Ameluk

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Ameluk, viva il cinema “made in Puglia”! Valutazione 4 stelle su cinque

di LeonardoCassone


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sabato 11 aprile 2015

Settimana Santa a Mariotto, un piccolo paese delle pietrose murge baresi. Fervono i preparativi per le imminenti elezioni del nuovo Sindaco e per la “Via Crucis”. Ma l’imprevisto è dietro l’angolo: il parrucchiere che dovrà impersonare Gesù, a causa di un “piccolo incidente” è costretto a rinunciare. Il suo ruolo viene così affidato, all’ultimo minuto, a Jusuf, detto Ameluk, il tecnico delle luci, giordano di origine nonché di religione islamica. La notizia fa il giro del mondo ed è facile intuire lo scompiglio portato in paese, che si divide inevitabilmente in due fazioni, soprattutto quando il giovane viene candidato, dopo una serie di situazioni rocambolesche, a sindaco dello stesso paese.
 
Una bellissima tragicommedia quella firmata dal bitontino Mimmo Mancini, qui alla sua prima regia cinematografica e che può già vantare il Gran Premio “Nello spirito e nella fede” alla recente edizione del Religion Today Film Festival di Trento. Forte di una sceneggiatura graffiante e solida (scritta a quattro mani dallo stesso Mancini e da Carlo Dellonte) e di un nutrito cast di eccellenti caratteristi, tra protagonisti e personaggi secondari, il film è una girandola di situazioni divertenti ma anche di spunti di riflessione, più che mai attuali. Dall’integrazione culturale (emblematico il soprannome del protagonista che tanto ricorda i Mamelucchi, gli stranieri per eccellenza) a quella religiosa, passando per la politica. Ed ancora, l’egoismo, l’ignoranza, il campanilismo e il terrore per il “diverso”.
 
La mano leggera del regista Mancini è visibile in gran parte della pellicola, con alcune trovate davvero geniali; due su tutte: un improbabile quotidiano chiamato “Mari8Mirror” e una fantomatica sede di un “Comitato per la protezione del congiuntivo”. Un regista, che oltre ad essere un valido attore (“gigione” nel ruolo di Mezzasoma), ha saputo dirigere efficacemente un cast numeroso oltre che eterogeneo, capace di una recitazione misurata e mai sopra le righe. Dove la zampata dei “vecchi leoni” lascia davvero il segno: elegante e raffinato Cosimo Cinieri nei panni del professore di origini ebraiche; spaccone Teodosio Barresi in quelli del barista; esilarante Luigi Angiuli in quelli del nonno di Maria, la moglie di Jusuf (interpretata da una perfetta Claudia Lerro); accorato Roberto Nobile nelle vesti, è il caso di dirlo, di don Nicola.
 
Una ventata di freschezza l’hanno portata invece Medhi Mahdloo e Francesca Giaccari: il primo  interpretando il difficile ruolo di Jusuf, capace di esprimere con gli occhi e con la gestualità del corpo tutto il “peso” della paradossale vicenda che lo vede protagonista assoluto; la seconda, segretamente innamorata di Jusuf, che con la sua garbata bellezza buca lo schermo ad ogni inquadratura.
 
E se i ruoli secondari sono stati ritagliati per un gruppo di attori sempre “affidabili”, come Tiziana Schiavarelli,Paolo Sassanelli,Michele De Virgilio, Dante Marmone (suo il ruolo più esilarante),Pascal Zullino eRosanna Banfi, strepitosi nelle loro rispettive parti, la vera sorpresa del film sono il giovane Andrea Leonetti Di Vagno, disincantato nel vestire il ruolo di Tonino, agnello sacrificale del lupo Mezzasoma, e soprattutto Nadia Kibout, che ha saputo regalare alla sua Amida momenti di elevato spessore drammatico.
 
Un film a basso costo (fattore da non trascurare), tutto “made in Puglia”, che tanto prende e tanto dà alla migliore tradizione della “commedia all’italiana”. A cominciare dal tema principale della colonna sonora di Livio Minafra, una marcetta dal nostalgico richiamo a quella, inconfondibile, de “Il prof. Dott. Guido Tersilli, primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue” di Luciano Salce, con l’Albertone nazionale.
 
La fotografia di Marcello Montarsi, volutamente virata al seppia, che trova la sua efficacia soprattutto nelle scene notturne, sottolinea un film fatto di sguardi: quello di Ameluk, prima tenero verso il suo bambino mentre lo culla nottetempo, poi, dalla finestra, speranzoso verso il tricolore issato sul bar del paese, quasi a sigillare l’appartenenza della sua creatura al posto in cui si trova; quello intenso di Amida, nella scena clou del film, mentre in lacrime, assiste al disperato discorso di suo fratello Jusuf, quasi denudato e non solo in senso fisico, in piedi su un bidone della spazzatura in mezzo alla strada. Uno sguardo immenso e mozzafiato che non sarebbe dispiaciuto al miglior Asghar Farhadi (il regista di “Una separazione” e “Il passato”, tanto per capirci); oppure, lo sguardo furtivo del neosindaco Mezzasoma, attento a che nessuno si accorga mentre prega in chiesa e piange sussurrando quel liberatorio, finale «Perdono!».

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