Billy Elliot |
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Un film di Stephen Daldry.
Con Jamie Bell, Gary Lewis, Jamie Draven, Julie Walters, Jean Heywood.
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Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 110 min.
- Gran Bretagna, Francia 2000.
MYMONETRO
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La danza invade i film, in se stessa o come veicolo di storie, come elemento per la costruzione dell'identità, come presenza simbolica, e usa ogni stile, ogni epoca: prima e dopo l'ammirato e premiato Billy Elliot di Stephen Daldry, si son visti Dancer in the Dark di Lars von Trier, Le roi danse di Gérard Corbiau (il re che balla è Luigi XIV), Beau travail di Claire Denis, Bamboozled di Spike Lee. Billy Elliot, vicenda d'un bambino di famiglia proletaria che nel 1984 a Durham, nell'Inghilterra settentrionale, durante il lungo, terribile e vano sciopero anti-Thatcher dei minatori, vuole assolutamente diventare ballerino di danza moderna, ha un lieto fine. Il bambino riesce a venir ammesso alla scuola di danza del Royal Ballet a Londra, termina bene i corsi, arriva a partecipare al suo primo spettacolo al Covent Garden. Tra il pubblico, suo padre minatore (anzi, ex minatore, perché la Thatcher ha chiuso le miniere), che all'inizio lo aveva duramente contrastato (“roba da femminucce, da finocchi”) e che è poi divenuto il suo maggiore sostenitore, piange di commozione come in una cinesceneggiata di Mario Merola. Sul palcoscenico, il ballerino ormai adulto, tutto coperto di piccole piume, danza Il lago dei cigni nella versione di Matthew Bourne, interpretata da tutti uomini, andata in scena a Londra e poi a Broadway nel 1996. Alcuni hanno creduto che il film fosse ispirato appunto alla vita di Bourne, nato in una famiglia operaia a Manchester: ma pare che i genitori del coreografo non si siano mai opposti alla sua scelta. Comunque, la vittima ostacolata e osteggiata ce la fa, diventa un vincitore: la conclusione consolatoria illumina il film che ha cose belle e meno belle. È bella l'interpretazione, ricca d'energia, di naturalezza e di emozione, del bambino Jamie Bell. È bella la narrazione dello sciopero dei minatori, tra le fatiche della lotta, il disperare delle possibilità di vittoria, le tentazioni di cedere, e gli scontri violenti con la polizia che compongono le coreografie forse più suggestive e forti del film. È bella la descrizione della vita povera d'una famiglia composta, dopo la morte della moglie-madre, da un bambino, due uomini e una nonna un po' svanita: le luci pomeridiane tristi nelle casette a schiera di mattoni rossi, l'angustia, il cibo cattivo, i cortili solitari, le ansie senza fine. È ben narrato il contrasto fra questa durezza esistenziale e l'aspirazione alla bellezza, alla lievità, all'aereo lirismo rappresentata dalla danza che per il bambino sembra anche un mezzo per liberarsi del proprio destino sociale: come già accadeva in Flashdance (1983, giovane operaia sogna di fare un provino per l'Accademia di danza e ci riesce), o come succede adesso in Girlfight dove l'ambizione d'una ragazza è più brutale, diventare pugile. Lo stile del regista debuttante che viene dal teatro è invece scolastico, illustrativo, televisivo (il film è prodotto anche dalla BBC). Riveste il melodramma di immagini accademiche. Presenta il caso (figlio e fratello di minatori che vuol fare il ballerino) come eccezionale, mentre sono consueti i ballerini di danza moderna d'origini popolane: basta pensare a John Travolta o al primo Celentano. Il film sostiene infine con una foga del tutto fuori luogo e poco simpatica che non tutti i ballerini sono gay, s'affanna a dimostrare che il piccolo protagonista non è gay (anche attribuendogli modi villanzoni e mettendogli accanto un amichetto gay che si traveste da donna): come se l'eventuale contrario fosse reato o peccato, come se dovesse interessare a qualcuno. Ma il fascino della danza mescolato a un'iconografia proletaria già obsoleta e nostalgica, la forza dei protagonisti, il conforto della vittoria finale fanno la seduzione e il successo di Billy Elliot.
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