gabriella
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lunedì 21 ottobre 2024
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a cavallo tra due mondi
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Il film di Payal Kapadia, nonostante costruzioni visive importanti e suggestive, di un racconto di solitudin ie difficoltà, descritte con toni surreali e a tratti onirici, non riesce, almeno nel mio caso , in un coinvolgimento emotivo, epidermico o partecipe. L'incipit ci mostra una Mumbai caotica,, frenetica , di corsa, tanto da apparire sfocata, per illuminarsi poco dopo , quando ci presenta la realtà di tre donne, diverse per età, per situazione e temperamento. Prabha è capoinfermiera in un ospedale della città, è sposata tramite un matrimonio combinato, ma il marito vive in Germania e da un paio d'anni non si è più fatto vivo, condivide l'appartamento con una giovane collega, Anu, innamorata di un ragazzo musulmano mentre lei è induista, e infine la più anziana, Parvaty, cuoca dell'ospedale che ha appena ricevuto un avviso di sfratto vittima della speculazione edilizia e non ha documentazione del marito defunto che attesti il suo diritto all'abitazione.
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Il film di Payal Kapadia, nonostante costruzioni visive importanti e suggestive, di un racconto di solitudin ie difficoltà, descritte con toni surreali e a tratti onirici, non riesce, almeno nel mio caso , in un coinvolgimento emotivo, epidermico o partecipe. L'incipit ci mostra una Mumbai caotica,, frenetica , di corsa, tanto da apparire sfocata, per illuminarsi poco dopo , quando ci presenta la realtà di tre donne, diverse per età, per situazione e temperamento. Prabha è capoinfermiera in un ospedale della città, è sposata tramite un matrimonio combinato, ma il marito vive in Germania e da un paio d'anni non si è più fatto vivo, condivide l'appartamento con una giovane collega, Anu, innamorata di un ragazzo musulmano mentre lei è induista, e infine la più anziana, Parvaty, cuoca dell'ospedale che ha appena ricevuto un avviso di sfratto vittima della speculazione edilizia e non ha documentazione del marito defunto che attesti il suo diritto all'abitazione. Sono tre mondi che si uniscono e cercano aiuto e sostegno reciproco, c'è la differenza culturale, di Prabha, che accetta con rassegnazione il suo destino perchè pensa che non le può sfuggire, e rimane fedele al marito, negandosi ogni possibilità , come il corteggiamento di un medico che lavora con lei, e il rifiuto di Ana che fa di tutto per abbattere le regole imposte e desidera vivere il suo amore per Shiaz liberamente. Sarà il viaggio intrapreso con Parvaty, costretta a tornare al suo paese natio, nel Kerala, e l'incontro con un altro mondo, un altro paesaggio, immerso tra mare e cielo, tra verde e natura , che le tre donne ritroveranno il loro esistere , a comprendere la bellezza e la propria interiorità. Così la notte diventa giorno, il rumore dello sferragliare dei treni si sostituisce allo sciabordio delle onde, la moltitudine di colori si concentra sugli azzurri e sui verde smeraldo , riposanti, quieti, si spalancano foreste incantate, finalmente rifugio dove Ana e Shiaz possono abbandonarsi all’amore, in una dimensione metafisica e sognante, un luogo da abitare che respira di umanità. . Eppure, nella bellezza delle immagini, si avverte qualcosa di troppo costruito, artificioso, che impedisce l’accesso a quel mondo nuovo, c’è troppa cura, troppa minuziosità, troppa attenzione al dettaglio che priva lo spettatore un’immersione profonda, la lentezza dell’ultima parte diventa pesante, allontana anziché armonizzare. C’è si l’aspetto sociale, la pressione urbana, le ingiustizie e l’assurdità di certe regole imposte, il sogno, l’illusione, l’alleanza femminile, eppure rimane qualcosa di inesaudito, qualcosa che ti aspettavi ma non è accaduto.
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francesca meneghetti
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sabato 19 ottobre 2024
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tre donne, una città e un vilaggio, tra luci e ombre
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Il titolo italiano (Amore a Mumbai) è fuorviante, oltre che bruttino: fa immaginare un tipico prodotto sfornato da Bollywood, la grande industria cinematografica indiana, il cui nome è una crasi tra Bombay (divenuta Mumbai nel 1995) e Hollywood. Si pensa dunque a un film romantico, ma speziato, tipo masala. In realtà siamo ben lontani dagli stereotipi, anche se un po’ di “masala”, intesa come mescolanza di generi diversi, c’è. All’inizio il film, firmato da Payal Kapadia e premiato a Cannes, ci immerge nella metropoli indiana, dall’altissima densità abitativa, dominata dalle piogge monsoniche e da una perenne oscurità (che domina oltre la metà del film). Non è un approccio fatto di istantanee statiche, ma di immagini dinamiche: quelle in carrellata laterale prese da un treno in corsa.
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Il titolo italiano (Amore a Mumbai) è fuorviante, oltre che bruttino: fa immaginare un tipico prodotto sfornato da Bollywood, la grande industria cinematografica indiana, il cui nome è una crasi tra Bombay (divenuta Mumbai nel 1995) e Hollywood. Si pensa dunque a un film romantico, ma speziato, tipo masala. In realtà siamo ben lontani dagli stereotipi, anche se un po’ di “masala”, intesa come mescolanza di generi diversi, c’è. All’inizio il film, firmato da Payal Kapadia e premiato a Cannes, ci immerge nella metropoli indiana, dall’altissima densità abitativa, dominata dalle piogge monsoniche e da una perenne oscurità (che domina oltre la metà del film). Non è un approccio fatto di istantanee statiche, ma di immagini dinamiche: quelle in carrellata laterale prese da un treno in corsa. Alla pioggia perenne, che ricorda Blade Runner, si aggiungono i rumori tipici di una grande città, come lo sferragliare di treni e metro, cui si intrecciano tuoni e scrosci di pioggia. La notte è bella: accende le luci e maschera pietosamente gli alveari dove, a fatica, si stringono, per lavorare, 22 milioni di persone. Tra queste, vengono messe a fuoco tre donne. Le prime due, che condividono un piccolo appartamento, sono infermiere ospedaliere. Praha, la più grande, è rassegnata a vivere senza quel marito che, assegnatole dai genitori, è emigrato in Germania subito dopo il matrimonio, facendo perdere le sue tracce. La più giovane, Anu, più ribelle, di religione indù, difende la sua storia d’amore, osteggiata dalle famiglie, con Shiz, un ragazzo musulmano. Infine c’è Parvaty, la più anziana, diventata bersaglio di speculatori edilizi, che lascia la spugna: abbandona la città con le sue false promesse per ritornare al paese. Ma prima di partire si toglie lo sfizio di prendere a sassate il cartello che dice: “The privileged life is for privileged people”. Le due infermiere decidono di accompagnare Parvaty al suo villaggio, sul mare. E qui incontriamo per la prima volta la luce del sole, i passi sulla sabbia, il rumore delle onde, in contrapposizione alle tenebre e al fragore metallico della metropoli. E qui ciascuna delle due vive una storia che si colloca a metà via tra il sogno e la realtà, lasciando trapelare sviluppi futuri, o solo illusioni, quelle della povera gente: bisogna credere nelle illusioni, altrimenti si impazzisce. E forse qui si comprende il senso del titolo originale: all we imagine as light (tutto ciò che immaginiamo come luce). Delle luci, quelle naturali delle stelle e quelle artificiali di un chiringuito sulla spiaggia illuminano la bellissima, quasi felliniana, scena finale. Il film è piuttosto lento, anche a causa di alcune digressioni (la gatta incinta, il medico sradicato e innamorato, anche se questo profilo ha più senso). Però si caratterizza per l’originalità, per la leggerezza con cui affronta temi come quello delle barriere religiose, per la scelta di attrici che sembrano prese dalla strada, con la loro credibile fisicità, per la delicatezza dell’unica scena d’amore, che inquadra, in un fotogramma, i brividi di piacere sulla pelle di Shiz. E che li trasmette al pubblico…
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venerdì 18 ottobre 2024
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grandiosa recensione di un film che pesca nell 'inconscio
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Grazie! La recensione e' elegante ed intensa quanto il film . Le parole di Paola Casella rotolano fluide come farebbero le frittelle calde sullo zucchero a velo e fanno rivivere il film che avrei voluto non finisse mai! Grazie! Anna
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fab
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domenica 13 ottobre 2024
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troppo sopravvalutato
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La critica lo osanna ma come spesso succede questo sfugge al pubblico.
tra sbadigli , chi dorme e chi guarda l orologio sperando nell' arrivo della fine. Troppo lento questo film di una nuova regista che avrà una carriera luminosa perché alcuni sprazzi del film sono decisamente interessanti,
ma non basta. Quando annoi e non tieni lo spettatore "dentro " al film manca qualcosa. Prendete un buon caffè prima di entrare in sala.
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sabato 12 ottobre 2024
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film assurdo
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Io trascorro almeno 4 pomeriggi a settimana al cinema e non mi perdo le ultime novità. Trovo che questo film sia di una noia mortale. Io non esco mai e mi fermo a vedere il film fino alla fine ma questa volta ho fatto molta fatica a differenza di molte persone che man mano uscivano.
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cardclau
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sabato 12 ottobre 2024
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nessuno può sfuggire al proprio destino
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Non so cosa il regista Payal Kapadia del film All We Imagine As Light - Amore a Mumbai abbia voluto raccontarci. Forse una riflessione sulla differenza culturale fra India ed Europa occidentale, dove gli indiani mangiano sempre con le mani e il cibo ha un sapore diverso? Forse si tratta della problematica dei matrimoni imposti dalla struttura familiare? Forse il rapporto “pericoloso”, difficilmente accettato dalle rispettive famiglie, fra una ragazza indù e un ragazzo mussulmano? Forse la povertà dei molti e l’arroganza dei costruttori di grattacieli? La mia impressione è che, qualsiasi possa essere l’argomento, ne risulta un racconto zoppicante, incerto, molto lento, sempre triste (anche nei momenti d'amore).
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Non so cosa il regista Payal Kapadia del film All We Imagine As Light - Amore a Mumbai abbia voluto raccontarci. Forse una riflessione sulla differenza culturale fra India ed Europa occidentale, dove gli indiani mangiano sempre con le mani e il cibo ha un sapore diverso? Forse si tratta della problematica dei matrimoni imposti dalla struttura familiare? Forse il rapporto “pericoloso”, difficilmente accettato dalle rispettive famiglie, fra una ragazza indù e un ragazzo mussulmano? Forse la povertà dei molti e l’arroganza dei costruttori di grattacieli? La mia impressione è che, qualsiasi possa essere l’argomento, ne risulta un racconto zoppicante, incerto, molto lento, sempre triste (anche nei momenti d'amore). Prabha (Kani Kusruti) ad un certo punto dice “nessuno sfugge al suo destino”, e forse questa è la chiave di interpretazione del film: alcune persone al mondo (ricchi esclusi), mettendocela tutta e a frutto quell’eccesso di talenti che gli sono stati assegnati, possono cercare di migliorare un destino, che per nascita non si era rivelato favorevole. Mentre molte persone al mondo, a causa di una nascita impietosa, solamente e insufficientemente normali, per quanto si diano da fare, devono inghiottire la precarietà, chi la povertà, la miseria, l'oppressione, la sensazione di essere un perdente, accettando di fatto il catastrofico adagio .
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