A Steve Knight piace l’azzardo. Lo sceneggiatore prediletto Cronenberg e Stephen Frears, famoso per il recente La promessa dell’assassino confeziona un’opera interessante da regista, stilisticamente impeccabile e tecnicamente riuscita come sceneggiatura.
Il coraggio non manca al giovane player. Sfruttare una situazione di tensione per un’ora e mezza senza alcun protagonista se non la strada e l’abitacolo del protagonista, è assolutamente foriero alla cinematografia. Certo qualcosa c’era già stato; senza andare troppo indietro nel tempo, il recente Cosmopolis di Cronenberg aveva chiuso in un abitacolo di pochi metri quadri, l’esistenza di un protagonista ma con Locke andiamo oltre.
Il virtuosismo artistico di Knight muove abilmente le capacità attoriali del protagonista indiscusso, Tom Hardy, in una storia verosimile, dinamica e nervosa con dialoghi scattanti con “entità” foriere, esterne al mondo avulso entro cui il protagonista viaggia nella notte.
Su un’autostrada verso Londra guida infatti un costruttore di edifici, dal promettente futuro presso una multinazionale americana. E’ sposato con due figli ma la sua vita apparentemente serena subisce una decisa svolta questa notte. Eppure, tutto segue i suoi piani: impeccabile e indefesso all’alba avrebbe dovuto presiedere alla più ingente colata di cemento di cui si sia mai dovuto occupare. Avrebbe appunto.
Ma il destino che qui ha il nome di Bethan, una donna “brutta, l’avventura di una notte, avevo bevuto qualche bicchiere di troppo per la felicità del mio ultimo lavoro brillantemente compiuto”, rovina tutto riscrivendone ogni tappa.
Deciso ad assumersi la responsabilità della nascita di un bambino, andando oltre l’aborto anche se questo comporterà la decisa cesura con la sua famiglia e il lavoro visto che l’evento clou sarà evidentemente secondario rispetto alla scelta di assistere la donna partorire, Locke compie un viaggio nei recessi della sua anima, un onirico cammino che lo porta a rivedere ogni sua scelta per farsi carico, finalmente, di ogni responsabilità.
Raro esempio di un film dove il tempo di ripresa della pellicola coincide con quello della vita reale scandito dai ritmi irrefrenabili di una cieca corsa contro il tempo, Locke descrive l’importanza dell’assunzione delle proprie scelte, delle proprie azioni e dei propri errori sfruttando l’emblematico esempio di un uomo che ha fatto della sicurezza il proprio lavoro.
Ma quel cemento a presa rapida che dovrebbe essere motivo unificatore e legame affettivo indissolubile si incrina, cadendo sotto il peso di una menzogna che ne ha minato irrimediabilmente le basi, spinto da un lassismo e superficialità che pare una costante del nostro tempo. Knight è qui abile a mostrare il capovolgimento spirituale dell’anima di Locke permeato da un forte senso di dignità e stoicismo che lo porta a rinunciare a scelte non facili, tutte mostrate ai nostri occhi su un piatto d’argento attraverso delle chiamate a familiari/parenti/amici.
Locke rinuncia a posizioni importanti, all’affetto del figlio e alla partita di baseball, all’amore della moglie tentando anche quando tutto è perduto, quando oramai è stato licenziato come capocantiere, di portare a termine l’ultimo incarico, la colata di calcestruzzo per cui ha lavorato per così tanto tempo e che ora non gli appartiene, guidando l’ignaro capo degli operarai, ubriaco di sidro a impegnarsi affinchè le strade siano sicuramente chiuse, le fondamenta siano profondamente all’altezza.
Ma perchè ora che è inutile, ora che il tempo è dedicato alla sconosciuta in sala parto, ora che la macchina è lanciata a folle corsa verso quel dannato ospedale, lontano dagli affetti, dal lavoro, dalla vita borghese?
Il regista americano ci mostra nell’atto di fuga che diviene responsabilità, nella scelta morale che diviene spinta calvinista, la fragilità di un uomo esasperatamente debole ma capace nel suo torto, nel suo errore, di trovare una soluzione priva di scappatoie, assumendosi quella responsabilità fugaci senza sfruttare l’opportunismo e le scelte facili (una possibile? Sovrintendere alla colata e recarsi il giorno dopo all’ospedale abbandonando tutto) con il coraggio di prendere una strada nuova, forse non giusta ma sicuramente priva di rimorsi.
È una questione di scelta, possibilità. Ecco cosa è Locke, questa pellicola di un’ora e mezza scarsa in grado, con le luci cupe della sera e del serpente d’auto verso il destino, di mostrarci la sliding door di un essere qualunque piegato da eventi più grandi che trovano il modo di insinuarsi nelle gallerie incerte e insicure del nostro (poco) quotidiano vivere.
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