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toty bottalla
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giovedì 30 aprile 2015
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altra storia drammatica del delirio umano!
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Sarah starzynski una bambina ebrea francese prima di essere prelevata dalla polizia insieme al padre e alla madre, per salvare il suo fratellino dall'arresto lo nasconde chiudendolo in un armadio, fuggita dal campo di prigionia, torna, ma trova il piccolo morto dove lo aveva lasciato.
La chiave di sara è il racconto di una storia tra le infinite storie sulla shoah, il film di paquet-brenner sbriga in fretta e con indulgenza la pratica orrenda difficilmente riproducibile e ci narra una storia a basso ritmo alternata da flashback che tra passato e presente raccontano l'indagine di una giornalista alla ricerca di sarah, splendide: la k. s. thomas e la piccola mèlusine mayance convincenti senza enfasi, valutazione: 2,5 stelle.
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Sarah starzynski una bambina ebrea francese prima di essere prelevata dalla polizia insieme al padre e alla madre, per salvare il suo fratellino dall'arresto lo nasconde chiudendolo in un armadio, fuggita dal campo di prigionia, torna, ma trova il piccolo morto dove lo aveva lasciato.
La chiave di sara è il racconto di una storia tra le infinite storie sulla shoah, il film di paquet-brenner sbriga in fretta e con indulgenza la pratica orrenda difficilmente riproducibile e ci narra una storia a basso ritmo alternata da flashback che tra passato e presente raccontano l'indagine di una giornalista alla ricerca di sarah, splendide: la k. s. thomas e la piccola mèlusine mayance convincenti senza enfasi, valutazione: 2,5 stelle. Saluti.
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enzo70
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lunedì 10 marzo 2014
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in memoria delle troppe sare vittime dell'uomo
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Sull’olocausto si è scritto di tutto e, per fortuna, non il contrario di tutto. La storia ha certificato, con documenti e testimonianze, la follia nazista. Milioni di pagine, ore e ore di musica e pellicole sono state dedicate a raccontare il massacro degli ebrei, da una parte loro, perfetta la rappresentazione di Spiegelman che li ha dipinti come topi, dall’altra, i maiali, i tedeschi. Ma la grande storia è scritta di piccole storie, nella Francia occupata, ad esempio, c’era il Governo di Vichy, con a capo un francese, Petain, che governava milioni di francesi in un regime di collaborazione con i nazisti. Poco se ne parla, i francesi sono fatti così, ammettere poco, ammettere il meno possibile, se leggete i libri di storia la guerra contro i tedeschi l’hanno vinta.
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Sull’olocausto si è scritto di tutto e, per fortuna, non il contrario di tutto. La storia ha certificato, con documenti e testimonianze, la follia nazista. Milioni di pagine, ore e ore di musica e pellicole sono state dedicate a raccontare il massacro degli ebrei, da una parte loro, perfetta la rappresentazione di Spiegelman che li ha dipinti come topi, dall’altra, i maiali, i tedeschi. Ma la grande storia è scritta di piccole storie, nella Francia occupata, ad esempio, c’era il Governo di Vichy, con a capo un francese, Petain, che governava milioni di francesi in un regime di collaborazione con i nazisti. Poco se ne parla, i francesi sono fatti così, ammettere poco, ammettere il meno possibile, se leggete i libri di storia la guerra contro i tedeschi l’hanno vinta. E in una delle storie della grande storia ce ne sta un’altra, quella del Velodrome d’Hiver, il primo passo verso i campi di massacri polacchi. Ed anche in questo caso tanti francesi aiutavano i tedeschi. E, come in un gioco di bambole russe, poi c’è la storia di Sara, quella raccontata da Gilles Paquet-Brenner, attraverso gli occhi di una giornalista sulle tracce di una storia che commuove lo spettatore. Una storia nella storia ed un film tra i film. Ma tanto dolore per le tante Sare immolate sull’altare della follia dell’uomo.
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rita branca
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venerdì 5 luglio 2013
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una chiave che apre il cuore alla commozione
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La chiave di Sarah, grande film di Gilles Paquet-Brenner (2012), con Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frédéric Pierrot, tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay.
Un altro, ma non uno qualunque, dei film sull’olocausto che ne narra l’orrore e la disumanità con angolazioni nuove, riuscendo a commuovere profondamente lo spettatore.
Nulla è ridondante, ma con misurata maestria si viene intimamente coinvolti nella storia della piccola Sara, la cui famiglia ebrea, abitante a Parigi, subisce una rettata della polizia impegnata nel rastrellamento degli ebrei da deportare nei famigerati campi di concentramento.
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La chiave di Sarah, grande film di Gilles Paquet-Brenner (2012), con Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frédéric Pierrot, tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay.
Un altro, ma non uno qualunque, dei film sull’olocausto che ne narra l’orrore e la disumanità con angolazioni nuove, riuscendo a commuovere profondamente lo spettatore.
Nulla è ridondante, ma con misurata maestria si viene intimamente coinvolti nella storia della piccola Sara, la cui famiglia ebrea, abitante a Parigi, subisce una rettata della polizia impegnata nel rastrellamento degli ebrei da deportare nei famigerati campi di concentramento. Quando suonano alla porta, Sara, consapevole di ciò che sta accadendo, convince Michel, il suo fratellino a nascondersi in un armadio ed a starsene buono finché il pericolo è passato e per accertarsi che nessuno possa raggiungerlo lo chiude a chiave e la tiene nascosta. La tragedia vuole che, insieme al papà ed alla mamma, Sarah sia trascinata via e debba attraversare tutte le fasi della deportazione che ben conosciamo. Quando riesce, dopo molte peripezie a tornare a Parigi, nella sua casa, ormai occupata da altri, scopre la macabra e fetida nuova veste del fratellino, in stato di avanzatissima decomposizione. Tale tragedia è scoperta da una giornalista che ha sposato il nipote del primo inquilino che ha preso posto nella casa di Sara dopo l’evacuazione della sua famiglia, e che dovrebbe andarci a vivere.
Rita Branca
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kimkiduk
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martedì 25 giugno 2013
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serve anche così
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E' vero tutto e il contrario di tutto. Partiamo però dal fatto che non è un film sulla shoah e quindi non mi piace il commento della brava Marzia Gandolfi. Confermo quasi in tutto quello che ha detto Imliver nel suo commento. Per sapere cosa è successo basta informarci e lo sappiamo tutti a meno che la testa sia sotto la sabbia. Purtroppo come dice Godard in Historie(s) du cinema il cinema è morto nel momento in cui il suo impegno di informazione dei fatti ha fallito proprio nel resoconto filmico sulla Shoah. Lui afferma che l'unico film che parla di resistenza vera è Roma città aperta aggiungendo perchè gli italiani si sono sempre venduti e perchè la nostra lingua racchiude implicitamente poesia.
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E' vero tutto e il contrario di tutto. Partiamo però dal fatto che non è un film sulla shoah e quindi non mi piace il commento della brava Marzia Gandolfi. Confermo quasi in tutto quello che ha detto Imliver nel suo commento. Per sapere cosa è successo basta informarci e lo sappiamo tutti a meno che la testa sia sotto la sabbia. Purtroppo come dice Godard in Historie(s) du cinema il cinema è morto nel momento in cui il suo impegno di informazione dei fatti ha fallito proprio nel resoconto filmico sulla Shoah. Lui afferma che l'unico film che parla di resistenza vera è Roma città aperta aggiungendo perchè gli italiani si sono sempre venduti e perchè la nostra lingua racchiude implicitamente poesia. Ammiro Godard come il Maestro, ma lui stesso ammette, facendo ancora cinema, di credere poco che questa arte sia finita. Forse storie come Il Pianista, Schindler List, Train De vie o anche altri come John Rabe, non hanno parlato della resistenza come in Roma città aperta ed è vero, ma hanno parlato di fatti accaduti o inventati. Questi film hanno salvato l'idea dell'uomo che ha commesso si cose mostruose ma anche altrettante cose piene di luci forti e valorose. Il cinema dovrebbe essere per Godard la rappresentazione dei fatti accaduti. E' acccaduto anche questo, che una bambina fosse salvata dai francesi cattivi pur non riuscendo a dimenticare, che un tedesco in Cina salvasse migliaia di cinesi pur essendo tedesco nazista, che il pianista si salvasse per mano di un tedesco. Sono sicuro che sono successe anche queste storie e forse fanno bene al cuore. Discorso romantico che a me non appartiene, ma questo film mi ha commosso. E allora forse Godard ti sbagli, il cinema resta ancora cinema perchè forse fondamentale è che dia emozione.
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dreamers
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lunedì 28 gennaio 2013
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comitato dei registi pentiti
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Chiedo scusa se esco allo scoperto ma mi trovo costretto a farlo: in realtà, dietro a questo nickname si nasconde il vostro affezionatissimo Steven Spielberg. Dopo aver letto la recensione di Marzia Gandolfi, ho finalmente capito: ho allora raccolto intorno a me gli amici Roman Polanski, Quentin Tarantino, Roberto Benigni, Gilles Paquet-Brenner, Radu Mihăileanu, gli eredi di Gillo Pontecorvo, Roberto Rossellini e altri che non cito per ragioni di spazio, e con tutti loro ho deciso di costituire il Comitato dei Registi Pentiti.
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Chiedo scusa se esco allo scoperto ma mi trovo costretto a farlo: in realtà, dietro a questo nickname si nasconde il vostro affezionatissimo Steven Spielberg. Dopo aver letto la recensione di Marzia Gandolfi, ho finalmente capito: ho allora raccolto intorno a me gli amici Roman Polanski, Quentin Tarantino, Roberto Benigni, Gilles Paquet-Brenner, Radu Mihăileanu, gli eredi di Gillo Pontecorvo, Roberto Rossellini e altri che non cito per ragioni di spazio, e con tutti loro ho deciso di costituire il Comitato dei Registi Pentiti. Il CRP chiede ufficialmente scusa al mondo per aver mancato di maggiore coscienza storica e morale nel girare autentici filmacci sulla Shoah. Ogni biglietto sarà puntualmente rimborsato e le relative case di distribuzione risarcite con l'offerta da parte nostra di un prossimo film diretto a titolo gratuito (per noi è un attimo scriverli e realizzarli tanto siamo infantili e superficiali). Infine ci permettiamo di chiedere a Marzia Gandolfi la sua preziosa disponibilità per un corso accelerato di Coscienza storica e morale. Con le nostre sole forze non arriveremo mai ad acquisirla. Grazie per lo spazio concesso e infinite scuse ancora
il Comitato dei Registi Pentiti
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uppercut
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lunedì 28 gennaio 2013
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gent.ma marzia gandolfi
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Ho letto la sua recensione e mi è venuto spontaneo farmi due domande. Innanzitutto: e se lasciassimo che il cinema faccia cinema? La chiave di Sara è un film realizzato con gran cura, intelligente e persino utile. Che cosa chiedergli di più? di diventare un esaustivo saggio di Storia contemporanea? Mi ha sorpreso nella sua recensione la totale assenza di riferimenti ai contenuti specificatamente filmici: fotografia, montaggio, colonna sonora, interpretazione... nemmeno una riga. Fior di professionisti concentrati in un'impresa faticosissima nemmeno omaggiati da un aggettivo. E invece... una dolente tirata sul fatto che si osi fare film su una pagina di storia tanto tragica e complessa.
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Ho letto la sua recensione e mi è venuto spontaneo farmi due domande. Innanzitutto: e se lasciassimo che il cinema faccia cinema? La chiave di Sara è un film realizzato con gran cura, intelligente e persino utile. Che cosa chiedergli di più? di diventare un esaustivo saggio di Storia contemporanea? Mi ha sorpreso nella sua recensione la totale assenza di riferimenti ai contenuti specificatamente filmici: fotografia, montaggio, colonna sonora, interpretazione... nemmeno una riga. Fior di professionisti concentrati in un'impresa faticosissima nemmeno omaggiati da un aggettivo. E invece... una dolente tirata sul fatto che si osi fare film su una pagina di storia tanto tragica e complessa. Ma certo! confiniamo la Shoah nei precisissimi e documentatissimi studi accademici, ben lontano dai cori degli stadi e, ovviamente, dalle troppo superficiali platee cinematografiche! E chissà tra una generazione che giornata della (s)memoria potremo finalmente celebrare!!! Ah, dimenticavo la seconda domanda: e se i critici facessero i critici?
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ultimoboyscout
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venerdì 25 gennaio 2013
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per non dimenticare.
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Durante una retata Nazista a Parigi, quella tristemente nota del Velodromo d'Inverno, una bimba di una decina d'anni, Sara, salva il fratellino più piccolo chiudendolo in un ripostiglio. Fuggita dal lager dove era stata confinata con la famiglia, non riuscirà a liberare il bambino e il rimorso non l'abbandonerà nemmeno da adulta emigrata negli Stati Uniti. Una giornalista, sessant'anni dopo, darà voce alla sua testimonianza ritrovandosi a seguire le orme di quella ragazzina che potrebbero condurla a misteri che toccano direttamente la sua famiglia. Tratto dal romanzo di Tatiana DeRosnay è un film didascalico, lento e noioso a cui non giova nemmeno il montaggio alternato dei due periodi di narrazione per spezzare la monotonia ritmica e dare un pò di brio.
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Durante una retata Nazista a Parigi, quella tristemente nota del Velodromo d'Inverno, una bimba di una decina d'anni, Sara, salva il fratellino più piccolo chiudendolo in un ripostiglio. Fuggita dal lager dove era stata confinata con la famiglia, non riuscirà a liberare il bambino e il rimorso non l'abbandonerà nemmeno da adulta emigrata negli Stati Uniti. Una giornalista, sessant'anni dopo, darà voce alla sua testimonianza ritrovandosi a seguire le orme di quella ragazzina che potrebbero condurla a misteri che toccano direttamente la sua famiglia. Tratto dal romanzo di Tatiana DeRosnay è un film didascalico, lento e noioso a cui non giova nemmeno il montaggio alternato dei due periodi di narrazione per spezzare la monotonia ritmica e dare un pò di brio. Un'occasione persa se si pensa che la storia sarebbe stata interessante, forte e importante, commovente anche, ma la pellicola non ha lo stesso impatto del libro e l'indagine della giornalista Julio Jarmond appare fin troppo fragile e superficiale. Il ruolo di Julia ha creato non pochi grattacapi a Kristin Scott Thomas, attrice eccezionale senza dubbio, ma che in carriera ha fatto decisamente di meglio. Innegabile comunque come sia riuscita, all'interno di un'interpretazione non proprio da ricordare, a trovare gli sguardi giusti e un'intensità di non poco conto. Discreta la regia di Paquet-Brenner, bravo a passare nel territorio del giallo d'inchiesta e a far venire a galla eventi e segreti man mano che la storia procede. Film che non centra la propria attenzione sull'Olocausto ma sulle storie di destini incrociati e soprattutto sulla memoria e sulla sua importanza.
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unicospartano
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domenica 6 gennaio 2013
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film profondo
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francesca meneghetti
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lunedì 30 luglio 2012
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il coraggio di ricordare
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Il punto forte del film “La chiave di Sara” è senz’altro la trama. Essa si snoda secondo un montaggio che alterna sistematicamente la vicenda attuale, che ha come protagonista una giornalista, Julia Armond, impegnata in un‘indagine storica, e l’episodio del 1942 di cui la stessa Julia si sta occupando.
Si tratta di un fatto vergognoso della storia francese: le Rafle du Vel d’Hiv, cioè il rastrellamento di oltre 13.000 ebrei avvenuto a Parigi, cioè nella parte della Francia occupata, nel luglio del 1942 (vale a dire sei mesi dopo la conferenza di Wannsee che adottò la “soluzione finale”). Solo che i responsabili dell’operazione (che si concluse con l’invio degli ebrei prima in un campo di transito, poi in uno di sterminio) non furono i nazisti, cioè i Malvagi per antonomasia della seconda guerra mondiale, bensì i francesi.
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Il punto forte del film “La chiave di Sara” è senz’altro la trama. Essa si snoda secondo un montaggio che alterna sistematicamente la vicenda attuale, che ha come protagonista una giornalista, Julia Armond, impegnata in un‘indagine storica, e l’episodio del 1942 di cui la stessa Julia si sta occupando.
Si tratta di un fatto vergognoso della storia francese: le Rafle du Vel d’Hiv, cioè il rastrellamento di oltre 13.000 ebrei avvenuto a Parigi, cioè nella parte della Francia occupata, nel luglio del 1942 (vale a dire sei mesi dopo la conferenza di Wannsee che adottò la “soluzione finale”). Solo che i responsabili dell’operazione (che si concluse con l’invio degli ebrei prima in un campo di transito, poi in uno di sterminio) non furono i nazisti, cioè i Malvagi per antonomasia della seconda guerra mondiale, bensì i francesi. Di qui la vergogna, per cui il presidente Chirac nel 1995 si scusò ufficialmente.
“La chiave di Sara” di Gilles Paquet-Brenner non è il primo film sul drammatico avvenimento (se ne occupò anche Losey negli anni ’70), non è nemmeno un progetto originale del regista, in quanto segue, anche nel titolo, un romanzo di Tatiana de Rosnay del 2007. Non avendo letto il libro, non sappiamo quanto il montaggio cinematografico si discosti dalla storia, e quanto pesi esattamente l’impronta stilistica di Paquet-Brenner.
Tuttavia, grazie alla trama, ma anche all’intensa interpretazione delle due protagoniste femminili - Kristin Scott Thomas nei panni di Julia, e la piccola Mélusine Mayance in quelli di Sarah – il film funziona ed emoziona.
Due sono gli aspetti più interessanti: anzitutto, nella ricostruzione storica, l’aver posto l’accento sui bambini, la parte più fragile di quell’esercito di civili innocenti che finisce per incrementare in modo determinante la mortalità bellica (la seconda guerra mondiale inaugura questa nuova pratica, destinata a un incremento nel corso delle guerre successive del XX ^ secolo).
In secondo luogo lo scontro tra la determinazione di Julia nella ricerca della verità e la tendenza, che scopre molto diffusa attorno a sé, all’amnesia, alla rimozione, al rifiuto del ricordo.
Si consenta una nota personale: quest’ultimo aspetto mi colpisce per aver svolto ricerche storiche, scontrandomi con analoghe dimenticanze, su uno dei campi di concentramento fascisti, progettati e realizzati dagli italiani, non dai tedeschi!, per contenere civili slavi, sloveni e croati in gran parte. Non erano tutti partigiani: anzi, la parte maggiore di loro era formata da bambini, donne, anziani innocui, vittime di rastrellamenti brutali. Il campo di cui mi sono occupata, quello di Treviso, viene inaugurato proprio nel luglio del 1942, cioè lo stesso mese in cui si colloca le Rafle du Vel d’Hiv, con un sincronismo molto significativo. Sono passati esattamente settant’anni da allora: ma non risulta che il governo italiano abbia chiesto ufficialmente scusa ai vicini del confine orientale.
Il film ricorda che anche gli intellettuali possono contribuire a mantenere vive certe memorie: parte, scomoda ma necessaria di rielaborazione – dell’identità nazionale.
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archipic
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giovedì 17 maggio 2012
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a volte serve parlarne ancora
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Film sulla barbarie nazista sono sempre utili; quello che accadde in Europa non deve essere mai dimenticato. Inoltre, portare alla luce storie che non vengono raccontate per pudore e vergogna è ancora più utile.
La Francia, come l'Italia, possiede storie abiette e degradanti di quell'epoca storica ed il film ne racconta una, a me sconosciuta, che merita di essere narrata; una storia di intrecci umani, destini incrociati e riavvicinamenio emotivi che è soavemente raccontata e molto ben rappresentata sullo schermo.
Supportato da una fotografia molto buona, una bella colonna sonora e una recitazione intensa ma misurata le quasi 2 ore scorrono via molto piacevolmente fino al finale che unisce le storie personali dei protagonisti e e le riscatta dal peso di un passato molto gravoso e di sofferenza.
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Film sulla barbarie nazista sono sempre utili; quello che accadde in Europa non deve essere mai dimenticato. Inoltre, portare alla luce storie che non vengono raccontate per pudore e vergogna è ancora più utile.
La Francia, come l'Italia, possiede storie abiette e degradanti di quell'epoca storica ed il film ne racconta una, a me sconosciuta, che merita di essere narrata; una storia di intrecci umani, destini incrociati e riavvicinamenio emotivi che è soavemente raccontata e molto ben rappresentata sullo schermo.
Supportato da una fotografia molto buona, una bella colonna sonora e una recitazione intensa ma misurata le quasi 2 ore scorrono via molto piacevolmente fino al finale che unisce le storie personali dei protagonisti e e le riscatta dal peso di un passato molto gravoso e di sofferenza.
Da vedere.
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