Quando l’unica spiegazione, per quanto assolutamente incredibile e straordinaria rimane da valutare,allora è l’unica possibile.
Los Angeles, anni 40. Marlowe, famoso investigatore privato, antierore per eccellenza, solitario e dal carattere scontroso (interpretato da un convincente e segaligno Elliot Gould), riceve la visita notturna del suo amico Terry che gli chiede un favore,una cosa tanto semplice quanto deleteria: un passaggio a Tijuana al confine col Messico. Una persona sensata avrebbe certamente richiesto ragioni di quel comportamento inusitato , specie nel cuore della notte e conoscendo il personaggio ma Marlowe, da buon born-loser in virtù di sacri valori dell’amicizia accetta. Sarà solo l’inizio di una girandola di eventi imprevisti: l’omicidio della moglie di Terry, il suicidio di quest’ultimo di cui Marlowe viene accusato per complicità e poi scagionato per insufficienza di prove, la ricerca di una misteriosa valigetta di dollari ad opera dello psicotico gangster ebreo Marty dai modi violenti e repressivi. A questi si concatena il caso di uno scrittore alcolizzato scomparso, del cui ritrovamento viene ingaggiato il buon Marlowe da, manco a dirlo, una seducente bionda che eserciterà nell’animo temprato del poliziotto un fascino non indifferente. Una storia diversa per gente normale,direbbe De Andrè, storia che fa male ma che induce alla riflessione.
E’ facile per Altman coniugare azione con lucida analisi, ragionamento con destrezza, onestà con affari sporchi ma la difficoltà non sta nella storia in sé che potrebbe essere classificata come semplice giallo quanto nella sua adattabilità e fruibilità a un variegato pubblico che il romanzo di Chandler stentava a possedere. Esatto, Chandler, perché questo film come già successo, è la trasposizione cinematografica del famoso Il lungo addio, capostipite della decadenza hollywoodiana, del crollo dei valori di quegli eroi che si credevano incorruttibili e inattaccabili. Tra questi fa sorridere amaramente l’alcolizzato Roger Wade (Sterling Hayden) scrittore in declino schiacciato dall’accidia di un male che lo ha sconfitto e che ha decretato il suo prematuro internamento in una clinica di riabilitazione per alcolisti o inorridire il duro gangster la cui scena dello sfregio dell’amante con una bottiglia di vetro diviene il simbolo di una violenza crepuscolare senza senso.
Hollywood, i riflettori dalle mille luci, il caleidoscopio di colori luminosi e oscuri nasconde marciume, droga, contrabbando. E’ un’America del cinema dove ogni assenza di valori innati quali la dignità e la rettitudine ha lasciato spazio alla brutalità, all’inganno e alla sopraffazione. Inutile il colpo di scena, il tentativo di celare una trama dai risvolti prevedibili e dal discutibile finale che vuole sorprendere non per l’azione, quanto per il significato che essa rappresenta in quell’atmosfera notturna jazzista, scandita dalle note di The long Goodbye, in quel lontano mondo chiamato America.
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