stefano capasso
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mercoledì 23 marzo 2022
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la ricerca di un posto nel mondo
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Michel è un giovane che pratica il borseggio. Ma quella che all’inizio è una necessità, si rivela man mano una vocazione del giovane, che insieme ad altri complici porterà l’arte del borseggio a livelli esecutivi molto raffinati, mettendo in discussione anche il valore etico dello stesso. Tuttavia, la conoscenza di Jeanne, darà modo a Michel di dare un senso nuovo alla sua vita.
Robert Bresson in uno dei suoi lavori più minimalisti, austero ed essenziale esplora l’animo di personaggi molto diversi tra loro, eppure legati dalla stessa inquietudine, dove il protagonista è scelto proprio per la sua attitudine, quella di compiere gesti fuorilegge.
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Michel è un giovane che pratica il borseggio. Ma quella che all’inizio è una necessità, si rivela man mano una vocazione del giovane, che insieme ad altri complici porterà l’arte del borseggio a livelli esecutivi molto raffinati, mettendo in discussione anche il valore etico dello stesso. Tuttavia, la conoscenza di Jeanne, darà modo a Michel di dare un senso nuovo alla sua vita.
Robert Bresson in uno dei suoi lavori più minimalisti, austero ed essenziale esplora l’animo di personaggi molto diversi tra loro, eppure legati dalla stessa inquietudine, dove il protagonista è scelto proprio per la sua attitudine, quella di compiere gesti fuorilegge. Ma cosa spinge il giovane a reiterare comportamenti che ad un certo punto appaiono non più necessari? Si può pensare che anche in un atto fuorilegge si possa premiare la particolare abilità nel compierlo? Sembra che in un mondo dove le possibilità di emergere siano davvero poche, anche il borseggio, se portato ai massimi livelli di raffinatezza, possa rappresentare un modo per uscire dall’anonimato. Allo stesso modo, il protagonista raccoglierà la sfida di occuparsi di una donna, e della sua bimba, abbandonate e in qualche modo messe ai margini della società, rinunciando, finalmente, alla sua attività criminale.
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carloalberto
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domenica 7 febbraio 2021
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l''anarchismo morale dei giovani nel dopoguerra
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Con lo stile essenziale del neorealismo, Bresson dipinge quadretti di vita e di malavita quotidiana in ambienti scarni, concentrandosi più che sulle facce o sui dialoghi, che sono altrettanto stringati, sulle mani, che agiscono veloci e sapienti nel derubare il portafoglio ai malcapitati viaggiatori della metro. Non coinvolge emotivamente e quando tenta di farlo, e questo accade soltanto nell’ultima scena, sa di artefatto e di cerebrale. Nulla di spontaneo o naturalistico c’è nell’apparente ravvedimento del giovane ladro che scopre d’essere innamorato della donna, che dall’inizio del film, e sono passati due anni, ha ignorato totalmente, trattandola con sufficienza ed indifferenza, sentendola inferiore ed in un caso apostrofandola come sciocca.
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Con lo stile essenziale del neorealismo, Bresson dipinge quadretti di vita e di malavita quotidiana in ambienti scarni, concentrandosi più che sulle facce o sui dialoghi, che sono altrettanto stringati, sulle mani, che agiscono veloci e sapienti nel derubare il portafoglio ai malcapitati viaggiatori della metro. Non coinvolge emotivamente e quando tenta di farlo, e questo accade soltanto nell’ultima scena, sa di artefatto e di cerebrale. Nulla di spontaneo o naturalistico c’è nell’apparente ravvedimento del giovane ladro che scopre d’essere innamorato della donna, che dall’inizio del film, e sono passati due anni, ha ignorato totalmente, trattandola con sufficienza ed indifferenza, sentendola inferiore ed in un caso apostrofandola come sciocca.
Richiama alla mente il personaggio di Camus che nel La peste uccide un uomo senza motivo, forse per noia o per quel malessere esistenziale che nel dopoguerra animava gli spiriti liberi e gli intellettuali, nonché i giovani conformisti delle classi abbienti che li scimmiottavano per essere alla moda, parodiati da Totò nel L’imperatore di capri già nel 1949.
Nella lettera che l’ex badante della madre gli invia in carcere, preannunciandogli che lo andrà a visitare, c’è una frase ambigua. Il piccolo si è ammalato, ha una forte febbre da circa tre settimane. Finalmente non sono più preoccupata. E’ una frase dirompente che lacera la celluloide, Enfine je ne suis plus inquiete, che dovrebbe far riflettere sul significato del film.Non è l’amore che trionfa su tutto o la donna angelicata che redime il cinico superuomo o altre amenità, che hanno fatto dire ad alcuni che il film ha un finale positivo.
Si tratta evidentemente d’altro. L’uomo è risollevato nel leggere quelle poche righe perché ha capito di che pasta è fatta veramente quell’innocente ed onesta fanciulla che lui disprezzava proprio perché tale la immaginava. Invece, una madre che descrive con indifferenza la malattia, forse mortale, del suo bimbo, che nomina con distacco le petit e non mio figlio, è la donna che pensa, senza dirlo apertamente, che se rimanesse sola potrebbe dedicarsi anima e corpo a lui. E’ una dichiarazione d’amore implicita e diabolica che assolutizza l’altro, al di sopra del bene e del male, in un rapporto a due esclusivo, che non ammette terze persone che si frappongano, fosse pure il figlioletto.
E’ un riconoscersi reciproco di due anime che non credono più a nulla se non nell’onnipotenza dell’individuo, che nella coppia si enfatizza ulteriormente in un delirio narcisistico in cui l’ego dell’uno si rispecchia in quello dell’altro in una esaltazione reciproca. Film, dunque, scabroso, non politicamente corretto, che ha lusingato tuttavia, nel tempo, i benpensanti che non hanno dato peso, volutamente o inconsciamente, a quella frase terribile: Enfine je ne suis plus inquiete.
Bresson ha voluto dare un volto all’amoralismo scettico e cinico che serpeggiava tra la gioventù del dopoguerra e che Antonioni aveva già rappresentato nel film I vinti del 1953. E’ la generazione che non riconosce i valori dei padri. Non c’è nessun Dio a cui credere per più di tre minuti e le atrocità e le macerie della guerra stanno ancora lì fumanti a testimoniarlo. La famiglia, lo Stato e le sue leggi, il lavoro, sono tutte fandonie, favole inventate per essere raccontate ai deboli di mente. Il commissario di polizia, affabile e sornione, apparentemente cerca di aiutarlo ma è soltanto incuriosito ed impaurito da quello strano individuo che contesta tutto quello in cui lui crede. Non è il solito ladro e perciò è da studiare e meglio attenzionare. Il commissario non potrà essergli di nessun aiuto, è l’ottuso difensore dello status quo, dei capisaldi etici di una società in cui tutto è al rovescio e che andrebbe perciò capovolta con l’anarchismo morale del gesto rivoluzionario individuale, il furto con destrezza, che riassume in sé sia la negazione del rispetto della proprietà altrui e del lavoro come onesto mezzo di sostentamento, sia l’affermazione dell’uomo intelligente e scaltro sulla massa anoetica schiava inconsapevole, rassegnata o complice del sistema.
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il befe
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sabato 21 febbraio 2015
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oltre il cinema
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il befe
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sabato 21 febbraio 2015
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una stella?
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ok il cinema è anke soggettività,ma fino ad un certo punto!!!
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il befe
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sabato 21 febbraio 2015
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capolavoro
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estremista di sinistra
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martedì 10 febbraio 2009
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la phorma
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La più giusta critica a questo film la scrisse il grande Roger Tailleur su "Positif", la più straordinaria rivista di cinema della storia.
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alphaville
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venerdì 10 novembre 2006
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capolavoro assoluto
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uno dei più grandi film della storia del cinema: una perla.
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