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Il documentario Innocence di Guy Davidi mostra come lo Stato di Israele, lungi dall’essere uno stato democratico, in cui è possibile esprimere almeno il proprio dissenso, e impegnare le proprie risorse per cercare di migliorare non solo la propria condizione sociale, ma anche di indurre un cambiamento, si rivela uno stato autoritario con la conseguente politica di assoluta militarizzazione della popolazione giovanile a partire dall’asilo, e di considerare l’arabo come un terrorista da ammazzare, sempre. L’adagio sugli indiani americani è stato direttamente trasferito al nemico demoniaco: “l'unico arabo buono è quello morto”. Nel film di Stanley Kubrick Full Metal Jacket ci si limita ad indottrinare i volontari (giovani adulti) nei marines, ma il lavaggio del cervello rimane stampato per sempre nel cervello. Ciò nonostante il piccolo Vietnam ha sconfitto i possenti Stati Uniti (la strategia di guerra può essere imprevedibile, è pericolosissimo incantonare un gatto). Quindi il dissenso viene stroncato dalle radici, mentre il consenso viene indotto (come via obbligata) sempre dalle radici. I pochissimi che sfuggono a questa logica sono accusati di tradire il Paese, o vengono imprigionati a “colorare le pietre”, o si suicidano, perché disperati e soli. Una trappola per topi, quando un pesce è preso nella rete, non ha più scampo (ll prigioniero coreano). Ma a chi giova tutto questo? Intanto agli oligarchi israeliani. Poi agli Stati Uniti e a tutti i paesi europei e non che lucrano sul commercio delle armi, e che hanno bisogno di sperimentarle. La scusa? Il genocidio degli ebrei da parte dei nazisti (senza togliere nulla a questo orrore, ma Hitler si era ben accorto che il mondo non aveva fatto una piega per il genocidio degli armeni da parte dei turchi). La pace? Sempre più lontana.
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