Ho rivisto questo film dopo circa cinquanta anni dalla prima visione al Centro Studi Cinematografici di Milano, di cui ho fatto parte. lo hanno proiettato nel mese di ottobre per sole 2 volte allo Spazio Oberdan e non mi sono lasciata sfuggire questa felice occasione. Ricordavo soltanto poche immagini, ossessivamente ripetute, in particolare quella dei protagonisti: un uomo e una donna, che si inerpicano, con lenta e ardua fatica, su una landa arida e montuosa, portando sulle spalle bidoni di acqua, presi dalla terraferma, per innaffiare fragili piantine, promessa di un futuro raccolto e sostentamento di vita per sé e i due figlioletti.
Un film in b/n, rigoroso e severo, senza concessioni, neppure al linguaggio umano.
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Ho rivisto questo film dopo circa cinquanta anni dalla prima visione al Centro Studi Cinematografici di Milano, di cui ho fatto parte. lo hanno proiettato nel mese di ottobre per sole 2 volte allo Spazio Oberdan e non mi sono lasciata sfuggire questa felice occasione. Ricordavo soltanto poche immagini, ossessivamente ripetute, in particolare quella dei protagonisti: un uomo e una donna, che si inerpicano, con lenta e ardua fatica, su una landa arida e montuosa, portando sulle spalle bidoni di acqua, presi dalla terraferma, per innaffiare fragili piantine, promessa di un futuro raccolto e sostentamento di vita per sé e i due figlioletti.
Un film in b/n, rigoroso e severo, senza concessioni, neppure al linguaggio umano. Solo scarne immagini, e suoni essenziali della natura e dell'uomo: il rumore dell'acqua versata, lo stropiccio dei piedi, il pianto disperato della madre alla morte del figlio. La musica si alterna a momenti di intenso silenzio.
Un bel film del 1960, del regista Kaneto Shindo, nell'aura del Neorealismo giapponese. Da ri-vedere.
Giuliana Pagnoni
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