documentaristico". Siamo spettatori e non lo siamo. Davanti a noi lo squallore della guerra fangosa, sanguinosa, futile. Luminosa idea, la visione delle retrovie stanche e squallide, ripetitivo lavoro "nobile" del salvare i feriti, mentre l'azione bellica si sottintende ai margini. Ma la noia fa capolino quando la messa in scena, volutamente povera, non trova il registro delle emozioni. E' come una conferenza. Le immagini dovrebbero parlare da sole. Senza tramiti, senza "spiegare". Né "dispiegare" (i mezzi?). Realismo. Noia.
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Surreale: l'uomo va alla guerra in automobile. Guerra come diversivo tra due sessioni di sesso. Sesso-colore/guerra-squallore. I simbolismi sono fin troppo chiari. Lo stile: "documentaristico". Siamo spettatori e non lo siamo. Davanti a noi lo squallore della guerra fangosa, sanguinosa, futile. Luminosa idea, la visione delle retrovie stanche e squallide, ripetitivo lavoro "nobile" del salvare i feriti, mentre l'azione bellica si sottintende ai margini. Ma la noia fa capolino quando la messa in scena, volutamente povera, non trova il registro delle emozioni. E' come una conferenza. Le immagini dovrebbero parlare da sole. Senza tramiti, senza "spiegare". Né "dispiegare" (i mezzi?). Realismo. Noia. Neo-neo-realismo. Con solo un momento "kolossal". Quasi un "elenco". Sì, dare l'idea della ripetività. Sì, sbattere "così com'è" ("era", nel 1973) la guerra. UNA guerra, tutte le guerre. Ma il cinema-visone "altra", lavorìo di fantasia, altrove dell'altrove, muore in quei campi fangosi. Muore, e non rinasce. Un nuovo genere, forse. Un genere nel quale le regole spettacolari "tradizionali" sono superate (tradite, con la complicità cinefila dello spettatore, si vorrebbe), per ottundere i sensi e trasmettere il "messaggio" diretto, forse. Comunque, un tentativo riuscito a metà. Da "ammirare", non "mirare". Film estenuante. Alta mortalità di pubblico (certo un pubblico da cineforum di provincia pomeridiano, un pubblico di vecchie impellicciate e ciancianti, attratte dal diversivo - e dal prezzo "popolare" - a rinunciare a una canasta con le amiche, a una tazza di the, e presto pentitesi) (MENO MALE) . Sullo schermo la violenza è "reale". Il che la rende in qualche modo sia più che meno inquietante. Non "dilaga". Ottunde. Certamente il disagio è più fisico. Le emozioni sono sepolte da un muro di noia. Il fango le ha seppellite. Malgrado questo, c'è gioia. C'è "novità". Per cui, 3 ***. Che vuol dire 6/10. Ma non consiglio a nessuno che abbia già nella sua mente l'idea che la guerra, ogni guerra, sia una mostruosità, di vederlo. D'altronde i guerrafondai non apprezzerebbero. In definitiva, il film vive e si risolve su un'idea di rappresentazione. Le regole però sono poste in maniera imperfetta. E ciò genera la confusione della noia. Una "recitazione" iper-realistica (o sciatta, apposta) non aiuta, non coinvolge. Infine la scena finale nell'ospedale è stupefacente. Annoiare per indignare, la nuova frontiera del cinema secondo Amos Gitai.
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