figliounico
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domenica 15 dicembre 2024
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un giallo diviso tra lang e scarpetta
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Esordio di Clouzot nel 1942 che mischiando sacro e profano realizza una sintesi perfetta tra noir e commedia brillante. Il film, la cui trama ? tratta da un romanzo giallo di Andr? Steeman, sorprendentemente, almeno per tutta la parte centrale ambientata in una pensione a conduzione familiare, Le Mimose, ricorda Il medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta con personaggi del tutto simili a quelli che porter? in scena nel ?54 Mario Mattoli nell?omonimo film con Tot?; in alcune scene, invece, non si pu? non pensare a M il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang del 1931. I due riferimenti non sono del tutto azzardati se si pensa che Scarpetta per le sue farse prendeva spunto dai temi e dalle situazioni comiche delle pochade francesi ottocentesche, certamente note al regista de?L?assassino abita al 21 che ne cur? anche la sceneggiatura.
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Esordio di Clouzot nel 1942 che mischiando sacro e profano realizza una sintesi perfetta tra noir e commedia brillante. Il film, la cui trama ? tratta da un romanzo giallo di Andr? Steeman, sorprendentemente, almeno per tutta la parte centrale ambientata in una pensione a conduzione familiare, Le Mimose, ricorda Il medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta con personaggi del tutto simili a quelli che porter? in scena nel ?54 Mario Mattoli nell?omonimo film con Tot?; in alcune scene, invece, non si pu? non pensare a M il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang del 1931. I due riferimenti non sono del tutto azzardati se si pensa che Scarpetta per le sue farse prendeva spunto dai temi e dalle situazioni comiche delle pochade francesi ottocentesche, certamente note al regista de?L?assassino abita al 21 che ne cur? anche la sceneggiatura. Il protagonista del capolavoro di Lang, invece, ? uno dei primi serial killer della storia del cinema e soltanto per questo non pu? non aver influenzato Clouzot nella realizzazione del suo thriller basato su una serie di omicidi che sconvolgono la citt? di Parigi. La cosa migliore del film ? la caratterizzazione dei personaggi minori, la loro umanizzazione, che, sebbene in questo primo lavoro ? penalizzata dal meccanismo del giallo, per cui l?attenzione ruota intorno al mistero dell?identit? dell?assassino, sar? per tutta l?opera successiva di Clouzot la sua inconfondibile cifra stilistica sotto il profilo contenutistico. Stupisce che un film cos? leggero e divertente sia stato prodotto in Francia durante il tetro periodo dell?occupazione nazista, a meno che non si voglia attribuire un significato metaforico alla sequenza finale. Spoiler. In tal caso, l?ispettore Wens, interpretato da Pierre Fresnay, avrebbe potuto rappresentare la Francia o meglio lo spirito indomito dei Francesi, che, non avendo altra scelta, finge di arrendersi ai propri nemici ma soltanto per prendere tempo sperando nell?arrivo dei salvatori, nel plot una squadra di poliziotti in realt? troppo numerosi rispetto ai criminali da arrestare per non far sorgere il dubbio che potessero simboleggiare l?atteso esercito liberatore. Difficile tuttavia credere che il produttore tedesco, Alfred Greven, e l?occhiuta censura del regime di Vichy non abbiano colto il pericolo di questo potenziale significato simbolico del finale, tagliandolo o modificandolo.
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figliounico
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domenica 5 gennaio 2025
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Esordio di Clouzot nel 1942 che mischiando sacro e profano realizza una sintesi perfetta tra noir e commedia brillante. Il film, tratto da un romanzo giallo di Andre Steeman, sorprendentemente, almeno per tutta la parte centrale ambientata in una pensione a conduzione familiare, Le Mimose, ricorda Il medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta con personaggi del tutto simili a quelli messi in scena da Mario Mattoli nel film omonimo del 1954 con Toto. Alcune scene, invece, fanno pensare a M il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang del 1931. I due riferimenti non sono del tutto azzardati se si pensa che Scarpetta per le sue farse prendeva spunto dai temi e dalle situazioni comiche delle pochade francesi ottocentesche, certamente note a Clouzot curatore anche della sceneggiatura del suo film.
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Esordio di Clouzot nel 1942 che mischiando sacro e profano realizza una sintesi perfetta tra noir e commedia brillante. Il film, tratto da un romanzo giallo di Andre Steeman, sorprendentemente, almeno per tutta la parte centrale ambientata in una pensione a conduzione familiare, Le Mimose, ricorda Il medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta con personaggi del tutto simili a quelli messi in scena da Mario Mattoli nel film omonimo del 1954 con Toto. Alcune scene, invece, fanno pensare a M il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang del 1931. I due riferimenti non sono del tutto azzardati se si pensa che Scarpetta per le sue farse prendeva spunto dai temi e dalle situazioni comiche delle pochade francesi ottocentesche, certamente note a Clouzot curatore anche della sceneggiatura del suo film. Il protagonista del capolavoro di Lang, invece, rappresenta uno dei primi serial killer della storia del cinema e soltanto per questo deve aver influenzato Clouzot. La cosa migliore del film sta nella caratterizzazione dei personaggi minori, nella loro umanizzazione, che, sebbene in questo primo lavoro risulti penalizzata dal meccanismo del giallo che inevitabilmente fa ruotare tutto intorno al mistero del colpevole, costituisce per la successiva opera di Clouzot la sua inconfondibile cifra sotto il profilo contenutistico. Stupisce che un film tanto leggero e divertente sia stato prodotto in Francia durante il tetro periodo della occupazione nazista, a meno che non si voglia attribuire un significato metaforico alla sequenza finale. Spoiler. In tal caso, il poliziotto ispettore Wens, interpretato da Pierre Fresnay, impersonerebbe la Francia o meglio lo spirito indomito dei Francesi, che, non avendo altra scelta, finge di arrendersi ai propri nemici ma soltanto per prendere tempo sperando nel provvidenziale arrivo dei salvatori, nel plot una squadra di agenti invero troppo numerosi rispetto ai criminali da arrestare per non far sorgere il dubbio che possano simboleggiare un esercito liberatore. Difficile tuttavia credere che il produttore tedesco, Alfred Greven, e la occhiuta censura del regime di Vichy non abbiano colto il pericolo di questo potenziale significato simbolico del finale.
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