“Le cose che hanno lo stesso odore devono stare insieme”: è la frase chiave del film. La pronuncia Pietro, l’anziano montanaro allevatore di api, esperto nei mestieri che la vita in montagna comporta, suocero di Elisa, giovane vedova e madre di Michele, 11enne che le dà qualche problema per la smania di crescere, che soffre della mancanza improvvisa e irrisolta di suo papà, comunque di una figura maschile ferma e affidabile che lo accompagni.
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“Le cose che hanno lo stesso odore devono stare insieme”: è la frase chiave del film. La pronuncia Pietro, l’anziano montanaro allevatore di api, esperto nei mestieri che la vita in montagna comporta, suocero di Elisa, giovane vedova e madre di Michele, 11enne che le dà qualche problema per la smania di crescere, che soffre della mancanza improvvisa e irrisolta di suo papà, comunque di una figura maschile ferma e affidabile che lo accompagni. Papà era uno scalatore che “non cadeva mai” ma che la montagna ha fatto cadere per sempre.
Dani lavora presso Pietro, proviene da Lomé, Togo, vedovo a sua volta, la moglie Layla è morta sulle coste italiane, incinta, all’arrivo di un barcone di disperati un anno prima, dalla donna fu fatta nascere Fatou, fagotto divenuto pesante per Dani che vorrebbe andarsene lontano dalla bimba, i cui occhi sono troppo uguali a quelli della mamma. La scena iniziale è vista dal pavimento dove Fatou è seduta, fa vivere il senso di estraneità della bambina mentre invoca l’attenzione del papà, che la ignora.
Questi due nuclei familiari hanno in fondo lo stesso odore – un dramma alle spalle – perciò non potranno separarsi, qualcosa li accomuna nonostante i luoghi d’origine siano così distanti, il caso li ha fatti incontrare come in un gioco ad incastro. I tronchi degli alberi vengono a lungo osservati dalla macchina da presa, sembrano pareti di montagne, ed è proprio il legno che Dani sa lavorare, ne ricava oggetti e sculture, scolpisce la testa di Layla da lasciare in ricordo alla sua bambina, quando ha deciso di partire per Parigi in cerca dei suoi amici e di un altro lavoro. Quella sera è la prima volta che osserva da vicino Fatou, la guarda dormire e ne ascolta il respiro.
Anche con questo film Andrea Segre racconta di distanze che se esistono nella geografia o nella lingua (la valle è un’isola germanofona) non reggono tra le persone, più vicine tra loro di quanto gli egoismi fanno ritenere. Si potrebbe dire anche film di valorizzazione del territorio, una pubblicità che reclamizza a lungo quella valle (Val de Mòcheni o del fiume Fèrsina, che arriva a Pergine Valsugana, provincia di Trento) se ne vedono i fumi e i vapori, lo splendido autunno e “La Prima Neve”, ma sembra di sentire gli odori provenienti dalle case e dalla legna.
Non si vede perché, a parte gli affetti creatisi e i legami intravisti, Parigi dovrebbe essere più accogliente di una valle sincera del Trentino e delle nostre preziose montagne, che nel precedente “Io sono Li” venivano osservate a distanza, dalla laguna di Chioggia. Un ottimo film, per lo scopo sociale che può avere e per la vicinanza che si crea tra lo spettatore e gli attori: la camera stretta sui visi ne fa indovinare i pensieri e le emozioni. Vi partecipano pure Citran e Battiston, con Paolini come produttore: squadra che vince non si tocca.
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vecchiomio
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venerdì 27 giugno 2014
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la comprensione della bellezza
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Se vi è piaciuto il suo primo film (Io sono Li), il consiglio è di vederlo, ne vale la pena. Il tema è ancora quello dell’ immigrazione e dell’ integrazione di persone e culture diverse. Il discorso politico, anche in questo secondo film, passa attraverso il racconto di storie individuali, che con la loro forte carica emotiva ci portano ad interrogarci sulla “ragion di stato” posta a giustificazione di scelte difensive del proprio territorio, della propria cultura e in primo luogo dei propri privilegi.
Una parte della storia, quella della fuga dal Togo e dalla Libia, non si vede, ma si svela a poco a poco, mentre le nebbie alpine si diradano, e diventa lo sfondo sul quale si sovrappone la storia attuale: sono i giorni vissuti nei gesti e nelle relazioni quotidiane da uno dei due protagonisti, il profugo Dani, trentenne, ospitato in un maso della Valle dei Mocheni.
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Se vi è piaciuto il suo primo film (Io sono Li), il consiglio è di vederlo, ne vale la pena. Il tema è ancora quello dell’ immigrazione e dell’ integrazione di persone e culture diverse. Il discorso politico, anche in questo secondo film, passa attraverso il racconto di storie individuali, che con la loro forte carica emotiva ci portano ad interrogarci sulla “ragion di stato” posta a giustificazione di scelte difensive del proprio territorio, della propria cultura e in primo luogo dei propri privilegi.
Una parte della storia, quella della fuga dal Togo e dalla Libia, non si vede, ma si svela a poco a poco, mentre le nebbie alpine si diradano, e diventa lo sfondo sul quale si sovrappone la storia attuale: sono i giorni vissuti nei gesti e nelle relazioni quotidiane da uno dei due protagonisti, il profugo Dani, trentenne, ospitato in un maso della Valle dei Mocheni. Lui non ha mai visto le montagne, né la neve e il mutare delle stagioni che trasforma il paesaggio. La valle dei Mocheni è un luogo che neppure noi italiani, tranne i trentini, conoscono, perché, come dice un personaggio (interpretato da Battison) non ci sono le infrastrutture e quindi non c’è turismo e, conseguenza per lui rilevante e drammatica, “non c’è figa”.
Sarà in quella valle minore, dentro al laboratorio di falegnameria di un vecchio custode del sapere locale, che la perdita e il dolore di Dani troveranno una via d’uscita attraverso l’ incontro con la ferita di un ragazzino rimasto orfano, il quale a sua volta troverà in Dani la figura con cui riempire il vuoto lasciato dalla morte del padre. C’è molto di più nel film, ad esempio il rapporto conflittuale del ragazzino nei confronti della madre, sulla quale deve scaricare la responsabilità della tragedia che lo ha colpito per poterne sopportare il nonsenso, ma che lentamente evolve verso una comprensione ed un’ accettazione della realtà; la figura del vecchio falegname, depositario di una saggezza universale in grado d' essere compresa e valida ad ogni latitudine, anche se l’idioma utilizzato per esprimerla è un dialetto tedesco arrivato lì nel 1300 e congelatosi in quell’enclave per sette secoli; la bellezza sovrumana di un paesaggio alpino che finisce per essere quasi insopportabile se non si appartiene ad esso per nascita o se non viene vissuto e compreso giorno per giorno attraverso l’esperienza e la mediazione affettiva di un altro essere umano che quei valori conosce e vuole condividere.
Un discorso a parte merita la fotografia del film: nelle immagini di Luca Bigazzi c'è la tecnica dei grandi documentaristi, già dimostrata in moltissimi altri film a cui ha preso parte come direttore della fotografia , tra cui La giusta distanza e Io sono Lì, per dirne solo due che restituiscono tutta la bellezza dei paesaggi del delta del Po -il primo- e della laguna veneta- il secondo-. Una tale bellezza che se uno c'è stato prima di vedere quei film si domanda come ha fatto a non essersi accorto di quelle nebbie vaporose all' alba tra le distese di pioppi nella campagna, quei tramonti su un mare di metallo...-dov'ero?-ci si chiede -dormivo?-
Nella valle dei Mocheni invece non ci sono ancora stato e quindi non ho rimproveri da farmi per aver guardato, come a volte capita, senza aver visto
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rampante
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venerdì 14 marzo 2014
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un grande dolore
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Un luogo fiabesco, un piccolo villaggio di montagna sulle Alpi del Trentino popolato da gente semplice legata alle tradizioni, una natura bella e struggente ma anche minacciosa.
Qui un gruppo di profughi e rifugiati africani hanno trovato una sistemazione provvisoria in attesa del permesso di soggiorno o riconoscimento di asilo
Tra loro Dani, un rifugiato arrivato dal Togo via Libia, ha perso la moglie dopo l'arrivo in Italia ed ha con sé sua figlia Fatou di neanchè un anno
Dani proviene dalla capitale del Togo, Lomé, una metropoli di più di un milione di abitanti e sogna Parigi, è uno scultore e trova nei ceppi di legno materia per la sua ispirazione.
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Un luogo fiabesco, un piccolo villaggio di montagna sulle Alpi del Trentino popolato da gente semplice legata alle tradizioni, una natura bella e struggente ma anche minacciosa.
Qui un gruppo di profughi e rifugiati africani hanno trovato una sistemazione provvisoria in attesa del permesso di soggiorno o riconoscimento di asilo
Tra loro Dani, un rifugiato arrivato dal Togo via Libia, ha perso la moglie dopo l'arrivo in Italia ed ha con sé sua figlia Fatou di neanchè un anno
Dani proviene dalla capitale del Togo, Lomé, una metropoli di più di un milione di abitanti e sogna Parigi, è uno scultore e trova nei ceppi di legno materia per la sua ispirazione.
Nella valle alpina, il profugo Dani ha trovato alloggio ed accoglienza fraterna ma è triste e solo senza la sua Layla, soffre ed il suo dolore incrocia la tristezza di Michele, un ragazzino ribelle che soffre quanto lui per la perdita improvvisa del padre
Raccogliendo legna nel bosco del piccolo paese, Dani e Michele si capiscono, i due parlano un linguaggio comune, non appartengono più a due mondi diversi e lontani, hanno in comune un dolore profondissimo, una perdita che sembra impossibile elaborare, entrambi hanno eretto un muro di difesa alle loro sofferenze ma hanno a fianco persone che cercheranno di aiutarli a superare il loro grande dolore
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kimkiduk
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martedì 14 gennaio 2014
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come piacciono a me
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Che bello questo secondo film di Segre. Rischioso perchè fare il secondo con tematiche simili al primo è facile perdersi. Non succede a Segre, anzi il film non è come Io Sono Li, ma diverso, caldo, familiare, dolce, intelligente e soprattutto senza una parola retorica in più. Per questo dico finalmente un film come piace a me, che dice mille cose, fa pensare a mille altre e non ne dice una lui. Ti fa solo pensare. Solo per modo di dire, come se pensare fosse facile, ma questo dovrebbe fare per me il cinema e il cinema d'autore; spesso si cade nel troppo detto e troppo spiegato, qui mai. Figure scandite e rese solo dai loro gesti, dalle proprie abitudini, da uno stile di vita ormai perso e forse ancora esistente in piccole realtà come la Val dei Mocheni; il nonno meraviglioso che vive di ricordi ed esprime il suo rammarico con "Non ne voglio parlare più"; il nipote che vive nel dolore e nella disabitudine della mancanza tra scatti di "selvaggismo" e dolcezze estreme; madre addolorata, dolente e in difficoltà come lo sarebbero tutti.
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Che bello questo secondo film di Segre. Rischioso perchè fare il secondo con tematiche simili al primo è facile perdersi. Non succede a Segre, anzi il film non è come Io Sono Li, ma diverso, caldo, familiare, dolce, intelligente e soprattutto senza una parola retorica in più. Per questo dico finalmente un film come piace a me, che dice mille cose, fa pensare a mille altre e non ne dice una lui. Ti fa solo pensare. Solo per modo di dire, come se pensare fosse facile, ma questo dovrebbe fare per me il cinema e il cinema d'autore; spesso si cade nel troppo detto e troppo spiegato, qui mai. Figure scandite e rese solo dai loro gesti, dalle proprie abitudini, da uno stile di vita ormai perso e forse ancora esistente in piccole realtà come la Val dei Mocheni; il nonno meraviglioso che vive di ricordi ed esprime il suo rammarico con "Non ne voglio parlare più"; il nipote che vive nel dolore e nella disabitudine della mancanza tra scatti di "selvaggismo" e dolcezze estreme; madre addolorata, dolente e in difficoltà come lo sarebbero tutti. Figure vere di un mondo che sembra a volte lontano da noi e che ti fa pensare magari fossimo tutti così. Forse il messaggio è questo, ma non credo che Segre abbia voluto fare un film su questo; ha solo rappresentato e ci ha fatto leggere quello che vogliamo noi. Un film bellissimo dato in una sala per un giorno nella mia città; credo in poche sale in tutta Italia al contrario di altri demenziali dati in 500/600 contemporaneamente per 15 giorni. A volte mi chiedo se il film di nicchia è per pochi perchè non andrebbero tanti a vederlo o perchè viene solamente distribuito male. Di una cosa però sono sicuro. Se questo genere di film fosse amato da 10 milioni di persone, il mondo sarebbe migliore.
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alodato
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lunedì 6 gennaio 2014
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bravo regista e bella ambientazione
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Bellissima ambientazione e attori bravissimi, confermata la bravura del regista
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nicolette
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lunedì 16 dicembre 2013
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natura e umanità
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Bellissime inquadrature tra la natura incontaminata di questi luoghi. Film commovente che fa riflettere ma allo stesso tempo divertente. Bravi attori a cominciare dal "piccolo" protagonista. Bravo pure il vecchio saggio e Jean-Christophe.
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robynieri
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giovedì 21 novembre 2013
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altissimo, purissimo
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La montagna, bellissima, fa da sfondo ad una storia dolce, intensa, vera, in cui si confondono e si mischiano perfettamente dinamiche legate ai sentimenti madre-figlio, alla disuguaglianza razziale, ai valori di amicizia.
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uppercut
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martedì 12 novembre 2013
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pensieri e parole. ma le azioni?
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Peccato, perché per Segre facevo il tifo ma non si può costruire un film su due personaggi che per tutto il tempo si intervistano a vicenda su quello che è già loro successo. L'unico "botto"? Lo scoppio di un palloncino in un sogno. L'unico sussulto? Il pianto di una bambina aggiunto in post-produzione. Vedi un po' tu...
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aldot
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giovedì 7 novembre 2013
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poetico
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Toccante, poetico, mai banale. ecco La prima neve con l'ottima interpretazione del giovanissimo co-protagonista. Bravi anche tutti gli altri. tempi, silenzi, pensieri, tutto scorre sullo schermo con eleganza e poesia.
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