Rumore bianco

Non è un film facile, ma è sicuramente uno di quelli che ti lasciano qualcosa dentro. Per quasi tutto il tempo le immagini sono di gran lunga preponderanti, ora semplici, ora solenni, sempre senza nessuna forzatura o pretesa di fare colpo; le parole sono solo quelle che potrebbe capitare si sentire passando di lì e fermandosi per caso ad osservare. Si ha spesso l'impressione di essere dotati di qualche potere magico che ci ha permesso di trasformarci in uccelli e volare sopra il fiume e i suoi paraggi e posarci di tanto in tanto ad osservare quello che succede ed ascoltare i rumori e le parole. Ma arriva il momento, alla fine, in cui le parole sono di troppo: ci troviamo su una barca in mezzo al fiume con la troupe, siamo vicini alla foce e le rive sono affollate di gente per lo più in costume da bagno, forse i gitanti di una domenica d'estate, ed è a questo punto che succede una cosa bellissima: il microfono si immerge nell'acqua e non è più possibile sentire parole, schiamazzi, commenti di curiosi, si sente solo il leggero sciacquio della corrente che passa, noncurante della frenesia che anima le spiagge. La corrente che ci porterà via, in un mare dove forse troveremo le risposte ad alcune delle molte domande che sono venute a galla durante il film.