paola di giuseppe
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domenica 27 dicembre 2009
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fin che la barca va....
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Filmati d’epoca scorrono sui titoli di apertura, 1939, Mussolini entra trionfante, l’Albania è italiana.
Cinquant’anni dopo. Finito anche il regime comunista, Hoxha eliminato, caduti finalmente tutti i muri, cosa rimane da fare ad un popolo lungo la meravigliosa strada verso la felicità? Indossare un buon paio di scarpe che produrrà la ditta XY, capitali esteri ma con manodopera albanese, mediatori finanziari albanesi, e, soprattutto, presidente albanese.
E dove vanno a cercarlo Placido/Fiore e Lo Verso/Gino, azzimati e carognoni quanto basta (soprattutto il primo) per sembrare perfettamente credibili?
In un ospizio, che però non somiglia alle comode e tranquillizzanti case per i nostri dolci e cari vecchietti, immerse nel verde delle nostre città.
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Filmati d’epoca scorrono sui titoli di apertura, 1939, Mussolini entra trionfante, l’Albania è italiana.
Cinquant’anni dopo. Finito anche il regime comunista, Hoxha eliminato, caduti finalmente tutti i muri, cosa rimane da fare ad un popolo lungo la meravigliosa strada verso la felicità? Indossare un buon paio di scarpe che produrrà la ditta XY, capitali esteri ma con manodopera albanese, mediatori finanziari albanesi, e, soprattutto, presidente albanese.
E dove vanno a cercarlo Placido/Fiore e Lo Verso/Gino, azzimati e carognoni quanto basta (soprattutto il primo) per sembrare perfettamente credibili?
In un ospizio, che però non somiglia alle comode e tranquillizzanti case per i nostri dolci e cari vecchietti, immerse nel verde delle nostre città.
No, questo è poco meno che un girone infernale, quasi quasi Gino ci lascia la pelle, stretto com’è da una morsa umana di miserabili che gli si stringono addosso (una citazione da Improvvisamente l’estate scorsa era d’obbligo).
Trovato il presidente, Fiore scappa in patria a tessere le giuste tele e fare i giusti incontri, Gino deve proseguire in loco e, soprattutto, compiere la missione a cui è preposto: riportare un po’ in qua, rendendolo presentabile, quel pezzo di fuliggine semiautistico preso all’ospizio, che dovrà metter firme sulle pratiche di questa nascente joint venture calzaturiera Italia/Albania.
Purtroppo le cose qui da noi si complicano, qualche mazzetta forse non arriva al posto giusto, fatto sta che Lo Verso, sempre più disorientato, dovrà cavarsi d’impiccio, e neanche da solo, visto che quello strano presidente albanese, che ora biascica qualche parola con accento siciliano, non è biodegradabile.
Anzi, sembra addirittura umano, ora che si capisce un po’di più, ma è fermo a cinquant’anni fa, quando fu fatto prigioniero dai comunisti e sbattuto in cella, lui che stava lì, soldato, senza saper bene perché, e a Catania stava pure per nascergli il figlioletto che, secondo lui, ora ha quattro anni e chissà se lo riconoscerà!
Amelio, con la misura dell’antiretorica che sempre lo contraddistingue, eccezionale in tempi tanto urlati e di cinema tanto autocompiaciuto, ha preso un pezzo della storia d’Italia, gli ultimi sessant’anni, e ci ha detto con poche parole e senza enfatici proclami “Signori, guardate di cosa siamo capaci”.
Il viaggio di Gino abbandonato a sé stesso, in cerca di un sistema per tornare indietro fra gli orrori di un mondo privato della sua identità, svuotato della sua cultura millenaria, dato in pasto ai miti di un falso benessere, un paese che riempie barconi di clandestini diretti verso il paese di Bengodi, diventa allora un viaggio di formazione.
Quando riuscirà a salire su quella barca di folli che va verso Lamerica, nuova sponda non al di là dell’oceano, stavolta, ma solo a cento miglia marine fino a Otranto e dintorni, avrà perso quell’aria strafottente e sicura di sé che l’ignoranza gli aveva cucito addosso.
Ora ha visto, ne ha vissuto per un po’ le durezze, forse non ha capito bene tutto, ma ci penserà, mentre la ripresa dall’ alto sfuma sulla scia di schiuma e la barca va.
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great steven
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domenica 15 marzo 2020
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imprenditore e prestanome allo sbaraglio in esilio
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LAMERICA (IT/FR, 1994) diretto da GIANNI AMELIO. Con ENRICO LO VERSO, CARMELO DI MAZZARELLI, MICHELE PLACIDO, PIRO MILKANI, ELIDA JANUSHI, ESMERALDA ARA
Nell’Albania post-comunista del 1991 arrivano Fiore (Placido), un losco speculatore italiano, e il suo aiutante Gino (Lo Verso), intenzionati a concludere un grosso affare: impiantare una fabbrica di scarpe a capitale misto. Avendo bisogno di un prestanome albanese, dopo qualche infruttuoso tentativo, scovano l’uomo giusto in un vecchio ex detenuto che è stato in galera per cinquant’anni e ha perso la memoria, e per giunta non sembra in grado di parlare. Quando Fiore abbandona Gino per tornare in Italia, il giovane deve trascinarsi dietro l’uomo (che sostiene di chiamarsi Spiro Tozaj) in una disastrosa odissea per permettere ad entrambi di rimpatriare col primo traghetto.
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LAMERICA (IT/FR, 1994) diretto da GIANNI AMELIO. Con ENRICO LO VERSO, CARMELO DI MAZZARELLI, MICHELE PLACIDO, PIRO MILKANI, ELIDA JANUSHI, ESMERALDA ARA
Nell’Albania post-comunista del 1991 arrivano Fiore (Placido), un losco speculatore italiano, e il suo aiutante Gino (Lo Verso), intenzionati a concludere un grosso affare: impiantare una fabbrica di scarpe a capitale misto. Avendo bisogno di un prestanome albanese, dopo qualche infruttuoso tentativo, scovano l’uomo giusto in un vecchio ex detenuto che è stato in galera per cinquant’anni e ha perso la memoria, e per giunta non sembra in grado di parlare. Quando Fiore abbandona Gino per tornare in Italia, il giovane deve trascinarsi dietro l’uomo (che sostiene di chiamarsi Spiro Tozaj) in una disastrosa odissea per permettere ad entrambi di rimpatriare col primo traghetto. Tappa dopo tappa, viaggiando in condizioni inumane fra miseria e disgrazie in un Paese allo sfascio, Gino scopre che il suo compagno di sventura in realtà si chiama Michele Talarico, è siciliano e crede ancora di trovarsi in Sicilia ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Quando finalmente riusciranno ad imbarcarsi per l’Italia, Michele crederà di essere salito su un piroscafo diretto in America. Nato dopo un viaggio in Albania compiuto da Amelio e dai suoi sceneggiatori in compagnia di alcuni militari italiani alla fine del 1991, quando stava iniziando l’esodo di massa degli albanesi verso l’Italia, doveva, secondo il progetto iniziale, raccontare la storia di due soldati italici in missione umanitaria in Albania presi in ostaggio da una famiglia di contadini che li avrebbero usati per fuggire in Occidente attraverso la Jugoslavia. Dopo nuovi sopralluoghi, tuttavia, il regista accarezzò l’idea di portare a compimento un vecchio sogno, ossia un film sugli emigranti. Costoro, come i poveri, sono uguali sempre e dappertutto, e gli albanesi di quel periodo non potevano non richiamare alla mente i nostri compaesani della prima metà del XX secolo, che sognavano l’America. Non a caso è un’opera cinematografica che, in bilico fra epica e intimismo, realismo e metafora, spiega il viaggio seguendo due binari: il primo è sugli albanesi che, una volta caduto il comunismo, cercano di liberarsi dagli orrori trascorsi facendosi attrarre dalle fatuità televisive e vedendo nell’Italia una seconda patria in qualche modo mitica e promettente; il secondo è sull’emigrazione italiana del primo dopoguerra. Di solito si raccontano storie di ieri per parlare dell’oggi. Amelio ribalta con tocco geniale questo schema. Scritto con Andrea Porporati e Alessandro Sermoneta, ha un procedimento a volte troppo didascalico, appesantito da qualche difetto nella costruzione drammatica; inoltre, presenta passaggi troppo programmatici soprattutto nella parte centrale e per quanto riguarda il discorso ideologico, e anche tempi morti nell’azione, benché rispetto all’edizione presentata a Venezia (dove ebbe un premio di consolazione), fu scorciata dal regista di circa un quarto d’ora. Ottima fotografia dell’infallibile Luca Bigazzi in Cinemascope e Vistavision, e funzionali musiche di Franco Piersanti. Pugno alzato e saldamente mantenuto agli estremi della denuncia socio-politica per le magagne burocratiche e le leggi diaboliche del sistema governativo comunista. Attori bravi (Placido specialmente), altri eccellenti (Milkani nel ruolo del mediatore e Di Mazzarelli nelle vesti di Spiro/Michele, fra l’altro per la prima volta sullo schermo) e numerose scene di buon cinema: Lo Verso nella spiana desolata che urla per il furto degli pneumatici; il giovane che muore di congestione polmonare sul camion diretto a Tirana; la bambina che insegna l’italiano ai coetanei raccolti attorno a un falò. Premio Felix per il miglior film europeo del 1994. Il titolo è un omaggio dichiarato ad Elsa Morante e al suo romanzo La storia, dove un personaggio chiama con l’errore di ortografia la terra promessa.
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