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Il primo film fantascientifico di Jack Arnold ha già in se tutta la poetica del regista: egli infatti tenta di riflette sull’uomo e sulle sue debolezze; su quanto la paura e la mancanza di fiducia verso quello che non conosciamo ci renda barbari ed arretrati. L’umanità è vista dagli alieni (e dal regista), più evoluti, come inadatta a confrontarsi con altre civiltà, questo perché, come dirà anche il protagonista allo sceriffo, “noi distruggiamo tutto quello che ci fa ribrezzo”. Queste tematiche rispecchiano ovviamente il periodo storico che si stava vivendo in America, ovvero la Guerra Fredda , che spesso veniva raccontata dal cinema come la paura per un elemento estraneo che minaccia la cultura dell’americano medio. In questo caso l’alieno (come già capitava in Ultimatum alla Terra di due anni prima) è pacifico e si rende subito conto di quanto gli esseri umani siano spaventati da quello che non conoscono. Per questo motivo si rifiuta di mostrare il proprio aspetto al protagonista, in una delle sequenze più interessanti del film. “Se foste discesi voi sul nostro pianeta sarebbe forse stato differente. Noi comprendiamo di più”, afferma l’alieno, rimanendo nascosto nella miniera mentre dialoga con John Putman.
Interessante anche l’utilizzo della soggettiva dell’alieno, che ci fa immedesimare con una creatura di cui non conosciamo neanche le sembianze. “in questa maniera, Arnold ci prepara all’identificazione finale con questi «invasori», quando scopriremo che si tratta di esseri molto più saggi e civili della nostra stessa umanità. Al tempo stesso, però, con questa lunga e allucinante «soggettiva», Arnold riesce ad acuire il senso di mistero, di orrore e di suspense, poiché l’alieno rimane come una presenza più «sentita» che realmente vista, e quindi ci sembra maggiormente minaccioso” (Luigi Cozzi). Il design della creatura, per quel poco che si vede, è affascinante e la scelta di limitare al minimo le sue apparizioni è azzeccata, in quanto rafforza l’idea di qualcosa di incomprensibile anche per lo spettatore stesso. In realtà questa scelta fu in parte imposta dal fatto che il costume fu realizzato di fretta e con mezzi di fortuna, in quanto non era ben chiaro che aspetto dovesse avere. L’unico che provò a darne una descrizione fu Ray Bradbury, che nella prima stesura del soggetto lo definì “… un riflesso, un incubo, l’accenno di un ragno, di una lucertola, di una ragnatela nel vento, di un nulla bianco e latteo, di una medusa, di un qualcosa che riduce debolmente, come un serpente”.
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